39 (Bree: Remembering lightning)

5.6K 18 0
                                    

Sono passati due giorni, credo. La sensazione del tempo non è molto precisa quando non riesci neanche a distinguere il giorno dalla notte. Mi sono basata sulle volte che mi sono venuti a trovare tutti insieme.
Pian piano ho iniziato a muovere quasi tutto e oggi, finalmente, sono riuscita ad aprire gli occhi. Accanto a me c'era Gigì. Ha iniziato a urlare di felicità ed è corsa a chiamare i medici saltellando, anche se loro stavano già venendo in camera dopo averla sentita.
L'unica cosa che non posso ancora fare bene è parlare. Mi stanco facilmente e la mia voce ha un volume eccessivamente basso per essere sentito con tranquillità. Sia Benussi che la Collins mi hanno detto che devo esercitarmi a muovere di nuovo le corde vocali, ma alternando frequenti momenti di riposo.
In questi due giorni ho ricordato ancora. Non molto, in verità. I ricordi accelleravano in qualche punto e saltavano in altri, come una vecchia vhs un po' rovinata. Però, fortunatamente, ho un quadro completo di quei giorni. Sono stata principalmente con Steve. Direi che stiamo insieme, ormai. Anche se non siamo riusciti a "riprendere il discorso". Ogni volta ne capitava una, pazzesco! In realtà non abbiamo neanche parlato di ciò che mi ha detto nel messaggio, perciò io non gli ho ancora confidato di provare esattemente le stesse cose. Ho incontrato Samir, una volta. E' stato parecchio freddo ed imbarazzante. A giudicare da ciò che è successo il giorno in cui ci siamo incontrati, col senno di poi (che sarebbe quello di adesso, è abbastanza complicato anche per me come concetto) non è un caso. A dir la verità sospettavo già da allora che sarebbe finita così.
Adesso sono a letto. Accanto a me, sempre Gigì. Ha già chiamato mia madre e gli altri, ma la Collins non farà venire nessuno in camera prima dell'orario di visita che sarà tra poco. Gigì mi aiuta a sforzarmi a parlare, ma ogni volta che lo faccio ho una sensazione orribile. E' simile a quella che senti quando in un incubo provi a urlare ma la voce non esce, anzi è esattamente quella. E' snervante, faticoso e non migliora di una virgola! Sto provando a raccontarle ciò che ho ricordato, ma non ce la faccio più. Mi fermo e scoppio a piangere. Un pianto liberatorio, scomposto, senza freni. Gigì mi si getta al collo.
- Tesoro, non fare così! Ti riprenderai. L'importante è che sei ancora qui con noi. - Mi accarezza le spalle e mi bacia la fronte. - In questo periodo ho rischiato troppo spesso di perderti. Non so come avrei fatto se... - Le si spezza la voce, perciò non termina la frase.
- Ti voglio bene Gigì. - Riesco a sussurrare al suo orecchio. Le bacio via la lacrima che sta scendendo sulla guancia. - Mi daresti un po' d'acqua? -
- Puoi bere? -
Faccio spallucce. Non ne ho idea.
- Vado a chiedere. -
Esce in corridoio e rientra dopo poco con Benussi.
- Apri la bocca per favore. - Mi scruta la gola con la sua torcetta elettrica abbassandomi la lingua con l'orribile bastoncino di legno. - Non dovrebbero esserci problemi. Dobbiamo vedere però se riesci a deglutire senza problemi. Provaci. -
Lo faccio una prima volta senza fatica. Aspetto due secondi e riprovo. La seconda volta ci riesco pure, ma subito dopo inizio a tossire.
- Non è molto incoraggiante, ma bevendo a piccoli sorsi non dovresti avere problemi. - Mi porge il bicchiere. - Se non ti da fastidio vorrei essere presente almeno stavolta. -
Annuisco e prendo il bicchiere dalle sue mani. Piccoli sorsi di acqua fresca iniziano a scendermi in gola. Sembrano una manna dal cielo. Riesco a seguirne il percorso dentro di me. E' come se stessero svegliando qualcosa, è una sensazione stupenda.
- Grazie. - Esclamo finito il bicchiere.
- Ehi, la tua voce migliora a vista d'occhio! -
In effetti stavolta il volume era più alto e la fatica è stata minore. Magari è stato un caso. - Mi sono esercitata tutta la mattina. - Non è forte come poco fa, ma il miglioramento lo noto anch'io. Gigì ha un sorriso enorme stampato in viso. Sorride anche Benussi, in modo più discreto. Continua ad annuire dicendomi che i buoni segni ci sono tutti e che si risolverà presto. Poi va via.
- Riprovaci! - Mi chiede immediatamente Gigì.
La guardo perplessa.
- Parla ancora. Sì, dimmi qualcosa! Dimmi "Bazinga!". -
Non riesco a trattenermi e scoppio in una risata che, se avessi avuto le corde vocali pienamente funzionanti, avrebbe svegliato tutto il reparto.
- Non prendermi in giro. Prova a parlare di nuovo. -
- Ci provo, sei contenta? -
- E' vero. Stai migliorando! -
- Credo che l'acqua fresca mi abbia fatto bene. Però quando parlo sento dei graffi alla gola. -
- Meglio di nulla! -
Conosco quell'espressione in Gigì. E' felice. Ha il viso luminoso, non riesce a star ferma con le mani e non si scolla dalla faccia quel sorriso stupendo. E' bellissima, la mia Gigì.

