Prologo.

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Penso che l'unico modo per farvi capire come tutto accadde sia cominciare dall'inizio. Solitamente è allegro e parla di una famiglia perfetta, ma mi dispiace dirvi che questa volta è diverso. I miei genitori si sono sempre amati, amati fino a farmi credere che l'amore perfetto esistesse davvero.

Si sono conosciuti quando erano ancora al liceo, e si sono sposati pochi anni dopo. La loro vita sembrava andare alla grande, avevano tanti progetti. Mia madre era una grande pianista e si stava preparando per un'audizione, ma poi rimase incinta di me.

Mi è sempre stato detto che era stata entusiasta all'idea di avere una figlia, e mai un giorno si è pentita o sentita come se la sua vita fosse finita. Dicevano che era costantemente col sorriso sulle labbra, che le brillavano gli occhi quando parlava di me.

Poi una sera lei e mio padre stavano tornando da una cena importante e tutto sembrava così bello, così tranquillo. Accadde tutto in un attimo: una macchina che sfrecciava in contromano, mio padre che cercava di sterzare e la macchina che si schiantava contro il muro.

Me lo hanno sempre raccontato, e tutte le volte mi venivano i brividi. Eravamo stati fortunati, tutti, e non so per quale miracolo. I soccorsi erano stati velocissimi, avevano soccorso mia madre e non appena arrivati in ospedale mi avevano fatta nascere, prematura di due settimane. Avevo passato in ospedale circa un mese e mezzo, prima che potessero portarmi a casa.

Mio padre ne era uscito quasi indenne, il danno più grave era una gamba fratturata. Lui era stato fortunato. Mia madre, invece, era entrata in coma. E i medici avevano dato scarsissime possibilità che potesse uscirne. Ho passato i primi dieci anni della mia vita pensando di non avere una madre. Era la sensazione più brutta del mondo. Me ne vergognavo, non volevo dire a nessuno ciò che era successo, per me mia madre era morta.

Nonostante ciò, andavo una volta a settimana con papà a trovarla, e le raccontavo della mia vita. Mi chiedevo come sarebbe stato abbracciarla, come sarebbe stata la sua voce, come avrebbe reagito dopo avermi vista.

Pensavo fossero tutti stupidi pensieri, che mai avrei potuto vederli realizzati.

Invece una mattina di febbraio mio padre venne a prendermi a scuola, dicendo che era urgente. Io uscii dalla classe con il mio zaino e il mio giubbotto e salii silenziosamente in macchina. Per tutto il tragitto mio padre restò zitto, ed io lo imitai. Non avevo il coraggio di domandare dove stessimo andando o perché, sapevo soltanto che avevo paura.

Una volta arrivati all'ospedale, mio padre strinse la mia mano nella sua e mi guidò lungo quel corridoio fin troppo famigliare. Entrammo insieme nella stanza dove era ricoverata da anni mamma, e per la prima volta la vidi. Era ancora stesa, ancora coperta di fili ed attaccata a diverse macchina, ma i suoi occhi erano aperti. Per la prima volta potei constatare che era vero, che avevo gli occhi come i suoi.

Ero così felice che sarei potuta scoppiare, per la prima volta sentivo che avevo una madre, e che sarebbe stata con me per sempre. Mio padre aveva gli occhi lucidi mentre le parlava. Io li guardavo da lontano e l'unica cosa a cui potessi pensare era a quanto fossero belli insieme.

Ma aspettate, non penserete che da quel giorno siamo stati una normale famiglia felice?

Mi dispiace deludervi. Cioè, siamo stati felici, ma non siamo mai stati normali.

Mia madre si era svegliata, e questo era il miglior regalo del mondo, ma nel trauma che aveva subito era rimasta sia sorda che muta.

Fu la notizia più scioccante della mia vita. Non avrei mai avuto una normale madre, e questa cosa mi faceva arrabbiare, mi faceva arrabbiare tantissimo. Mia madre non avrebbe mai sentito la mia voce, ed io non avrei sentito la sua. Dovetti imparare a leggere e a parlare il linguaggio dei segni, e fu una delle cose più faticose di tutta la mia vita, ma quando dissi per la prima volta a mia madre che le volevo bene, ricordo ancora quanto mi sentii fiera di me stessa.

Lei, con gli occhi lucidi, mi strinse forte al suo petto, e io rimasi lì, accucciata tra le sue braccia. Da quel giorno io e lei ci abbracciavamo tutti i giorni, era un modo per dirci che non ci servivano parole per essere felici e volerci bene.

Mio padre era felice di riavere sua moglie accanto, era così felice che spesso tornava a casa prima dal lavoro, ci portava in vacanza. Facevamo tutto quello che faceva una famiglia normale.

Spesso dovevamo tornare in ospedale per fare i controlli per mia madre, ma c'erano mesi in cui i suoi valori sballavano completamente, e quindi veniva anche ricoverata a volte. Era all'ordine del giorno, ormai ci avevamo fatto l'abitudine. Era normale vederla su una carrozzella, era normale vagare senza sosta per l'ospedale. Persino chiacchierare con gli infermieri e studiare sul pavimento del corridoio era diventato normale.

La mia vita era di una normalità tutt'altro che ordinaria. E probabilmente avrei pagato oro per vivere anche solo per un giorno la vita di qualsiasi altra persona. Ma avevo mia madre, e questa cosa mi faceva capire quanto fortunata in realtà fossi.

E dunque io vivevo in quella monotonia fatta di camere di ospedale, linguaggio dei gesti e l'amore delle due persone che amavo di più.

Gotta Get Out - mgc (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora