⊱coldcolours

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Park Jimin/박지민
—BLU ALICE

Jimin era tutto ciò che un adolescente non doveva essere: introverso, insicuro, timido, impaurito, silenzioso, Jimin era sempre stato fragile come la porcellana ma dentro di sé custodiva qualcosa di forte e indistruttibile. Dentro il suo cuore viveva della tristezza che con il tempo si era trasformata in arte.

Come i migliori artisti, quelli di cui ancora si parla, che studi nei libri durante le lezioni di storia dell'arte, esattamente, coloro che hanno sempre avuto in una mano un pennello e nell'altra un uragano di emozioni . Van Gogh e Munch,per esempio, sono stati degli artisti rivoluzionari e nonostante i loro dipinti non abbiano poi molto in comune sono comunque uniti da un filo spesso e invisibile che rende unica la loro pittura :La malinconia o potete chiamarla anche "dolore esistenziale" o magari anche pazzia,tutto ciò che dovrebbe rendere un uomo fragile agli occhi del mondo.

Ma Jimin non si credeva mica un artista come Vincent Van Gogh. Lui era sì un ragazzino pieno di potenzialità e creatività ma la sua arte la custodiva segretamente dentro i cassetti del suo armadio, disegni di ogni genere: ritratti, autoritratti, paesaggi, disegni astratti, ma che comunque Jimin riesce ad accomunare grazie a due peculiarità:

La prima sta nel fatto che ogni disegno di Park Jimin è colorato e disegnato sulla tela con il solo uso delle dita delle mani «Perché usare un solo pennello se si hanno a disposizione dieci dita?» diceva spesso Jimin al suo migliore amico. I pennelli per Jimin sono sempre stati uno spreco di denaro, ha sempre preferito tuffarsi completamente dentro il colore, sporcarsi le mani e il viso di pittura piuttosto che avere tra le mani un pennello. Sentire quella sensazione umida e fresca sui polpastrelli delle dita lo ha sempre reso felice e per un po' è riuscita persino a distrarlo da tutto ciò che fuori la sua porta lo opprimeva.

La seconda particolarità sta nell'uso esclusivo dei colori a tempera freddi, le tonalità fredde sono sempre state la sua specialità, questa stramberia è come se con il tempo si fosse trasformata nella sua firma: il verde,il blu, il violetto,l'indaco, questi colori sono essenziali nella sua pittura al contrario invece dei suoi tubetti di colori caldi che continuano a restare pieni e intatti dentro il suo astuccio eastpak.

Jimin ha sempre avuto solamente un unico e fedele amico, Hoseok. Si conoscono da molti anni, –forse da tutta una vita, Hoseok con il tempo ha imparato a capirlo e a lasciargli quando serve quello spazio di cui Jimin necessita. Quella dolce solitudine che lo aiuta a trovare un piccolo angolo di paradiso nel mondo, una solitudine che lo allontana da quella sua soffocante realtà e che lo porta spesso a camminare per ore senza avere in mente alcuna direzione, camminare solamente per schiarirsi un po' le idee e poi magari finire a guardare il mare con un bloc-notes sulle gambe e una matita ben temperata tra le dita.

Non gli è mai piaciuto lo studio ma comunque lo ha sempre fatto per accontentare sua madre.
Ma ciò di cui Jimin ha sempre avuto timore è l'ambiente scolastico, quei compagni di scuola che fin dal primo anno lo hanno sempre deriso affiancandogli nomignoli di cattivo gusto e facendo girare su di lui falsi pettegolezzi. Per questo motivo ha sempre preferito la fredda solitudine a quella paurosa compagnia, perché a parte Hoseok nessuno sembrava mai capirlo e tutti hanno sempre visto in lui un ragazzo troppo diverso, qualcuno da evitare e da cui è meglio starsene alla larga.

Come Min Yoongi, un suo compagno di classe, che prova piacere umiliandolo davanti a tutti i suoi compagni. Jimin non è mai riuscito a capire il perché di tutto quel odio, d'altronde non si erano mai rivolti la parola ma Yoongi come tutti gli altri i bulli lo faceva senza alcuna ragione, rovinare la vita di Jimin per lui era puro divertimento e pareva non provare alcuna tenerezza nel vederlo nascondersi ogni volta in cui i loro sguardi si incrociavano nei corridoi. La sua popolarità a scuola in un solo anno è riuscita a rovinare completamente l'immagine e la reputazione di Jimin la quale adesso non solo era preso di mira ma era anche visto da tutti i suoi compagni come un omosessuale con qualche specie di ritardo mentale.

