A volte succede

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[All my life, Wild]

Al tramonto, poco prima della mia lezione, Nora e io ci sediamo ai margini del canale della Giudecca. Gli scalini scompaiono nell'acqua scura. I riflessi della luce nell'acqua, smossa dal passaggio delle barche, mi ipnotizza. La laguna ha lo stesso colore delle bottiglie di vetro che il nonno teneva in cantina.

Con Nora mi sento molto a mio agio. Abbiamo parlato del suo corso di studi, delle fatiche del trasloco e del lavoro – da ripetizioni e fa la baby-sitter. Ci troviamo in sintonia, ognuna rispetta lo spazio dell'altra, i silenzi sono diluiti e rilassanti, la grinta nella sua voce mi entusiasma. Mi pare di essere una vecchia a zonzo con la nipote, che è ancora piena di vita e di futuro. Mi spaventa un po', quest'impressione.

Quel che davvero mi piace di lei è che le piace parlare di sé, e non le pare strano che io riesca sempre a incalzarla con la domanda giusta, così che il faro resti ben puntato nella sua direzione. Comunque, per mia fortuna, Nora è interessante. È nata in Albania e ha quattro sorelle sparse nel mondo. Mi racconta delle difficoltà vissute per imparare la lingua, di come si fosse sentita emarginata. Sviluppo una sorta di pura ammirazione nei suoi confronti, perché mi immagino da piccola in un paese straniero, in mezzo a bambini che non capiscono quello che dico ma che tra loro si capiscono tutti. Mi immagino a casa a piangere ogni sera con il terrore di dovermi alzare la mattina dopo per tornare in quel posto estraneo dove non ho nemmeno un amico. Ce l'avrei fatta? «Non puoi saperlo» mi risponde. «Fa più paura immaginare una cosa, che viverla. Non puoi sapere come avresti reagito perché quando siamo sull'orlo della crisi, l'istinto di sopravvivenza sa attingere a risorse che non immaginiamo nemmeno.»

Prima, sedute al bar, ha approfondito il "dono" della sua famiglia, a cui aveva accennato. Nora pensa che esistano dei legami tra le anime, e che servano per permettere alle persone giuste di incontrarsi e compiere il proprio destino. Insomma, opinabile, ma lo trovo un pensiero molto rassicurante. Accettando la sua visione delle cose, entrambe concordiamo sul fatto che tra me e lei lampeggia timido uno di quei legami. Non sappiamo ancora nulla di questa connessione; forse abbiamo del karma in sospeso? L'idea la entusiasma molto.

Arriva il mio turno, devo raccontare qualcosa di me. Me la cavo piuttosto bene. Le racconto della connessione che ho inteso tra il mio scritto sulla farfalla bianca e la sua molletta con la farfalla bianca. Il mio discorso la illumina, perché rafforza la sua convinzione circa i legami. Allora mi racconta di averla comprata in un mercatino, da queste parti. Dice che compra qualcosa in ogni città che visita, lei che ama viaggiare e lo dice come se dicesse respirare o vivere. Mi prende un po' di tristezza; Nora non è una di quelle persone che entrano nella tua vita per restarci. Sono delle farfalle bianche di passaggio.

Mi racconta dei colori dei tulipani olandesi e del fascino gotico di Edimburgo, mi descrive la limpidezza delle acque della costa amalfitana, della Grecia, il suo anno di volontariato in Perù e di quello passato in Australia, lavorando in una fattoria e insegnando l'italiano alla bambina della sua famiglia ospitante.

Ad un certo punto ci alziamo senza che nessuna avverta l'altra. Devo andare a lezione.

«Vai, forza! Questo è il mio indirizzo, nel caso in cui cambiassi idea.»

«Grazie.»

Mi sento di nuovo malinconica, e detesto il fatto che lei non lo sia. Come se fosse totalmente felice della sua vita e, una volta messo piede a casa, niente potesse mutare il suo stato d'animo. Quanto mi detesto.

