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Primo giorno.

"Dio, origine della vita e dell'amore,
che rende sublime l'affetto materno,
benedica la mamma di questo bambino:
e come ora gli rende grazie per il dono del figlio, cosi possa rallegrarsi della sua crescita in età e in grazia."
"Amen."
"Dio, principio e modello di ogni paternità,
circondi del suo amore il papa di questo bambino, perché con il suo esempio gli sia di guida verso la maturità della vita in Cristo."
"Amen."
"Dio, che ama tutti gli uomini, dimostri la sua bontà verso i congiunti e gli amici qui presenti: li preservi dal male e doni loro l'abbondanza della pace."
"Amen."
"Vi benedica tutti Dio onnipotente,
Padre e Figlio - e Spirito Santo."
"Amen."
Sottili mormorii galleggiarono nella chiesa e un canto di gratitudine si liberò nell'aria.
Era una struttura piuttosto piccola, ma estremamente elegante. Grandi arcate si sollevavano al centro di essa, statue di marmo rappresentanti i vari santi ci osservavano con i loro occhi dipinti, enormi vetrate dai colori sgargianti facevano trapassare la luce fioca del sole illuminando il volto di tutti i presenti, opere di estrema bellezza sorgevano sull'alto delle nostre teste.
Intravidi la signora Rosalie nel suo vestito lilla mentre con gli occhi lucidi guardava la piccola bimba cullata dalla madre. Il marito della donna era a pochi centimetri da lei che si torturava insistentemente le lunghe dita. Dietro di loro sedevano i due ragazzi visti prima, Sebastian portava un paio di grandi occhiali che gli cadevano sul naso, mentre Justin fissava intensamente l'altare.
"Madison! Madison!" Sussurrò una voce al mio orecchio.
"Sì?" Domandai scuotendo il capo.
"Abbiamo finito." Esclamò la donna per poi andarsene nello scompiglio generale.
Con le guance scarlatte annuii consapevole che nessuno mi stesse più prestando attenzione.
Scontando il leggero tessuto della mia manica notai che fossero già le undici e mezza.

Era da qualche minuto ormai che avevo finito di fare la consueta preghiera di mezzogiorno e mi trovavo seduta sul mio letto. La mia stanza non apparteneva solo a me, in essa alloggiavano altre due ragazze. Erano sorelle ma al contrario di me loro erano lì perché erano state mandate dalla madre. All'inizio la donna veniva a trovare le figlie almeno una volta a settimana, poi le sue visite si fecero sempre più rare soprattutto dalla notte in cui la madre soprannominò le ragazze 'troie', termine che capii solo in seguito significasse 'Poco di buono' o 'donna dai facili costumi'.
Le pareti erano bianche, se non in alcuni punti in cui sorgevano macchie più scure per via della muffa. La stanza era spaziosa anche se occupata da tre piccoli letti e un imponente armadio di legno.
"Tra poco vado al colle, volete venire?" Chiesi ad entrambe le presenti.
Ricevetti come risposta mugolii disconnessi tra loro e li presi come un 'no'.
Andai davanti allo specchio ovale che si trovava in una delle quattro pareti vuote e mi ci specchiai. La mia pelle chiara risaltava ancora di più per via dell'abito scuro che cadeva sul mio corpo. Vidi i miei occhi marroni contornati da leggere occhiaie, mentre le mie labbra piene erano leggermente screpolate.
Con un sospiro sistemai i miei capelli corvini e li nascosi all'interno del lungo velo.
"Sicure che non volete venire?" Domandai nuovamente alle ragazze sdraiate nei loro letti.
Nessuna delle due si degnò di rivolgermi la parola, poiché troppo occupate a leggere le loro riviste, nonostante fosse severamente vietato farlo.

All'esterno si era levato un gradevole venticello. Ci misi circa venti minuti ad arrivare alla cima del colle, ma ne valse la pena. Lí il vento soffiava più intensamente, e sentii le mani e il volto pietrificarsi. Avevo sempre sofferto il freddo, nonostante fossi nata e vissuta in quel clima gelido e nebbioso. Piagnucolai ricordando lo splendido sole che c'era solo qualche ora fa.
In lontananza sorgeva il familiare paesino da cui il convento comprava quotidianamente le provviste per la mensa.
Con la coda dell'occhio notai una chiazza gialla nell'immenso verde che mi circondava e con estrema gioia notai che fosse uno splendido dente di leone.
Con l'istinto curioso di una bimba curvai le labbra in un sorriso e mi piegai formando un angolo di novanta gradi per raccogliere il fiore.
Sarebbe rinato. Probabilmente più bello. Mi dissi tra me e me constatando che alcuni petali si fossero staccati.
Quando rialzai il capo per poco non urlai a pieni polmoni alla vista di volti che mi osservavano con gli occhi sgranati.
"Le scarpe. Hai le scarpe slacciate." Esclamò il ragazzo dai capelli leggermente più scuri.
Mi ripiegai nuovamente ma le mie scarpe erano ancora perfettamente allacciate.
"Ma Justin! Non sono slacciate." Dissi ingenuamente al ragazzo che mi fissava divertito.
"Cazzo quanto sei idiota." Sbuffò il suo amico con il solito sorriso beffardo che aveva da quando era arrivato, con il dito si sistemò gli occhiali sul naso.
"Mi saró confuso." Rispose Jus con un'alzata di spalle per poi sedersi sul terreno, vicino a Sebastian.
"Voi non dovreste essere alla locanda?" Chiesi muovendo l'indice in segno di rimprovero.
"Ci annoiavamo." Affermò non curate il ragazzo con gli occhiali.
Annuii poco convinta e mi girai di nuovo verso l'orizzonte ad osservare quel paese apparentemente immobile.

