Libertà in una gabbia

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Gli occhi le pulsarono in maniera violenta, tutto in lei si ribellò. Il corpo non le rispondeva e per quanto si sforzasse non riusciva a tenersi seduta. Il braccio sinistro per qualche strano motivo le funzionava a malapena ed un grosso livido le si stava allargando sulla spalla come una macchia d'olio. Girò la testa a destra e poi a sinistra, a sinistra e poi di nuovo a destra, tanto per essere sicura che il panorama non fosse un illusione e si dissolvesse da un momento all'altro. Ciò che vide fu un miscuglio di colori, i fiori aperti attiravano un gran numero di insetti di rossi e gialli vivacissimi che, nella notte, attivavano la loro bioluminescenza. Il verde parve esploderle tutt'attorno mischiato al marroncino degli alberi. Le chiome erano di una vastità impressionabile, Tredici fu convinta che potessero addirittura toccare il cielo. Già, il dominio del Grande Creatore era così bello, con tutti quegli elementi che nelle proprie minuzie e vastità risultavano un insieme armoniosamente unico, come un individuo dove ogni organo è importante come un altro. Alzò la mano e la fece volteggiare nella fresca aria ricca di salsedine del mare e con le dita creò giochi d'ombre sul prato bloccando per brevi periodi l'afflusso dei raggi lunari che si insinuavano tra le frasche come rivoli d'acqua giovane. Istintivamente portò la mano destra, quella con cui stava giocando, al viso. Ed eccola li, per quanto provasse per la prima volta in ventisei anni la sensazione di essere liberi, la maledizione era ancora la. In fondo, ragionando un po'era vero, lei non stava effettivamente in una delle celle riservate agli schiavi, e quindi il peso della maledizione continuava ad esserci, ma per quanto si sforzasse non capiva dov'era, tutto era così nuovo per lei ed emozionante. Quel sentimento che provava, che stava lentamente invadendo il suo cuore, si stava insinuando come miele dolce nel suo cervello. Con sforzo immane si decise ad alzarsi. Urlò. Una gamba era in una posizione inusuale e sembrava come se all'altezza della tibia fosse uscita una nuova articolazione. Era fratturata, non riusciva a mettere il piede a terra e per quanto ci provasse il dolore era sempre identico, arrivava alla testa in un lancinante senso di nausea. Si decise che in quelle condizioni non sarebbe arrivata da nessuna parte e quindi si sedette su una piccola roccia che fungeva da abitazione ad un mucchio di violacee spore fungine in crescita. Un rumore, tanto lieve che sarebbe di certo sfuggito ad un uomo, ma non ad una volpe allarmò i suoi sensi. Aguzzò le lunghe orecchie e vide sbucare da un cespuglio azzurro una sagoma inusuale. Una persona, forse alta poco più di lei, come un alberello di pino lì accanto, con due corna molto appuntite sulla testa che, in un giro, si intrecciavano creando un motivo arzigogolato. La sagoma continuava ad avanzare e più volte sembrò come se avesse dei piccoli mancamenti che lo rallentavano. Tredici voleva scappare, ricordava in quell'ombra la sagoma di un carceriere Tsaesci con la solita armatura, ma questo sembrava molto più minuto degli altri, cercò in qualche modo di mettersi in piedi, alzando la gamba ferita per non gravare ancor di più sulla situazione già pessima di suo. Lo Tsaesci alzò una mano, stava per fare un incantesimo. Tredici ebbe paura, molto probabilmente sarebbe stata chiusa in un involucro di energia e trasportata di nuovo nelle miniere, ovviamente le sarebbe stato inflitto una giusta punizione per essere scappata, ma per quanto ricordasse gli unici pensieri che affioravano erano quelli di un crollo. Una luce molto forte si sprigionò dalle mani dello Tsaesci, la magia non era affatto ciò che Tredici si aspettasse, era come se qualcuno avesse acceso momentaneamente il sole su quel pezzetto di terra che condividevano, e poi lo vide. Era lì, con le lacrime agli occhi invocando il suo nome, era un ragazzo, quel ragazzo con cui aveva condiviso l'alloggio per tre giorni. Con l'elmo ancora incastrato sulla testa e macchie di sangue che si distribuivano uniformemente sul suo corpo. Era distrutto, si vedeva dall'espressione sofferente che gli occhi emanavano e molto probabilmente anche in pensiero per la ragazza.

<< Tredici!>> urlò. E con un balzo l'abbracciò in una stretta forte che l'alzò da terra e la lasciò di stucco. Per la prima volta si accorse del buon odore che aveva il ragazzo. Njall era lì con lei, con le mani strette attorno al suo corpo ed una vacua brillantezza nel viso, aveva pianto. A Tredici però l'essere toccata in quel modo le dava fastidio, e con una mossa delle braccia si liberò dalla stretta e spinse via il ragazzo. Lo Tsaesci rimase fermo, come quando fu congelato a terra dalla stessa ragazza pochi giorni prima, si ricordava il modo in cui lo vide, con viso odioso semi nascosto dalle sbarre di metallo attorno al muso. Tredici cercò un modo per rompere quell'imbarazzo venutosi a creare, così si avvicinò zoppicando ad uno degli alberi presenti dietro di lei ed allungandosi sulle punte staccò un rametto delle dimensioni di un lungo serpente, saltellando su un piede si mise seduta sulla stessa pietra violacea ed iniziò a disegnare sulla terra rossa sotto i suoi piedi. Voleva dire qualcosa a Njall, ma avendo il muso sigillato ed analfabeta non aveva possibilità di esprimersi come voleva. Dopo alcuni minuti Tredici finì il suo disegno, era difficile da comprendere e la notte di certo non aiutava, così il ragazzo accese un bulbo luminoso fra il palmo della mano, si accovacciò ed iniziò ad ispezionare il bozzetto. Sarebbe stato impossibile da tradurre se non grazie all'aiuto di Tredici che, con gesti vari, face capire il significato del tutto.

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