Storia #2 - Il miglior rivale dell'uomo

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I

-Raccontiamo la nostra?- chiese uno dei tizi appesi a testa in giù al compagno, mentre la dridder li toglieva da quella posizione scomoda, solo per appiccicarli al muro, dando loro un po' di conforto.
-Beh, non è una mala idea- gli rispose il rivale, iniziando a lavorare di coltello. -Almeno capiranno che non si devono preoccupare di noi...
-Sentite...- rispose il poeta, afferrando la vaschetta con l'alcool. -Voi due siete entrati in questa vasca, uno urlando che ci doveva ammazzare per lavoro, e uno dicendo lo stesso per il proteggerci. Cosa cavolo avremmo dovuto fare?!
-Aspetta e capirai...- rispose l'umano dei due, sorridendogli. -E' tutto iniziato alcuni anni fa, quando stavo facendo da guardia del corpo a un vecchio riccastro...

II

La camicia non dava più tanto fastidio, dopo che la mano aveva sbottonato il collo e allentato la cravatta. Era lì per lavorare, d'altronde, non serviva che facesse bella figura. Almeno, era ciò che pensava, finché lo sguardo del riccone si posò su di lui, dicendogli silentemente "fammi fare bella figura" e permettendogli di rispondere "come vuoi, capo...".
-Le posso portare qualcosa, signore?- chiese uno dei camerieri, avvicinandosi.
-Un po' di azione, volendo...- sbuffò lui, appoggiandosi alla parete, e controllando per l'ennesima volta tutti gli ospiti nella sala. -E' una vera e propria rottura di scatole lavorare quando tutti si divertono, non trovi?
-Sono d'accordo con lei, signore- rispose lui, allungandogli un calice di vino. -Essere la guardia del corpo per questa festa è veramente fastidioso, no?
-Concordo...- rispose lui, rifiutando il bicchiere. -Sono il migliore, e anche uno dei più discreti. Per questo quel riccastro mi ha ingaggiato stasera. Dice che dopo le svalute finanziarie e il picco delle azioni della sua azienda, i compagni del CdA potrebbero... accelerare la sua dipartita.
-Non ne vedo il motivo- rispose lui, porgendogli un sigaro. -Un'azienda non è solida se unita?
-Certo, certo...- continuò lui, rifiutando di nuovo. -Ma c'è gente che vorrebbe occupare il suo posto, dato che con l'aumento del patrimonio il suo stipendio è schizzato alle stelle.
-Comprendo... voglia scusarmi, devo dedicarmi agli altri ospiti.
-Come vuoi...- continuò la guardia, finendo il suo giro. Ogni volto, ogni nome corrispondevano a quelli della lista che aveva mandato a memoria, non c'era nessuno tra i duecento invitati che gli fosse sfuggito, o gli avesse messo qualche dubbio.
Pigramente, osservò il movimento ondeggiante delle vesti delle gran signore, e i movimenti circolari dei camerieri in livrea, senza pace nel loro moto perpetuo di servire e ricaricare, come distributori automatici che avevano in più il dovere di essere scintillanti. Ognuno con la stazza che ricordava, ognuno con la sua altezza.
E uno con le gambe asimmetriche.
-Posso offrirle qualcosa da bere?- chiese il cameriere all'ospite della festa, allungando lo stesso calice che aveva offerto alla guardia.
-Volentieri- ridacchiò lui, afferrandolo, e portandolo alle labbra. Ma il liquido non riuscì a farsi strada nella sua gola, mentre invece si schizzò contro la colonna al suo fianco, devastato da un proiettile lanciato con altissima precisione.
-Il colore di quello champagne è leggermente più scuro. Veleno, suppongo.
-Uno a effetto ritardato e dall'efficacia mortale- confermò il cameriere, sorridendogli. -Sarebbe dovuto finire anche a te...
-Sai che errore hai fatto? La coda- rispose la guardia, facendo scattare il caricatore sul pavimento, ed inserendone un altro. -Quello era di avvertimento. Il prossimo arriverà al tuo cervello.
-Ma che sta succedendo...?- chiese una voce, dalla folla ammutolita.
-Semplice, no?- rispose la guardia, puntando la bocca di fuoco verso il cameriere. -Lui è una leggenda, per la sua discrezione ed abilità. Peccato che lo sia anch'io.
Il cameriere gli sorrise, levandosi il berretto, e alzando le sue orecchie canine, come felici di prendere aria. Gettò via il papillon, liberando il proprio collo, e si tolse la giacca, prelevandone sette o otto di coltelli da cucina, per nulla intimorito, come se fosse del tutto naturale. -E' raro che capiscano subito chi sia- ridacchiò, liberando la coda bruna, e agitando i capelli rossicci. -Ma è vero, sono una leggenda. Sono un assassino spietato, non ho mai fallito una missione.
