Storia #6 - Prigioniera di una ribelle

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-Come accidenti definisco una creatura del genere?- chiese il poeta, lasciandosi cullare dall'idromassaggio. -Formica mannara forse?
-Tu scrivi solo "ragazza formica"- suggerì la ragazza, ridacchiando verso la sua compagna. -Che dici, vuoi sapere la nostra storia?
-Siamo a sei su dodici... verrà l'ora anche per me di rilassarmi no?- sospirò lui, scuotendo la testa.

I

La ragazza grattò le pareti della sua prigione, cercando di vedere nel buio dell'anfratto che la conteneva. Si agitò un po', scuotendo la terra attorno a sé, chiedendosi se fosse rimasta sepolta viva. Solo il pensiero la angosciava. Fu dopo diversi tentativi che riuscì a forare la parete di terriccio e sterpi di fianco a lei, facendo entrare una ventata di fresco, accompagnata da un velo di luce. Ancora senza capire, la ragazza si avvicinò alla fessura, sbirciando all'esterno. Vedendo orde di insetti, grandi come uomini, che correvano lungo montagne di terra alte quanto un palazzo, trasportando frutti maturi, raccogliendo il frutto della loro coltura. Spaventata, si ritirò dall'altro lato, tastando la terra che disprezzava come unica fonte di salvezza, mentre una di quelle creature le sfilava davanti.
La ragazza era prigioniera di un formicaio.
Ma per meglio capire questa situazione, dobbiamo tornare a pochi giorni prima: dei ragazzi stavano facendo un'escursione in montagna, attraverso una florida foresta tedesca. Allegri, spensierati, volevano solamente divertirsi. Ma una frana ruppe il loro gruppo, travolgendo una ragazza. I pianti, le sofferenze che seguirono ve li potete benissimo immaginare. Il corpo, sprofondato in una fessura nella roccia, giudicato disperso. Invece erano state loro, quelle formiche umane, a catturare ingegnosamente la ragazza, trascinarla via, e portarla nel loro formicaio. Cosa se ne facevano? Varie cose in realtà. Le formiche lasciavano ragazze umane sopra il deposto delle loro uova, in modo che i predatori catturassero loro al posto dei loro preziosi pargoli. Inoltre, una volta morte, sarebbero diventate cibo e indumento. L'utilitarismo di un sistema animale, insomma.
Se non fosse che anche loro avevano mente umana.

II

-Cibo- dichiarò una formica, lasciando una scodella di frutta nella stanza, se così possiamo definirla, di questa ragazza. Questa si limitò a gettarsi sui frutti, affamata dalla lunga attesa. Ma si bloccò, terrificata. Quella sostanza... quel sapore... nella bocca della ragazza esplosero miriadi di sensazioni, che si accumulavano una sopra l'altra, facendola sudare, un una lunga corsa libera verso l'estasi del gusto. Tutto provocato da un singolo frutto.
-Grazie!- esclamò la prigioniera, iniziando a divorare freneticamente il cibo.
-Gra... cosa?!- esclamò la formica, aprendo una finestrella, mettendo in mostra il suo viso umano, e le antenne molto meno naturali. -Sei la prima ragazza che mi parla, sai? Al massimo mi insultano, o mi dicono che vogliono un cheeseburger.
-Stai scherzando?! È fantastico!- continuò lei, mordendo il cibo. -Come ti chiami?
-Il mio... nome non ha importanza- bofonchiò, stringendosi nelle spalle. -Ti conviene iniziare pregare il tuo dio. L'inverno arriverà presto quest'anno, e in inverno decidiamo a caso la sorte di voi umane. O cibo, o liberate. Quindi ti conviene prepararti mentalmente al peggio.
-Beh, almeno sarà un'attesa piacevole- ridacchiò lei, cercando di sdraiarsi. -È da tanto che fai questo lavoro?
-È da poco che ti dicono che sei fastidiosa?- rispose lei, chiudendole la terra in faccia.
-Già- continuò la ragazza, ignorandola. Tre mesi, eh? Era tutto quello che le sarebbe restato da vivere... beh, almeno aveva una speranza. Non sapeva quante ragazze ci fossero con lei, ma cinquanta e cinquanta era una buona percentuale.
La ragazza prese il torsolo del frutto, esaminandolo. Un po' fragile, ma poteva andare. Tastò la terra, premette, e finalmente trovò un punto della sua prigione senza sterpi a renderla perfettamente solida.
-Perfetto...- ridacchiò, pigiando con il pezzo di legno.