L'ora di visite è un susseguirsi di urla di gioia, abbracci, lacrime, confusione e risate. Sono così felice da non riuscire a stare ferma, nonostante i piccoli movimenti che mi è consentito fare. Le gambe che pungono, vogliono correre e saltare in braccio ad ognuno di loro, baciargli il volto fino a consumarlo e gridare quanto li amo. Tutti loro, le persone più importanti della mia vita.
No, ne manca una.
- Evan. - Sussurro a me stessa.
Claudio è accanto al mio letto e sta parlando con mamma insieme a sua moglie. La mia voce non è ancora abbastanza alta da riuscire a farmi sentire in mezzo a questa confusione. Cerco di allungare il braccio fino ad afferrargli i jeans e mi concentro per strattonarli un po' in modo da farmi notare. Mi costa fatica, ma arrivo al mio scopo.
- Cosa c'è Bree? - Mi chiede voltandosi verso di me sorridendo.
Gli faccio cenno di avvicinarsi ed accosta il suo orecchio al mio viso.
- Come sta Evan? -
Si allontana di scatto, guardandomi quasi sconvolto, senza darmi una risposta. Vedendo che non ho ancora finito, però, si riavvicina.
- E' alla clinica? -
Si allontana di nuovo, lentamente sta volta. Il suo sguardo è un misto di tristezza e dolcezza. Un sorriso amaro sulle labbra. Mi accarezza la testa annuendo. - Sta già meglio. Ha ripreso le cure. Gli permettono di uscire anche e può guidare. Per questo è potuto venire da te quando ti hanno fatta uscire. Certo dopo quel giorno... - Si ferma pensieroso.
- Cosa? - Non so se sia riuscito a sentirmi, ma so che ha comunque ripreso a parlare.
- Dopo quel giorno è stata un po' più dura. Si aspettava la tua reazione, l'avevamo preparato. Ma ha avuto comunque una piccola ricaduta. Per fortuna il dottore lo conosce bene e sa come aiutarlo. Non pensarci per ora. Pensa a guarire. - Sorridendo torna alla sua conversazione precedente.
A me si avvicina Steve.
- Che è quel muso lungo, piccola? -
- Ho parlato con Claudio. Mi ha detto che Evan è peggiorato dopo che ci siamo visti. -
Al solo sentire il suo nome, Steve si incupisce, serra i denti. - Gliel'hai chiesto tu? -
Annuisco. Steve fa un respiro profondo prima di riprendere a parlare tra i denti serrati.
- Perchè? - Non mi guarda in faccia, fissa il lenzuolo. - Perchè chiedi di lui? -
- E' mio... -
- Non è tuo amico! - Mi interrompe alzando la voce. Gli altri, per fortuna, non lo notano o non gli danno retta. - Ti ha fatto del male, Bree! E potrebbe rifartene! -
- E'... -
- Malato? Bella scusa! -
- Non è una scusa. - Interviene Claudio.
Steve si zittisce. Nella stanza cala il silenzio. - Io sono suo padre, ma non gli perdonerò lo stesso quello che ha fatto passare a Bree. Ma lui è mio figlio e la sua malattia non è una scusa. - Non l'ho mai visto così serio.
Steve non risponde, ma lo vedo respirare sempre più ferocemente ed increspare le labbra sempre più strette.
- Non ti permettere mai più di dire una cosa del genere. E poi facendo così non ti comporti tanto meglio di lui! -
Steve non ce la fa più a trattenersi. Le vene del collo gli si stanno gonfiando a dismisura. Faccio scivolare il braccio sul lenzuolo fino ad accarezzargli la mano. Lui me l'afferra e la stringe.
- Bree deve guarire ed è questo che vogliamo tutti, ma dobbiamo farla stare tranquilla. Parlare in quel modo non l'aiuta? -
- Pensare di suo figlio si, invece? - Sbotta. Ha sparato ogni singola parola come fosse un proiettile.
Claudio impietrisce.
- Basta così! - Nel silenzio la mia voce, sebbene flebile, si sente bene. Lascio la mano a Steve. - Avete ragione entrambi, ma non è questo il momento e non è questo il modo. - Ho cercato di alzare la voce il più possibile. La gola sta iniziando a bruciare. Mi volto verso Steve. - Sì, mi ha fatto del male. - Mi volto verso Claudio. - Sì, quello che ha fatto non è perdonabile neanche se malato. - Il bruciore aumenta sempre di più. - Ma è pur vero che entrambi dovete rispettare me. - Tossisco.
Li guardo entrambi fissare silenziosamente il pavimento. Prendo un respiro profondo prima di concludere.
- E non lo fate accusandovi a vicen.. - La frase resta incompiuta. La tosse prende il sopravvento.
Il bruciore alla gola è insostenibile. Gigì corre a darmi un po' d'acqua, ma stavolta sembra solo peggiorare la situazione. La tosse si fa sempre più intensa. Sento Cristina che urla nel corridoio cercando un'infermiera. Continuo a tossire, mentre il lenzuolo bianco inizia a chiazzarsi di piccoli puntini rossi.
L'infermiera arriva correndo e sposta, quasi di peso, tutti che si sono accalcati su di me. - Fatela respirare, per carità divina! -
Mi spinge la fronte per farmi alzare la testa e mi allontana le mani dalla bocca. - Sangue. Perfetto! -
- Come perfetto? Che significa perfetto? - Mia madre è nel panico almeno quanto me.
L'infermiera corre fuori e ritorna quasi immediatamente con una siringa piena di liquido trasparente. Cercando di tenere fermo il braccio quanto più possibile, la infila intramuscolo e la innietta. - Per il momento è l'unica cosa che possiamo fare. Sedarla. - Dice agli altri.
La tosse si fa sempre più flebile, così come la percezione di ciò che ho intorno. Oh no! Non ancora il sedativo per elefanti! Non il buio di nuovo, vi prego.

Bree: Remembering lightningWhere stories live. Discover now