Il venticinque aprile Jimin riuscì a trovare il coraggio per affrontare Min Yoongi faccia a faccia. Dopo la lezione di educazione fisica erano rimasti da soli negli spogliatoi della palestra, Jimin aveva ormai preso l'abitudine di non spogliarsi davanti ai suoi coetanei per paura di essere deriso o umiliato, quindi se ne stava immobile a guardare con un mix di invidia e curiosità negli occhi tutti i tatuaggi presenti sul braccio destro di Yoongi. Disegni riempiti con il solo uso di colori caldi e accesi, linee dolci e delicate che macchiavano la pelle chiara del ragazzo, tatuaggi piacevoli alla vista di Jimin ma che affiancate alla prepotente personalità del ragazzo più grande sembravano contrastanti e del tutto inadeguati.

«Ti ho mai fatto qualcosa di sbagliato?»prese coraggio di Jimin.

«No» rispose il ragazzo più grande concentrato a indossare lentamente la camicia bianca della sua uniforme.

«Allora perché devi farmi stare male?»

«Perché mi annoio» Yoongi prese il suo zaino e andò via dallo spogliatoio.

Jimin in quel momento perse il controllo totale delle sue emozioni, si sentì ferito e umiliato, non se lo meritava e così cadde a terra e rimase seduto sul pavimento freddo della palestra. Portò le mani sulla testa, stringeva disperato alcune ciocche scure dei suoi capelli mentre una bomba stracolma di lacrime esplose sui suoi occhi scuri. Jimin, però, quel giorno poté giurare di aver visto Yoongi fermarsi per pochi istanti davanti la porta, rimase di schiena e ascoltava in silenzio il suono di quel singhiozzo che si faceva sempre più forte e che stava riempiendo pian piano il vuoto che si era creato dentro quella stanza.

Una settimana dopo, Jimin stava percorrendo da solo il tratto di strada che c'era tra la sua scuola e casa sua. Si teneva compagnia con la musica, canticchiava silenziosamente una vecchia canzone mentre guardava distratto le sue converse celesti calpestare il marciapiede.

Il suo passo rallentò quando un gruppetto di ragazzi della sua scuola lo presero brutalmente da un braccio e lo costrinsero a imboccare un vicolo isolato. Jimin era consapevole di ciò che sarebbe accaduto,così rimase immobile e se lo lasciò fare senza emettere alcun gemito di dolore e senza provare nemmeno a difendersi. Intanto la musica non si fermò ma continuò a suonare armoniosamente nelle sue orecchie diventando un tutt'uno con il rumore dei calci sul suo stomaco e con le risate di chi in quel momento stava provando piacere nel fargli male fisicamente e psicologicamente.

Era una melodia triste così come tutta la sua vita che senza accorgersene si era trasformata in uno dei suoi disegni: una tela bianca ricoperta di soli colori freddi e tristi, città inabitate e volti completamente inespressivi.

«Che state facendo?!» qualcuno li fermò, Jimin era ancora stordito ma riuscì a intravedere la sagoma esile di Yoongi avvicinarsi verso di lui e far scappare via tutti quei ragazzacci in divisa.

«Perché mi stai aiutando?» Yoongi lo aiutò ad alzarsi, Jimin rimase fermo e guardò il ragazzo prendere un cerotto dentro il suo zaino e posizionarlo delicatamente sulla sua guancia.

«Perché mi annoio» andò via e lo lasciò di nuovo solo e confuso.

Perché quel ragazzo si comportava così?
Perché lo stava difendendo? I suoi sono comportamenti totalmente ipocriti, perché lui poteva farlo soffrire mentre gli altri no?

Era l'eroe ma era anche il nemico.

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Sono solamente parole buttate in una pagina, parole semplici con una trama semplice.
Una storia che volevo proprio raccontare.
Troverete SEMPRE la musica nei media. Detto questo,

spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto ! Commentate, ci tengo. 💙

RESILIENZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora