Luglio 1929

Con un tocco delicato del pennello, creavo con il marrone il tronco della robinia. Partendo dal basso, stendevo il colore senza prestare attenzione alla sua uniformità, cercando di ricreare così l'effetto della corteccia. Mi accingevo a giungere nel punto in cui si dipanavano i rami, colmi di foglie verdi e rigogliose, proprio come d'estate è di consuetudine. Una spruzzata di bianco sulla chioma avrebbe ultimato il tutto, rappresentando quei fiori che tanto mi piacevano.

Dipingevo seduta su uno sgabello, con una gamba che toccava terra e l'altra ripiegata e appoggiata sul cordone metallico a metà seggiola. La manica del vestito che indossavo cadeva giù dalla spalla, richiamando l'effetto trasandato che solo guardando i miei capelli, per modo di dire raccolti, chiunque avrebbe colto.

Mentre continuavo a raffigurare l'albero, cercando di riprodurlo il più possibile simile alla realtà, intravidi con la coda dell'occhio un'ombra. Nel momento in cui voltai lo sguardo, quella aveva svoltato l'angolo scomparendo del tutto dalla mia visuale. Si stava dirigendo verso l'ingresso del mio studio perciò mi alzai di scatto cercando di sistemarmi nei limiti del possibile.

L'ombra bussò e disse: «Daisy, sono Jay. Aprimi».

Appena sentii la sua voce, feci uno scatto e corsi ad aprirgli la porta. Era da giorni che non lo vedevo e, infatti, appena varcò la soglia un calore mi invase il petto, come se lui, quella metà mancante, fosse tornata nel luogo a lei destinato. Il mio cuore galoppava a un ritmo esageratamente forte, lui si avvicinò e un leggero bacio posato sulla guancia fu in grado di riportare battito e respiro alla normalità.

«Raggio di sole, come stai?» mi domandò prima di poggiare qualcosa sull'uscio ed entrare nello studio. Da qualche settimana aveva iniziato a usare quel soprannome, assieme a fiore, giusto per ricordarmi il significato del mio nome.

«Bene, stavo dipingendo la robinia che c'è in giardino. Vuoi venire a vederla?» risposi avanzando verso la tela, consapevole che avrebbe acconsentito. Nel momento in cui mi voltai, mi afferrò la mano e mi seguì.

«Che te ne pare?»

«Sai già cosa ne penso dei tuoi quadri. Sono stupendi, come la pittrice d'altronde. Oltretutto sei così buffa tutta sporca di pittura», asserì, sorridendo e mettendo in bella mostra una fila di bianchi denti.

«Come?» dissi sgranando gli occhi e subito dopo seguì un: «Dove?» mentre iniziavo a osservarmi.

Il mio sguardo ricadde sulle mani, sporche di pittura e cominciai a sorridere. Risi di gusto al pensiero che trovava bella una caratteristica che avrebbe dovuto farmi vergognare. Cominciarono a scendermi delle lacrime, per le risate, e con il dorso della mano mi affrettai ad asciugarle, peggiorando la situazione. In quel momento, oltre alle mani, avevo anche il volto sporco di pittura.

Jeremiah si aggiunse alla mia risata e dovemmo attendere qualche secondo prima che quelle si placassero.

«Come mai sei venuto qui oggi?» domandai.

«Perché mi mancavi, naturalmente. Poi perché ti ho preparato una sorpresa», disse sorridendo, prima di aggiungere: «Non hai niente in programma, vero?»

«No, niente da fare. Che sorpresa è?»

«Se te lo dicessi non sarebbe più una sorpresa», rise. «Coraggio, vai a sistemarti, ti aspetto all'inizio del viale d'accesso», asserì, indicando con il dito il punto a cui si riferiva.

«Dimenticavo! Andremo in bicicletta perché il posto non è molto vicino», aggiunse prima che le nostre strade si dividessero.

Corsi verso casa in tutta fretta per cercare di fare il più presto possibile. Ero curiosissima di scoprire cosa Jeremiah avesse in mente. Nel momento in cui stavo salendo le scale, sentii i leggeri passi di mia madre che dalla cucina si spostava verso l'ingresso.

Eternity - Un amore senza fine |COMPLETA|Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon