Capitolo 2

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Cinque ore. Sono stata chiusa dentro un aereo per cinque lunghissime ore, un tempo che mi è sembrato interminabile.

L'unica parola che mi viene in mente per definire questa mattinata è "stressante".

È stata decisamente estenuante a partire dalla temperatura calda che contraddistingue New York nel periodo di Agosto, per proseguire con il sottofondo della sveglia impostata alle cinque del mattino, poi pensate ad una ragazza di diciassette anni con il viso segnato da due occhiaie giganti, i capelli appicciati alla schiena ed il pigiama estivo zuppo di sudore - Oh sì una visone davvero splendida – ed avete l'immagine di me appena sveglia.

Come se già questo non fosse stato sufficiente, dopo essere arrivati in aeroporto - grazie ad un taxi – ed aver quasi rischiato un attacco di panico, l'aereo era anche in ritardo di due ore, quindi abbiamo dovuto attendere tutto quel tempo adagiati sugli scomodi schienali della sala d'attesa, il mio povero fondoschiena sta ancora chiedendo pietà.

Quando finalmente ho davvero creduto di poter recuperare qualche ora di sonno sul morbido sedile dell'aereo, sicuramente più comodo della seggiola sulla quale ero poggiata poco prima, un bambino si adagiava su uno dei sedili posteriori - proprio dietro di me - accompagnato dalla madre, ed è esattamente in quell'istante che il mio momento di pace ha avuto termine.

Infatti, le successive cinque ore di viaggio le ho passate a sopportare i calci che il suddetto bambino continuava a tirare contro il mio sedile, le sue continue urla di impazienza contro la madre - dovute al viaggio troppo lungo – che si facevano più forti soprattutto quando stavo per cadere tra le braccia di Morfeo.

Per concludere, dovetti anche tollerare la faccia divertita di Christian che si gustava la scena come se stesse vedendo un film comico al cinema. Già, perché quando alla terza ora di viaggio stavo per rispondere male ai capricci insistenti di quella piccola peste, mia madre ha pensato bene di impormi di non essere maleducata e soprattutto di non farle fare una pessima figura. Così ho chiuso la bocca per il resto del viaggio e mi sono infilata le mie fidate cuffie ubriacandomi di musica fino all'atterraggio dell'aereo, ovviamente senza chiudere occhio.

Quindi ora che siamo finalmente arrivati a Los Angeles, mi ritrovo fuori dall'aeroporto in compagnia delle mie occhiaie - sicuramente molto più evidenti rispetto a quando le ho osservate allo specchio stamattina – ed affiancata dalla mia famiglia, speranzosa di trovare un taxi che decida di caricarci con tutti i nostri bagagli e di condurci verso quella che sarà la nostra casa, di cui non conosco minimamente le sembianze poiché è stata mia madre ad occuparsi di trovare un luogo dove potessimo iniziare una nuova vita, senza nemmeno provare ad interpellare me o mio fratello nella scelta. L'unica cosa che ci ha detto è che l'edificio appartiene ad un suo ex-compagno di scuola e che in nome della loro vecchia amicizia ci ha concesso di vivere lì pagando mensilmente una percentuale minima, almeno fino a quando la nostra situazione economica non migliorerà. Sembrerebbe tutto molto bello tranne per il fatto che mia madre non ha mai accennato ad un amico di vecchia data che abita a Los Angeles ed anche ora non ha mai nominato il suo nome neanche una volta, tra l'altro quest'uomo deve essere davvero molto generoso, molto ricco e molto amico di mia madre per averci offerto la sua casa senza preoccuparsi delle questioni economiche. Tutto questo mistero mi incuriosisce e mi piacerebbe vedere questo individuo di persona, mi domando se lo troveremo ad accoglierci quando arriveremo all'abitazione che ci ha offerto con tanto altruismo.

Prima che il taxi arrivi, decido di rassicurare una delle poche persone che sono stata obbligata ad abbandonare a New York, la mia migliore amica - Daphne Garcia – penso ai suoi lunghi capelli rossi, agli occhi verdi contornati dalle lentiggini che le riempiono il viso e le scrivo un messaggio in cui le spiego che sono atterrata a Los Angeles e che l'aereo non è precipitato durante il viaggio, poiché sembra che la mia amica abbia una sorta di fobia verso quel tipo di mezzo di trasporto. Infatti, ieri sera mi ha intasato di messaggi il cellulare esprimendo la sua preoccupazione nei confronti delle cinque ore di viaggio che avrei affrontato questa mattina, non sapendo che il mio problema non è tanto con gli aerei quanto con le automobili. Dopo tutto quello che è successo non riesco più a stare serenamente all'interno di una macchina, rischio sempre un attacco di panico e ho deciso di non informare nessuno della questione, altrimenti mia madre mi obbligherebbe ad entrare in terapia da uno psicanalista. Quindi, quando ho letto i messaggi della mia amica ho iniziato a sorridere nel constatare che io - a differenza sua - avrei anche potuto vivere su un aereo mentre esploro il cielo immenso sospesa in mezzo alle nuvole, purché non debba mai più salire su un'automobile.

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