Cercai  di allontanarmi, ma ero rimasto bloccato dalla folla e da un altro  gruppo di ragazzi stava spintonando per arrivare al bancone.

«A qualcuno qui non piace condividere le cose.» sentii la voce del ragazzo arrivarmi alle orecchie.

Si  era chinato su di me per riuscire a farsi sentire, mentre continuava a  non lasciare il mio agognato "No Problem", che ad un certo punto, finì  sul mio completo, a causa di uno spintone che mi buttò letteralmente  addosso a quel maleducato.

Stavo davvero per perdere la pazienza.

Per  fortuna il completo nero non sembrava essersi macchiato, ma sentivo  quel liquido fresco scivolarmi sui pettorali e sulla pancia.
Se non fossi corso in bagno, probabilmente sarei diventato il banchetto succulento di tutte le zanzare degli Hamptons.

Al secondo spintone ero davvero fuori di me e quando vidi quel ragazzo continuare a bere il mio drink persi davvero le staffe.
Mi avvicinai e urlando gli chiesi se gli fosse piaciuto.

«Molto buono.» rise divertito e soddisfatto, ridandomi il bicchiere mezzo vuoto.

«Allora  se ti piace tanto, puoi anche finirlo.» esclamai con un sorriso, mentre  gli versavo sulla camicia di seta nera il resto del mio cocktail.  «Gustatelo tutto, stronzo!»

Avrei voluto rimanere lì a godermi la  sua espressione sconvolta, ma improvvisamente si aprì un varco e  approfittai dell'occasione per sfuggire da quel carnaio.

Corsi al  tavolo dove trovai Gemma che rideva. Ripensai a tutte le feste di  compleanno con la torta, le candeline, i giochi di società e i nostri  genitori...
Niente a che vedere con quel locale che già detestavo, dove non avevo potuto scambiare neanche una parola con mia sorella.

La peggior festa che si fosse mai vista!

Una volta in bagno, mi avvicinai ad uno dei lavandini e con alcune salviette bagnate mi ripulì la pelle appiccicosa.

Sotto  la luce della specchiera del bagno era più evidente la macchia sulla  camicia, ma non potevo farci nulla. Avrei dovuto tenermela fino al  ritorno a casa.

Stavo continuando a pulirmi quando la porta del bagno si spalancò.

«Come cazzo ti sei permesso di rovesciarmi il drink addosso?» esplose una voce alle mie spalle.

«Tu devi essere quello che mi ha rubato il cocktail, presumo. Mi devi dieci dollari.»

Il ragazzo rise. Una risata profonda e minacciosa.

«Forse  non hai capito tu, baby. Io non ti devo un bel niente. Sei tu che mi  devi trecento dollari per questa camicia di seta italiana che mi hai  rovinato.»

"Chiamami ancora baby e ti spacco la faccia!"  gridò la mia mente, ma riuscì a frenare la lingua e a voltarmi verso  quell'idiota, cercando di assumere l'espressione più altezzosa e  stizzita che potessi assumere.

«Quanto mi dispiace!» sbuffai sarcastica. «Perché non vai da mammina a fartene comprare un'altra?»

Il  tono non dovette proprio piacergli perché improvvisamente mi piombò  addosso, spingendomi contro il lavandino e circondandomi con le sue  braccia.
E, nonostante fosse nettamente più basso di me, riuscì ad impedirmi di muovermi.

Mi ritrovai con il suo viso a cinque centimetri dal mio, ma non arretrai e non abbassai lo sguardo.

Sarei morto piuttosto che essermi lasciato intimorire da questo stronzo!

«Trecento dollari. Ora!» sibilò a denti stretti inchiodandomi con lo sguardo infuocato.

«Scordatelo! Ed ora levati di torno. Devo tornare dai miei amici.»

Ogni tuo desiderio è un ordine, bastardo » L.S.Waar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu