1. Il terremoto

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La ragazza era immersa in un sonno profondo

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La ragazza era immersa in un sonno profondo. Sognava di trovarsi sospesa in un mare di nulla. Tutto intorno a lei era oscurità e il silenzio la terrorizzava. Cercò di fuggire da quella situazione, aggrappandosi alla prima cosa che riuscì ad afferrare: l'immagine di una donna. Rimase a fissarla incantata. Anche se non riusciva a distinguere con precisione i suoi lineamenti, si trattava senza dubbio della donna più bella che avesse mai visto. Somigliava vagamente a Kether, ma i suoi capelli erano di un biondo così chiaro da sembrare quasi bianchi. Si mosse verso di lei, voleva accarezzare quella pelle che sembrava fatta d'avorio e quei capelli soffici e fini, ma le pareva che per quanto camminasse non sarebbe mai riuscita a raggiungerla. Avrebbe voluto chiamarla, ma la voce non voleva saperne di venir fuori. Proprio quando credeva di poter finalmente pronunciare il suo nome, qualcuno la chiamò, scuotendo la sua coscienza. L'immagine si dissolse, mentre il dolore per una perdita del passato si confondeva con quello di una imminente. Per un istante tutto fu chiaro, e le sembrò di scorgere, attraverso l'infinito, la verità.

La ragazza riaprì gli occhi sul mondo reale e il sogno scomparve di colpo, così com'era venuto, lasciandole solo una vaga sensazione di rimpianto. Un raggio di luce filtrava appena dietro le tende tirate.

Qualcuno stava bussando con insistenza alla porta della sua stanza.

«Lady Tiferet! Lady Tiferet venite presto! Vostra sorella...!» Le grida delle serve del palazzo non facevano presagire niente di buono, soprattutto se c'entrava sua sorella Kether. In un istante fu completamente sveglia, e infilandosi una leggera vestaglia sopra la camicia da notte, si precipitò fuori, attorniata da uno stuolo di cameriere.

Quando raggiunse il portico, si rese conto del motivo di tanta agitazione. Kether ne stava per combinare un'altra delle sue. Ignorando gli ordini del loro padre, che le aveva proibito di cavalcare in sua assenza, era in sella a uno dei puledri, un grigio pomellato di appena tre anni di nome Rago, e si accingeva a saltare un argine lungo quasi tre metri, sormontato da una piccola siepe. Sapeva che era una follia, quel cavallo non era pronto ad affrontare un salto del genere, ma l'espressione sul volto di sua sorella dava a intendere che non se ne curava minimamente, concentrata com'era sull'impresa che stava per compiere. E che avrebbe potuto essere la sua rovina.

«Kether!» Tiferet cercò di fermarla, attirando la sua attenzione, ma fu inutile. Al momento della battuta il puledro si rifiutò, scartando di lato e impennandosi, e Kether fu sbalzata di sella. Andò a finire dritta nel canale che serviva per l'irrigazione, sollevando una pioggia di spruzzi.

Tiferet non perse tempo e corse verso di lei, angosciata come lo era stata poche volte in vita sua e sempre per colpa di quella sorella.

«Kether stai bene?!» In quel momento la ragazza si stava rialzando, fradicia ma illesa, e una serva corse ad appoggiarle con sollecitudine un mantello asciutto sulle spalle.

Kether scosse la testa, facendo ondeggiare la massa di capelli ramati. «Ohiohi...» mormorò, portandosi una mano alle reni. «La prossima volta ce la farò!» affermò con decisione, battendo il pugno della mano destra nel palmo aperto della sinistra. Il volto di Tiferet si imporporò per la rabbia e la frustrazione. Quando avrebbe imparato? Lanciò uno sguardo inceneritore ai giardinieri e agli uomini di scuderia che applaudivano l'avventatezza di Kether, lodandola per il suo coraggio. Avrebbe fatto loro un discorsetto più tardi. Si domandò se le avessero dato una mano nel mettere in atto la sua follia. Poi si concentrò sulla sorella. Sebbene fossero gemelle, non si somigliavano affatto, nell'aspetto come nel carattere. Tiferet aveva un fisico minuto, gli occhi azzurri e i capelli biondi e lisci. Il viso tondo e i lineamenti dolci e infantili contrastavano con l'atteggiamento maturo e responsabile che derivava solo in parte dall'essere cresciuta senza una madre. Kether invece era l'opposto: irrequieta e ribelle per natura, un tocco di malizia albergava perennemente nei suoi occhi marroni screziati di verde. Amava cavalcare tra le colline e la vita all'aria aperta e non era in grado di restare ferma in un posto per più di un paio di minuti senza mettersi a scalpitare. Crescendo, era diventata più alta della sorella di un paio di centimetri e non mancava di farglielo notare ogni qualvolta se ne presentava l'occasione. Il suo viso era incorniciato da folti capelli ondulati, del colore delle foglie in autunno, che nella luce del crepuscolo parevano incendiarsi.

Il Cavaliere Alato (Disponibile in versone Ebook)Where stories live. Discover now