Faccio per avviarmi, ma intuisco che lei vuole aggiungere dell'altro. «Sai, a volte è come se stringessimo il passato attraverso delle spesse corde. Le corde si avviluppano ai nostri polsi e stringono, fanno male, ma noi non lasciamo la presa. Ci fa paura. Il contraccolpo è il vuoto alle nostre spalle. Però, se lasciassimo andare quelle corde, smetteremmo di soffrire e ci scopriremmo leggeri, capaci di volare altrove. Come quella farfalla.»

Non sono sicura di riuscire a parlare.

«Sei davvero una specie di sensitiva.» Sussurro. Sbatto veloce le palpebre; lacrime sotto controllo.

«Perdonami, sentivo che dovevo dirlo.»

«E io sento che dovevo...»

Un brivido di paura mi attraversa. I dubbi mi attanagliano compatti, come una tagliola calata improvvisamente da un cielo plumbeo.

E se lei fosse come Caterina? Se me la fossi inventata? Se in realtà Nora non esistesse? Dice tutto quello che provo, fa quello che io non avrei mai il coraggio di fare.

Devo decidere in fretta oppure soffocherò. Ma è una decisione troppo difficile per prenderla mentre si sta soffocando. Ma io non voglio sapere se Nora è vera oppure no. Ho bisogno di come mi fa sentire, ho bisogno di una persona come lei, che mi ricordi le cose buone e vere, che mi ricordi cos'è l'ispirazione.

Ma quanto viaggi, Sam!

Hai solo conosciuto una persona. A volte succede, vivendo.

Dopo cena mi sento ancora euforica e piena di nuove prospettive. Sto così bene che ho paura di realizzare questa beatitudine per poi scoprire che è tutto un castello di carte, perché non vale niente se poi domani mattina sono al punto di partenza. Così accendo il computer, con una sana dose di caffè in tazza, e comincio a riordinare i miei file in cartelle, schierate nel desktop. Cambio persino lo sfondo per darmi l'impressione che qualcosa di diverso ci sia davvero, come quando ti lascia il ragazzo e cambi taglio di capelli per cambiare anche vita. Scelgo una ragazzina con le lentiggini e gli occhi di un verde profondo che mi ha colpito a primo impatto. Ha le labbra di ciliegia, schiuse, e un che di misterioso nello sguardo che ti lascia a riflettere. Fisso lo schermo talmente a lungo che ad un certo punto ho il brutto presentimento di non stare più guardando lei, ma Cat. Sbatto le palpebre e focalizzo di nuovo la vista. Non c'è niente di strano, lo sfondo è sempre lo stesso, allora la consapevolezza di non aver pensato a lei per tutto il giorno fa aumentare impercettibilmente il mio battito cardiaco. Lo ignoro. Notare l'esistenza di qualcosa, attira la sua attenzione su di te.

Alla fine mi rimane solamente una cartella, quella con tutti i pensieri casuali che volevo raggruppare sotto un qualche nome significativo e invece mi ero accontentata di "asdfgh". Clicco "rinomina" e scrivo: "Senza nome".

Il semplice fatto di aver scritto quelle due parole risveglia i miei polpastrelli da un sonno che mi era sembrato eterno, e l'intuito, questo sesto senso, questo tutto invisibile, comincia a formicolare... lentamente il tempo e lo spazio attorno a me si dissolvono. Comincio a scrivere...

Mi sveglio con la luce dell'alba che penetra attraverso le tende. Cerco di muovere la testa ma il collo mi fa troppo male, così muovo appena le palpebre. Vedo una palla arancione proprio al centro della finestra, circondata da un'aurea rosa e aranciata; intravedo un ramo che ondeggia, vestito di foglioline verdi e tremolanti. Gli uccellini cantano in una dimensione tutta loro. Mi sento inondata da una sensazione di freschezza, di leggera rinascita.

Lo schermo del computer è nero.

Sollevo le braccia dalla tastiera, prestando attenzione a ogni minimo fruscio. Chiudo lo schermo e mi infilo sotto le coperte, addormentandomi senza un solo pensiero.

La voce del buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora