La prima uscita ~ 4

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Non capii a cosa si stessero riferendo e mi voltai verso Jeremiah corrugando la fronte in cerca di un chiarimento.

«Aspetta», mimò con le labbra.

I cinque si raggrupparono e, allontanandosi leggermente da noi, iniziarono a confabulare. Non riuscivo a comprendere tutto il discorso, coglievo solo qualche parola come "lavoro", "tour" e "incassi".

Passarono pochi minuti, ma a me parve un'eternità. Duke prese dalle mani di Emmanuel il mio taccuino e mi si posizionò davanti. Gli altri lo seguirono circondandoci.

«Daisy, ti vorremmo proporre un lavoro. Abbiamo bisogno di qualcuno che disegni il nostro poster per pubblicizzare gli eventi che facciamo in giro per bar e locali.»

«E non avete trovato nessuno fino ad ora?» domandai stupita del fatto che, nonostante ne avessero bisogno, nessuno si fosse offerto di aiutarli.

«Abbiamo avuto dei problemi. Molte persone si sono rifiutate di creare un poster per noi per via della presenza di componenti che a loro non piacevano particolarmente», ammise chinando la testa, probabilmente deluso dinanzi a quell'atteggiamento che molte persone assumevano nei confronti delle persone di colore.

Non potei che rattristarmi. «Cosa avevate in mente?» domandai pensando che sarebbe stata, per me, un'ottima opportunità.

Appena pronunciai quelle poche parole, vidi il suo volto illuminarsi e mi si avvicinò quasi come se in quel momento si fosse creato una sorta di legame tra di noi. Una relazione basata su gentilezza, fiducia e altruismo.

«Vorremmo che ci raffigurassi intanto tutti e cinque», disse passandosi la mano sotto al mento come se stesse riflettendo su quale immagine sarebbe stata la più adeguata per rappresentarli al meglio.

«Potresti farci tutti del medesimo colore, Daisy?» domandò Doug, rimasto in silenzio per tutto il tempo. Doug, da quello che diceva Jeremiah, era il più esperto per quanto riguardava la musica Jazz: era lui ad avergli trasmesso l'amore per quel genere musicale e tutto ciò che sapeva dal punto di vista tecnico.

«Perché, Doug? Credi che nascondere il fatto che abbiamo due componenti di colore sia un buon modo per ottenere più pubblico? Io non sono d'accordo», affermò Emmanuel.

«Io, in realtà, pensavo che così avremmo potuto evidenziare il fatto che siamo tutti uguali...» replicò chinando la testa e indietreggiando, come per lasciare gli altri decidere. Vidi in Doug una persona piena di idee, ma mai in grado di dire la sua. Mi avvicinai così a lui e gli presi la mano per farlo avanzare alla posizione di partenza. «Spiegami meglio cosa avevi in mente.»

«Immaginavo le nostre figure stilizzate con in mano i nostri strumenti. Saranno tutte del medesimo colore e starà a te scegliere quale, in base a ciò che credi più adatto», spiegò con un tono di voce flebile, forse intimorito dalla possibile reazione dei colleghi.

«È una bella idea, in effetti. Saremo tutti uguali, nessuna distinzione. Un gruppo unito», dichiarò Emmanuel allargando le braccia e cingendo i compagni.

«Ti andrebbe di farlo, Daisy?» mi domandò il sassofonista. Non potevo certamente rifiutare un lavoro; avrei ideato un poster che molte persone avrebbero osservato e che magari, con un miglioramento della condizione di noi donne, mi avrebbe potuto portare a ottenere degli ingaggi. Li osservai, uno ad uno, e notai che mi stavano fissando in attesa di una risposta. In un primo momento mi limitai ad annuire, poi confermai con: «Certo che mi andrebbe di farlo, ragazzi».

Cinsero me e Jeremiah in un caldo abbraccio di gratitudine. «Grazie mille», disse Duke, facendosi da portavoce.

«Hey, Jay! A te e alla tua donna non fa schifo essere toccati da quelle sporche mani?» gridò un ragazzo biondo dall'altro lato della strada, con le mani a cono attorno alla bocca per farsi sentire bene.

I musicisti ci liberarono e Jeremiah rispose: «Taci, Sam. Non ti ci mettere pure qui».

«Perché? Altrimenti che mi fai?» domandò con tono arrogante, cantilenando.

«Non mi sfidare» rispose Jeremiah, voltandosi in modo tale da dargli le spalle e portandomi davanti per proteggermi dallo sguardo del ragazzo che non conoscevo.

Come temevo, Sam gli si avvicinò e afferrandolo per il braccio lo riportò alla posizione di partenza. «Non darmi le spalle, moccioso. Ho fatto una domanda a te e alla tua bella», ruggì, serrando leggermente gli occhi errabondi, che sembravano, così, ancor più piccoli del normale, oscurati com'erano dalle folte e ravvicinate sopracciglia. A pochi metri di distanza non potei fare a meno di notare anche il naso torto, tratto che rendeva decisamente poco armonico il suo volto e che, assieme alla corporatura robusta, trasmetteva aggressività solo a guardarlo.

«Mi fa schifo essere toccato dalle tue sporche mani, se proprio ci tieni a saperlo», asserì, spingendomi verso i musicisti come se volesse che mi proteggessero.

«Scusa? Ripetilo, se hai coraggio!» disse Sam, dando una poderosa spinta a Jeremiah che oscillò all'indietro e per poco non perse l'equilibrio.

«Perdonami», iniziò e si interruppe avanzando lentamente. Per un attimo non capii il perché di quelle scuse, fino a quando non aggiunse: «Ho proprio sbagliato parole. Dicevo che sei un lurido verme, che continua a insultare chi non ha mai fatto niente». Dopo aver pronunciato quelle frasi, accelerò e ricambiò la spinta.

Sam sbattè con violenza sul lampione che si trovava giusto dietro di lui, ma nonostante il colpo che avrebbe potuto momentaneamente fermarlo, fu così rapido nello sferrare un pugno e colpire Jeremiah allo zigomo sinistro.

Il gancio fu talmente forte da fargli ruotare la testa. Quando si riprese afferrò Sam, ma quell'ultimo fu nuovamente più veloce e lo gettò a terra. Dopo che Jeremiah toccò il suolo, il biondo gli diede un calcio dritto sullo sterno e ciò gli provocò un dolore così forte da sembrare quasi come se gli fosse mancata l'aria.

Prima che potesse perpetrare altri colpi Emmanuel e Duke corsero a sollevare Jeremiah ansante da terra e a proteggerlo, mentre Doug prese le braccia di Sam e gliele bloccò dietro la schiena.

«Liberami, negro!» gridò divincolandosi. Appena si sciolse dalla stretta, sputò verso Jeremiah e affermò: «Meriti di essere considerato una feccia, come tutti loro».

«Jay, no! Basta», disse Emmanuel, afferrandolo per la manica prima che potesse avanzare verso di lui e continuare.

Ero rimasta per tutto il tempo lì, a guardare, incapace di commentare e di agire. Vidi Jeremiah respirare profondamente con lo sguardo rivolto a terra, per diversi istanti che mi parvero eterni. Quando si calmò, alzò la testa e guardò il cielo come se qualcuno da lassù potesse ascoltarlo e gli potesse dare ciò di cui aveva bisogno. Chiuse gli occhi e in fretta mi corse incontro, abbracciandomi e facendomi aderire al suo petto.

Con l'orecchio poggiato allo sterno sentivo il suo cuore galoppare come un cavallo impazzito. Dopo aver respirato profondamente, mi strinse sempre più forte e, afferrandomi la testa, mi poggiò un lento e caldo bacio sulla fronte. In quel momento pronunciò a bassa voce: «Perdonami, io non sono così».

Capii con quelle parole che la reazione di Jeremiah era in parte dovuta al fatto che aveva paura che lo giudicassi male, ma come potevo farlo? Come aveva anche solo potuto credere che ciò lo avrebbe messo sotto una cattiva luce?

«No, Jeremiah», risposi, prendendogli la mano e poggiandola sul mio cuore, sperando che quel tocco potesse fargli cogliere la verità del mio discorso. «Oggi io non ho visto una persona violenta, come temi, ho visto un uomo leale e forte. Un uomo con un cuore grande, altruista perché pensa più al bene degli altri che al proprio», affermai facendogli scorrere la mano tra i capelli, mentre socchiudeva gli occhi beandosi del contatto. Presi un fazzoletto di stoffa che avevo con me e, dolcemente, glielo passai sullo zigomo ferito da cui scorreva un piccolo rivolo di sangue.

Accarezzai tutto il suo bellissimo volto, dall'attaccatura dei capelli al mento. Dalla profondità del suo sguardo e dalle emozioni che non riusciva a nascondere, capii che colse ciò che volevo comunicargli: non potevo odiare qualcuno che si era battuto per difendere l'onore dei suoi amici.

Non potevo ignorare ciò che stava succedendo dentro di me. In così breve tempo avevo capito che Jeremiah era ciò che desideravo e attendevo.

Incrociai le mie mani alle sue e con un cenno del capo salutai gli altri, incamminandomi assieme a lui verso quel nuovo viaggio che era appena iniziato e che avrebbe segnato per sempre la nostra vita.

Eternity - Un amore senza fine |COMPLETA|Where stories live. Discover now