Una lezione spacca-cervella

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Allo scoccare dell'ultima campanella Blaine aspettò il suo solito minuto accademico restando seduto al suo banco e finendo di trascrivere gli ultimi appunti di goniometria, il tempo di far sfollare tutta la mandria di ragazzi che sembravano scappare dall'aula come se non ci fosse un domani. Non sopportava la calca e poi non c'era alcuna fretta, anche se, in effetti, aveva una cosa da fare: Kurt Hummel gli aveva detto di aspettarlo fuori dalla palestra dopo la lezione, per poi iniziare finalmente le fatidiche "ripetizioni".
All'inizio avesse pensato fosse uno scherzo; certo, aveva dato qualche lezione per farsi un modico gruzzoletto, ma restava comunque una cosa inaudita, insomma, lui stesso non ci avrebbe mai scommesso un soldo bucato: Blaine Anderson che dava ripetizioni di matematica al ragazzo più popolare della scuola. E per quanto sembrasse fuori dal mondo, da un lato, ebbene lo era ancora di più dall'altro, perché se lo dovette proprio chiedere: perché mai aveva accettato di aiutarlo? Quale strano moto convettivo del suo cervello lo aveva portato a dire "sì, ok, sicuro, ci vediamo dopo" con una tranquillità destabilizzante, come se avesse appena organizzato un incontro di Warhammer? (*) Come se non si fosse scavato un piede nella fossa da solo, pensò lui. No, proprio per niente. In pratica c'era già la bara pronta a prenderlo.
Cercò seriamente di dare risposta a quella che poteva sembrare una domanda retorica, e alla fine, dopo un breve momento di respiro e di riflessione personale, ottenne due ipotetiche risposte: la prima, quella più banale e, forse, più inutile, era che quel ragazzo gli aveva promesso dieci dollari a lezione e in quel modo sarebbe riuscito perfino a comprarsi Assassin's Creed (*) senza dover ricorrere alla paga di compleanno; ma c'era un altro motivo? Blaine non sapeva dirlo, non allora. Era un motivo che non capiva nemmeno lui tanto bene, ma sapeva che era lì, nascosto, e che prima o poi sarebbe spuntato fuori.
Ordinò accuratamente gli appunti ricopiati, sistemò i libri di matematica nella tracolla, e poi lasciò finalmente l'aula, camminando a passi svelti, cercando di non incappare in nessun giocatore di football o hockey mentre raggiungeva la palestra; cosa che, doveva aspettarselo, fu praticamente impossibile: quel posto pullulava di gente. Ma, per fortuna, erano tutti troppo impegnati ad osservare i sederi delle cheerleader che in quel momento stavano finendo il loro ultimo numero, per badare a lui. Non gli andava di aspettare in piedi fuori dalla porta, così decise di entrare, sperando in cuor suo di non essere visto - era abbastanza bravo, nel diventare invisibile -, e si sedette in un angolino remoto della gradinata, attendendo con pazienza e lasciandosi cullare dal ritmo movimentato della musica che riecheggiava nell'aria.
Non gli erano mai dispiaciuti i Cheerios: erano bravi, ballavano bene, e più volte avevano eseguito coreografie sulle note di qualche canzone di Katy Perry - cosa che, in effetti, aveva fatto guadagnar loro miliardi di punti -; l'attività in sé era molto interessante, ma era il contesto che lo disturbava: ragazzine viziate che si credevano al centro del mondo e uomini in piena crisi ormonale che avrebbero venduto un braccio per passare una notte con loro. Il loro mondo sembrava essere tutto lì, tra una pillola e l'altra, fra un commento particolarmente cattivo su qualche loro compagna che osavano definire amica e qualche scenata isterica quando la diretta interessata lo veniva a sapere. Lo riteneva semplicemente scialbo, vuoto e noioso.
Si stava godendo lo spettacolo con poco interesse fino a quando i suoi occhi nocciola incrociarono sbadatamente la figura di Kurt. E solo allora si concesse di riflettere, di analizzare un po' il ragazzo con cui avrebbe dovuto passare tutti i suoi pomeriggi da lì ad un mese.
Di lui sapeva poche cose, quelle note a tutti, ed alcune dicerie che si erano diffuse con il tempo, conseguenza inevitabile per chi avesse più di quattrocento amici su facebook: ovviamente, sapeva che era il capo-cheerleader, e sembrava che avesse sempre una risposta a tutto. Sapeva anche che era gay. E no, quel dettaglio non era assolutamente rilevante. Così come non lo era il fatto che lui stesso fosse gay.