"-quanto me le sbatterei a quel-" Farneticò Bieber tirando una gomitata al suo compagno.
"Sbatterla?! Sei completamente pazzo? Perché mai dovresti sbatterla, sai vero che è un reato picchiare le donne?" Esclamai scandalizzata intervenendo nella conversazione. Era più di mezz'ora che ero seduta a qualche metro dai due ragazzi a strappare i petali delle margherite, in quel lasso di tempo infinitamente lungo non potei fare a meno di ascoltare ogni loro parola. Più volte volli intromettermi ma mi trattenni, ma quando sentii che voleva sbattere una ragazza non resistetti più.
Vidi entrambi i presenti guardarmi confusi scambiandosi strani sguardi che non riuscii ad interpretare.
"Sesso. Sbatterla è inteso come fare sesso con lei." Mi spiegò Sebastian come se fosse la cosa più ovvia e sicura di questo mondo.
Io annuii con convinzione quando però un enorme punto di domanda mi si visualizzò davanti agli occhi.
"Cosa vuol dire fare sesso?" Domandai girandomi completamente verso di loro. I loro ghigni scomparvero lentamente e vidi soltanto le loro bocche leggermente aperte.
"Quanti anni hai?" Balbettó Justin passandosi le lunghe e affusolate dita nei capelli. Mi sarebbe piaciuto toccarli.
"Diciannove, perché?" Chiesi non comprendendo cosa c'entrasse la mia età con il sesso.
"Dove diavolo ti hanno cresciuta?!" Continuò il ragazzo facendomi sussultare. Come faceva a pronunciare il nome del Demonio con così tanta leggerezza?
"Io non capisco." Dissi, ed era assolutamente vero. Quella ad essere disorientata ero io.
Sebastian si alzò da terra borbottando tra se.
"Chiamami quando sei di ritorno." Esclamò all'amico che annuí di ricambio. Vidi la sua snella figura scomparire dietro gli alberi.
"Sei una suora, non una fottutissima scimmia preistorica." Assentii indignato il ragazzo strisciando con il sedere più vicino a me.
"Fuori di qui c'è la vita vera Madison, io ti insegnerò a conoscerla." Disse a disagio il moro giocherellando con gli anelli che portava alle dita.
Tito quello che feci fu abbracciarlo, prendendolo alla sprovvista. Nessuno aveva mai fatto questo per me.
"Cos?" Domandò Justin ricambiando l'abbraccio dopo qualche attimo di esitazione.
"Siamo amici Jus, e nei libri ho letto che gli amici si abbracciano sempre." Affermai senza pensarci una seconda volta. Nei miei occhi guizzò un bagliore, Justin sorrise, questa volta però senza alcuna malizia, era solo un puro e semplice sorriso.

"Il rapporto sessuale si ha solitamente in coppia, ma anche in tre, o più pers- okay di questo ne parliamo un'altra volta. Stavo dicendo, che si ha in coppia ed è quando il mio... Ehm... Cazz- pene entra nella tua vagina." Raccontò gesticolando esageratamente il ragazzo.
Pene. Sapevo cos'era, ma non ne avevo mai visto uno in tutta la mia vita.
"Di solito procura piacere, molto piacere. Ed è il mezzo che si usa per procreare." Continuò Justin in un sospiro.
Molte volte mi ero chiesta come nascessero i bambini, ma provavo troppa vergogna per chiederlo.
"Non capisco perché non me ne abbiano mai parlato." Sussurrai osservando i fili d'erba  davanti a me.
"Nella Bibbia lo chiamano peccato carnale, o meglio, così ho sentito dire." Mi riferì il ragazzo incerto delle sue stesse parole.
All'udire quelle parole sentii il viso bruciarmi, e immaginai le mie guance tingersi di un rosso scarlatto.
"Non devi vergognarti, è una cosa assolutamente normale." Cercò di rassicurarmi Justin.
"Non è normale, Gesù non è nato dal sesso." Sbottai ancora sotto shock.
"Giusto, la madonna vergine." Disse il ragazzo con ironia. Pensai di alzarmi e andarmene, ma qualcosa mi impediva di farlo. Ad Adamo ed Eva fu la curiosità a portarli alla distruzione, come potevo immaginare che sarebbe successa la stessa cosa a me?
Come potevo sapere che lui fosse il mio tentatore, e allo stesso tempo il mio frutto proibito?
Mi guardò con i suoi occhi ambrati e aiutandosi con le mani si alzò, dopo di che cercò di pulirsi i pantaloni sporchi di terra.
"Dove vai?" Domandai alla svelta, con il buffo timore che potesse correre via.
"Sto qui per venti giorni, posso insegnarti altri venti modi per guardare la vita fuori da questo posto." Disse il ragazzo indietreggiando.
"Solo venti piccole cose, Madison. Facciamo così, domani sarò ancora qui alla stessa ora di oggi. Ti aspetterò, te lo prometto." Affermò Justin strizzandomi l'occhio per poi correre via.
Venti piccole cose.
Venti giorni.
Ti aspetterò. Mi disse, e fu quello che fece, sempre. Quanto desiderai che se ne andasse.

La sera stessa parlai con Dio per circa mezz'ora in più del solito, per via dei sensi di colpa che mi logoravano sin dal pomeriggio.
Dopo aver messo la mia lunga camicia da notte sprofondai in dolce sonno di cui un ragazzo troppo egocentrico e un giardino troppo vasto furono i protagonisti.
"Non ci vado." Mi ripetei il mattino seguente.
Mi presentai lì, mezz'ora prima dell'ora stabilita.

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⏰ Недавно обновлено: Aug 06, 2016 ⏰

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