-C'è sempre una prima volta, cane- rispose la guardia, accendendosi una sigaretta, come se anche per lui questo fosse un incontro comune.
-Coboldo, prego- rispose l'altro, facendo scintillare l'argenteria. -Prima di tutto, sono un lupo. E poi, non sono amichevole come un cucciolo.
-Non lo metto in dubbio- rispose lui, alzando di scatto il braccio, sparandogli. Il coboldo rispose scartando di lato, e lanciando un coltello in direzione dell'avversario, che però lo schivò senza problemi.
-Le pistole vincono sui coltelli, sai?- continuò la guardia, senza togliergli gli occhi di dosso.
-Tu credi?- rispose il coboldo, lanciandogli contro tutti i coltelli che aveva tra le mani.
La guardia fu costretta a indietreggiare, anche a saltare di lato, per evitare le lame, distogliendo l'attenzione dall'avversario. Giusto il tempo perché lui si avvicinasse ed estraesse un coltello tascabile, puntandoglielo alla gola. La guardia a quel punto rispose bloccando il coltello con il calcio della pistola, e sparando un colpo che sfiorò la scarpa laccata dell'avversario.
-Sei bravo- commentò il coboldo, senza permettergli di allontanarsi, per non perdere il proprio vantaggio. -Ma vincerò io.
-Io pensavo il contrario- rispose la guardia, sparando al sostegno di un lampadario, facendolo precipitare.
L'avversario fu quindi costretto a indietreggiare con un balzo, per poi scattare nuovamente verso di lui, sfruttando gli scintillii dei cristalli per abbagliarlo.
-Sfruttare il campo di battaglia contro di me non ti sarà utile- continuò la guardia, facendo scattare il braccio mentre sganciava il caricatore, per trasformarlo in un proiettile che portò via le armi dalle mani del coboldo. -Ho una memoria e uno spirito di osservazione infallibile. So dove si posizionano i sostegni degli oggetti, riesco a capire come ti muoverai da come pieghi le giunture, e non mi farò ferire per permetterti di avvelenarmi.
-Che caso, anch'io ho capacità simili- ammise il coboldo, rialzandosi. -Ma non userò niente del genere. Sarebbe troppo facile usare veleni o piccole bombe per colpirti. Voglio per una volta lottare onestamente. Sembri uno che sia capace di farlo, dopotutto.
-Non proprio...- rispose lui, osservando come le luci oscillanti delle volanti si stessero avvicinando al portone della villa. -Se continuerai a combattere, ben presto questo posto sarà pieno di sbirri. Ti conviene arrenderti, anche perché non fuggirai facilmente.
-Oh, no, tu mi lascerai andare- ridacchiò il coboldo, riponendo le proprie armi, e dandogli le spalle.
-Non hai sentito quello che ho detto? Arrenditi!- rispose la guardia, sparando poco sopra la spalla del semi-umano.
-Oh, davvero? E allora come farai...?
La domanda restò sospesa nell'aria. La guardia forse aveva afferrato che cosa lui intendesse... ma non voleva rispondere. Sapeva qual era la risposta alla domanda che stava per porre, a quella frase che premeva contro le sue labbra per sgusciarvi fuori, come un lombrico che sente il richiamo della pioggia. Sapeva che quel lombrico era stato a lungo nella terra, e che era suo giusto diritto lasciarlo libero... ma non voleva farlo. Sapeva che la sua assenza avrebbe fatto crollare la rete di cunicoli scavati nel proprio io.
-Come farò a fare cosa?
Il lombrico era uscito. Ecco, di fronte a lui già stava un picchio, un gigantesco picchio verde, che sbavava dal suo becco, pronto a cibarsi della misera preda di fronte a sé. E nel farlo avrebbe affondato il becco nella terra, scatenando un cataclisma nel terreno, distruggendo tutto quello che faticosamente era stato costruito, ovvero anni e anni di studi, esercizi, rinuncia ai più miseri piaceri, tutto per inseguire un sogno da lungo dimenticato, che giaceva lì, sotto il terriccio, sotto l'umido e lo sporco. Ma mai morto.
-A goderti lo scontro- rispose il coboldo, iniziando a correre, svanendo nel buio del giardino poco illuminato.

Dodici Dialoghi di Uomini e MostriWhere stories live. Discover now