«E sentiamo, quale sarebbe la verità?»  domando divertito, con le mani sulle anche.

«Che sarai anche il campione del mondo in MotoGP, ma qui io ancora ti batto» dice, decidendo finalmente di togliersi il casco. Ciuffi di capelli biondi sfuggiti alla coda bassa le ricadono sul viso, incorniciando quel naso piccolo e gli zigomi pronunciati. Ha il volto accaldato, con delle goccioline di sudore che le imperlano la fronte, e per quanto credo di scorgere anche un che di sofferente nella sua espressione, il suo sguardo resta tagliente «e che correre in pista ti ha rammollito» sbotta.

Penso alla stagione passata e mi viene da ridere, per lei non sono bravo abbastanza neanche dopo essermi conteso il titolo di campione del mondo con i campioni in carica, per di più da rookie. Ma lei è così. Incontentabile, imprudente, schietta.

Ed io la adoro per questo.

Mi tolgo guanti e casco, poi vado ad allungarle una mano per aiutarla a tirarsi su.

Osservo i suoi movimenti e la vedo stringere i denti quando muove la spalla. Eppure non dice niente. Potrà sentire dolore, ma anche se ferita fisicamente, non può esserlo nell'orgoglio.

«Smetterò di darti quel secondo di vantaggio in partenza» dico piuttosto, attendendo che sia lei a decidere se dirmi o meno se sta bene.

«Rassegnati, Marc. Non sei tu che me lo dai quel secondo, sono io che me lo prendo perchè sono più scattante»

Reina mi dà una pacca sulla spalla, vincendo anche per oggi non solo la gara in moto, ma anche il premio come migliore distruttrice di orgogli e rigiratrice di frittate.  

Poi, sotto i miei occhi, tira giù la zip della sua giacca munita di protezioni.  Si sfila la maglia termica. Resta con un top e i pantaloni imbottiti, finché non lascia scivolare anche questi e si avvicina alla riva del lago.

Io e Reina ci conosciamo da più di una vita, da prima di poter anche solo immaginare cosa volesse dire non poter fare a meno di qualcuno. Abbiamo iniziato a correre insieme da piccoli, ci allenavamo insieme, cadevamo insieme, gioivamo insieme. Nei miei ricordi da bambini ci siamo io e lei, sporchi di fango, su moto da cross più grandi di noi.

Poi un giorno non è stato più un gioco per me, ma una cosa seria.

La Moto3, il primo titolo, la Moto2, la MotoGp e le cose, al di fuori di questa selva, sono iniziate a cambiare. La mia vita è cambiata.

Qui però è sempre tutto come una volta, qui siamo sempre noi e ciò che succede al di là di questi alberi non conta. Io, Reina e le nostre corse folli, alimentate dal nostro solito orgoglio bruciante.

Sono sempre stato geloso di questi nostri momenti. Li paragono ad una pole position, ad una vittoria sudata, qualcosa che mi dà il carburante per andare avanti. E Reina è l'unica cosa che non ho mai voluto dividere neanche con mio fratello, con nessuno.

Certo è che Reina non ha ben capito che siamo cresciuti, che di anni non ne ho più undici ma ventuno, e che lei con i suoi vent'anni e il corpo ormai non più di una bambina, non può spogliarsi così davanti a me.

Perché Reina è bella ed io non posso fare a meno di guardala, e non come la guardavo quando eravamo piccoli. Al tempo era facile volersi bene e basta, tanto che abbiamo passato la nostra infanzia a convincere tutti di essere fratello e sorella. Sono un paio d'anni, però, che nessuno di noi due si azzarda più a dirlo. 

Come sempre decido di fare finta di niente, ingoio il groppone e ricordo a me stesso chi ho davanti. 

«Reina non starai davvero per...» esclamo, allungando un braccio per cercare di afferrarle il polso, ma prima che possa arrivare a fermarla o anche solo finire la frase lei si getta in acqua «...buttarti»

YOUNG GOD // MARC MARQUEZWhere stories live. Discover now