Capitolo 2:

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Entro in casa e mi precipito subito in stanza. Lancio la borsetta, le chiavi e poso il cellulare sul comodino accanto al mio letto. Mi sdraio pesantemente sul soffice materasso e cado in un sonno profondo.

Non ho passato la notte al meglio. Mi giravo e rigiravo nel letto in continuazione. Ho fatto dei sogni bruttissimi. Ne ho fatti molti, la maggior parte anche senza un senso logico.
Tra questi, in particolare ricordo quello in cui eravamo presenti: Io, Gian, e un'altra ragazza.
Eravamo ad una festa, ovviamente a casa di qualcuno che non conoscevo, stavo bevendo un Cocktail e ho visto Gian avvicinarsi verso di me di corsa. Mi ha preso la mano, mi ha trascinata verso il suo petto con forza e mi ha fatto rovesciare tutto il Cocktail sul vestito.
Avevo un vestito bellissimo, rosso e nero, con dei ricami particolari.
Ho urlato a Gian di andarsene mentre disperatamente cercavo qualcosa per rimediare al disastro.
Dopodiché l'ho visto tornare con un'altra ragazza mano per mano.
Ovviamente mi ha assalito la gelosia. Gli ho chiesto chi fosse e mi ha risposto che era la sua nuova ragazza.
L'ho guardata con disprezzo e l'ho spinta, poi ho iniziato a correre verso l'uscita.
Gian mi ha seguita a ruota gridando: «Astrid! Dove vai? Mi lasci qui da solo? Astrid!»
«Lasciami stare, sei una merda!» Gli ho risposto sbattendo la porta dietro di me.
In quel momento era come se mi fossi liberata di un peso.
Uscita da quella casa mi sono ritrovata in un'altro sogno.
Gian stava rincorrendo qualcuno, io gli ero dietro.
Ma dove starà andando?
Continuavo a seguirlo.
Correndo mi ero resa conto che quel luogo mi era familiare. Gian si era avvicinato ad un albero, era lo stesso dell'altra sera. Era bello e immenso, come lo ricordavo. Si era seduto sulle sue radici, aveva iniziato a piangere, poi aveva detto: «Perdonami, sono uno schifo. Perdonami, ti prego.»
Avvicinandomi avevo scorto una figura femminile, e guardandola meglio mi ero accorta di essere io.
«No» aveva urlato. Un No secco, come l'aria che ci corcondava.
C'era ancora quel vento gelido, un vento autunnale.
Mi ero svegliata di colpo, la finestra era spalancata.
Ero tutta scoperta, sudavo.
Sudavo come se avessi corso davvero dietro qualcuno.
Mi ero sdraiata sul letto.
Avevo guardato il soffitto, era come un cielo stellato, mi sembrava di nuotare in un mare di stelle. C'era Gian, era lì. Cercavo di avvicinarmi a lui, correvo. Mi guardava, inespressivo.
Continuavo a correre, non riuscivo ad avvicinarmi. Correvo, credevo di averlo raggiunto. In realtà era lontano esattamente come prima. Dopo aver perso il fiato mi ero fermata. Non ce la facevo più.
«È tutto inutile, sei troppo lontano!» Gli avevo urlato.
Continuava a guardarmi.
Non diceva nulla.
«È tutto inutile»sospiravo, mentre Gian si faceva sempre più piccolo.
Poi ad un tratto, non avevo visto più nulla, neanche Gian, come se tutto fosse stato risucchiato in un buco nero.
«Gian!», urlavo disperata.
E poi mi ero accorta di non essere più in un sogno. In nessun sogno.