III

-Dunque... rispiegamelo un'altra volta perché ancora non ci credo- commentò la formica, scuotendo la testa.
-Ho trovato un punto debole nella parete e l'ho fatta crollare.
-Bene... poi?
-Poi, avendo espanso la mia prigione in un'altra, ho usato il terriccio per fare un ripiano come cuscino, i pezzi di foglie per fare un giaciglio e i rametti per disegnare sulle pareti. Bassorilievi piuttosto effimeri direi, ma ci sto lavorando- ridacchiò la ragazza, indicando i frutti del proprio lavoro.
La formica si appoggiò alla terra, scuotendo la testa. Era la prima volta che vedeva un'umana così intraprendente. Beh, però anche lei avrebbe avuto bisogno di sgranchirsi le gambe di tanto in tanto no? Forse le risparmiava la fatica di lasciarla uscire in fondo...
-E ora mi faccio una piscina!- sentì ridacchiare la ragazza, mentre quella tastava ancora la sua cella.
La formica sospirò, alzandosi in piedi. -Che vuoi da mangiare?
-Oh, mi proponi il menu?- rispose l'umana, affacciandosi.
-Cerco solo un modo per farti stare ferma.
-Allora... quel meraviglioso frutto che mi hai dato prima.
-Capisco...- sospirò la formica, gettandogliene uno. -E che ti strozzi.
-Nah, sono molto più dura di così- rispose lei, fissandola. -Belle antenne comunque.
-Non... toccarle...- rispose lei, portando istintivamente due delle sue sei zampe sopra di esse.
-Nah, tranquilla formichina rossa, non ti faccio niente. Solo... vieni un po' vicina.
-No!- rispose lei, saltando indietro, e facendo scattare sotto il suo naso le chele ai lati delle sue guance.
-Tranquilla... non ti faccio nulla...- rispose l'umana, allungando una mano.
La formica per tutta risposta fissò quella protuberanza di carne, agitando freneticamente le sue antenne. Fece un passo avanti, abbassandosi per scrutarla da sotto. Iniziò a sbavare acido, preparandosi ad ogni evenienza. Fece un passo avanti. Strinse gli occhi, sollevando leggermente il suo busto, volendo quasi annusare le dita leggiadre. Fece un passo avanti. Continuava a fissare quella mano, come se dovesse essere una leva per svelare qualche tesoro, o forse la chiave stessa. Fece un passo avanti. E alla fine sollevò il proprio busto, appoggiando la fronte contro il palmo spalancato, lasciando che la ragazza l'accarezzasse, e le grattasse via un po' della sporco depositato sulla sua nuca. Per poi raggiungere le sue mani, ed afferrare un bastone che tirò nella sua cella.
-E con questo scavo meglio!- la sentì esclamare, ancora bloccata dal fascino delle sensazioni che percepiva.
-Io ti ammazzo- commentò la formica, digrignando i denti.
-Nah, non se prima io riesco a farmi una piscina. Basta un po' di acqua piovana e... avete del cellophane?
La formica sospirò, andandosene infuriata più che mai. Gettò cibo alle altre umane, senza nemmeno curarsi dei loro sospiri e dei loro piagnistei. Quella ragazza la faceva infuriare, ma perché? Usciva dal comune? Aveva un'incredibile forza di vita? Non si piegava? E chi lo sapeva. Ma sapeva che gliel'avrebbe fatta pagare.

Dodici Dialoghi di Uomini e MostriDonde viven las historias. Descúbrelo ahora