«Sono sudatissima» mi alzo dal letto e mi dirigo verso il bagno per sciacquarmi la faccia.
«Non posso farcela, non possiamo continuare così. Deve spiegarmi cos'ha.»
Torno in camera e prendo il telefono.
Lo controllo, nessuna chiamata persa, nessun messaggio.
Entro su Whatsapp.
Ultimo accesso oggi alle 2:26.
Sono le 4:30 del mattino.
«Che cosa avrà mai fatto sveglio fino a quell'ora?» sussurro.
Rileggo i messaggi.
L'ultimo era il suo.
Lo rileggo più di una volta "Amore sono qui, scendi."
Inizio a digitare qualcosa di incomprensibile sul tastierino.
Cancello.
«No, deve scrivermi lui.» dico.
Il mio volto è inespressivo, quasi quanto lo era il suo.
«Non capisco cosa c'è che non va, io davvero non capisco. Sono io il problema? O è lui che è troppo strano?»
Resto in silenzio per qualche minuto.
Non ho più sonno ormai.
Poso il telefono sul comodino, mi alzo dal letto e vado in cucina.
Cammino lentamente cercando di non far rumore.
Inutile.
Sbatto contro il vaso nell'ingresso con il mignolo del piede.
Impreco a bassa voce e continuo a camminare.
Zoppicando mi dirigo verso il frigo in cerca di cibo.
Lo apro e intravedo uno scatolone della pizza.
Probabilmente sarà la pizza avanzata di ieri sera.
Apro la scatola di cartone e assaporo il suo squisito profumo.
La addento.
Ecco cosa ci vuole quando sei in crisi amorosa.
Chiudo il frigo e mi avvio verso la mia camera, questa volta stando attenta a non sbattere nuovamente il piede contro il vaso.
Controllo l'orologio.
Sono le 5:17.
Il tempo sembra non passare mai.
Prendo il telecomando e mi siedo sul letto con lo scatolone della pizza sulle gambe. Appoggio la mia schiena alla testiera in legno e accendo la televisione.
Inizio a fare zapping tra qualche canale e mi rendo conto che non c'è nulla di interessante.
Addento la pizza, quando si è soli sembra ancor più buona.
Sono le 6:00, che tristezza.
Gian non mi scrive.
Mi sento sola come non mai.
Spengo la televisione.
Fisso il vuoto, il tempo passa.
C'è così tanto silenzio in questa stanza.
Mi sdraio e chiudo gli occhi.
Penso a Gian, lo immagino qui con me. Penso al suo viso bellissimo, al suo corpo, alle sue mani, ai suoi capelli. Al suo sorriso.
Li riapro, sono le 7:15.
Prendo il telefono e controllo il suo ultimo accesso.
Ultimo accesso oggi alle 6:58.
«È sveglio, chissà cosa starà facendo adesso.»
Mi alzo dal letto e sempre senza far rumore inizio a vestirmi.
Apro il cassetto, tiro fuori un maglione a caso e me lo metto.
È lungo fino alle ginocchia.
Mi infilo un paio di leggins neri e le mie amatissime Vans.
Vado in bagno a truccarmi e sono pronta per uscire.
Non so dove andrò, né cosa farò. Voglio solo andarmene.
Prendo le chiavi della macchina, quelle di casa e il mio cellulare.
Sono costretta a portarmi una borsetta per non tenere tutto in mano, quindi cerco quella di ieri sera che avevo lanciato da qualche parte nella stanza: la trovo sotto la scrivania, la prendo e inizio a riempirla.
Mi incammino verso la porta di casa, esco e mi ritrovo difronte la mia auto.
Accendo il motore e contollo l'orologio.
Sono le 8:05. È Sabato.
Non c'è nessuno in giro, la strada è isolata.
Fa davvero freddo oggi.
Non tira molto vento ma c'è un aria di pioggia e ci sono molti nuvoloni.
«Credo proprio che fra poco pioverà»
Continuo a guidare.
Dove posso andare?
Mentre penso mi arriva un messaggio.
Prendo il cellulare sul sedile alla mia destra per controllare chi sia.
È Jane.
Jane è la mia migliore amica di infanzia, ci conosciamo da tanti anni. È una ragazza molto solare e sorridente. Mi aiuta sempre in ogni situazione e ascolta sempre tutti i miei problemi. Soprattutto quando si tratta di Gian. I suoi consigli sono utilissimi e lei è l'unica persona con la quale sono sicura di potermi confidare.
Leggo il messaggio, stando attenta alla strada: "Buondì, hai da fare oggi?"
Prima di rispondere cerco un posto dove poter parcheggiare.
Lo trovo e le rispondo: "Buongiorno, veramente oggi non ho nulla da fare. Questa notte non ho dormito. Ho un problemino con Gian, credo di avere bisogno del tuo aiuto. Quando possiamo vederci?"
"Vieni subito a casa mia." mi dice.
"Va bene."
Rimetto in moto la mia auto e mi avvio verso casa di Jane.
Per fortuna che ho lei.
Casa sua non dista molto dalla mia, in poco tempo arrivo, parcheggio e le suono al citofono.
«Jane sono io.»
«Aspetta che scendo.» Mi risponde.
«Scendi?» Non ho fatto in tempo a dirlo che già è qui davanti a me.
È bellissima come sempre e quel suo sorrisone sul viso mi rallegra la giornata solo a guardarlo.
«Ciao tesoro! Allora, come stai?» Mi chiede.
«Si potrebbe stare meglio.» Le rispondo abbassando lo sguardo verso le mie scarpe.
«Ti capisco, ora parleremo di tutto in macchina.» Mi dice mentre sorride.
«Dove andiamo?» Le rispondo.
«Vedrai.» Mi da una bacio sulla guancia e aggiunge «Guido io.»
«Va bene.» Mi siedo su quel sedile dove fino a poco fa era poggiato il mio cellulare.
Quando c'è lei non mi sento mai sola.
Jane accende la macchina e dopo qualche minuto mi dice: «Allora, racconta un pò tutto alla tua Jane.»
Inizio a raccontarle tutto, in ogni minimo dettaglio. Le spiego del cambiamento d'umore di Gian subito dopo aver preso il cellulare, la fine della serata e anche di come ho passato la notte.
«Wow, che strano!» Replica.
Eh sì, strano per davvero.
«Beh, secondo me dovresti lasciargli i suoi spazi. Ovviamente lui ha sbagliato a trattarti così senza nemmeno darti delle spiegazioni. Sappiamo che tipo di carattere ha Gian. È un ragazzo molto chiuso. Probabilente gli è successo qualcosa del quale non vuole parlare», aggiunge.
Guardo il finestrino.
Nel cielo i nuvoloni si fanno sempre più scuri.
«Beh, lo so che tipo di persona è. Ma trattarmi così è ingiusto. E non è la prima volta che lo fa. A me questo suo atteggiamento dà fastidio», le dico.
«Lo so, hai ragione. Ma adesso cerca di non pensarci e goditi la giornata.»
Continua a giudare.
«Dove stiamo andando?» Le chiedo nuovamente mentre guardo la strada.
«A vedere le prove della band di Alex. Questa sera faranno il loro primo concerto.»
«Ci sarà anche Steven?» le domando.
Sorride e guarda davanti a sè.

Se ci fossi TU.Onde histórias criam vida. Descubra agora