Dicevano anche che fosse incredibilmente stronzo; eppure, guardandolo eseguire un movimento insieme a Mercedes, a Blaine sembrò tutt'altro: conosceva la ragazza solo di vista, ma era chiaro che quei due si volessero un bene dell'anima. E non appena si staccò da lei, notò che Kurt riassunse una sorta si sguardo imperscrutabile, come se il resto del mondo non contasse.
Era un atteggiamento sicuramente strano. Ma Blaine era troppo ingenuo per capire, e conosceva quel ragazzo ancora troppo poco. Si limitò ad osservarlo ballare, mentre la voce potente e calda di Mercedes animava l'atmosfera.
E, beh, Kurt non era proprio niente male.
No Blaine, evita di fare pensieri poco attinenti, si ammonì con una smorfia sul viso. Il fatto che fosse gay e che anche lui fosse gay e che insomma fossero tutti e due gay non implicava che-
Kurt aveva appena fatto un gesto secco ed eloquente col bacino, roteandolo appena, e facendo l'occhiolino alla sua amica con uno sguardo divertito ed ammiccante.
Ok, chi aveva acceso il riscaldamento in quella palestra? Si sentiva le guance andare letteralmente in fiamme.
E più andava avanti così, più Blaine diventava molto velocemente un fan di quelle divise. Perché, insomma, erano fatte bene. I fianchi di Kurt rotearono un'altra volta. Erano fatte proprio bene.
Ok, faceva davvero caldo.
Per fortuna, poco dopo, lo spettacolo finì, e Blaine ne fu incredibilmente felice, per amor della sua sanità fisiologica e mentale.
Non poteva fare quei pensieri: era un cheerleader, dopo tutto, ed era obiettivamente bello: avrà avuto una fila di spasimanti lunga chilometri e chilometri, tutti con il proprio numerino in mano per attendere il proprio turno.
E lui era soltanto l'ultimo della fila; l'ultimo e il più invisibile, sicuramente.
Dopo esseri ricomposto un minimo, aggiustando cravattino e occhiali da vista e scacciando imbarazzanti pensieri, scese velocemente le scale della gradinata, e si diresse con un sorriso incoraggiante verso Kurt. Anche se, in verità, voleva più incoraggiare se stesso.
Il cheerio intanto si stava lasciando cullare per un momento dagli abbracci di Mercedes, mentre commentava con fare orgoglioso il numero della loro parte fatta insieme. Era stato proprio bravo quella volta, e pensò quasi di andarsi a comprare un bel caffè come premio, quando sentì alle sue spalle una voce inconfondibile chiamarlo con tono allegro e confidenziale.
"Hey, Kurt?"
Si voltò di scatto, assieme a metà palestra. Blaine era lì, con i suoi Persol ammaccati e il suo cravattino scintillante. Immaginò che fosse venuto per complimentarsi per la sua performance; beh, come biasimarlo? Alzò il mento un po' all'insù, posando con eleganza le mani sui fianchi e attendendo quelle magiche parole: erano sempre piacevoli le lodi di un nuovo ammiratore.
"Allora! Pronto per un po' di calcolo spacca-cervella?"
Silenzio.
No. Non poteva averlo detto sul serio.
Non di fronte a tutta quella gente. Non con quel sorriso a trentadue denti che sembrava volesse sconfiggere il cancro.
"Oh mio Dio! Hummel, da quando in qua prendi lezioni private da Anderson?" Ammiccò Santana Lopez con un ghigno che valeva più di mille parole; ma prima che qualcun altro si azzardasse a fiatare Kurt aveva già spinto Blaine fuori dalla palestra, rifugiandosi dentro allo stanzino dei bidelli e fulminando quel ragazzo come se volesse trafiggerlo.
Blaine, in risposta, continuava a non capire e quella vicinanza improvvisa con Kurt non aiutava per niente i suoi neuroni a connettere per bene.
"Regola numero uno - Soffiò il ragazzo, ad un centimetro dal suo viso - non parlarmi quando siamo in presenza delle altre Cheerio. Non parlarmi nemmeno a mensa, nei corridoi, o in qualsiasi altro posto in cui tu possa essere udito. In effetti, è meglio che non parli affatto."
Deglutì vistosamente di fronte a quegli occhi così intensi, e fece per balbettare un timido "ok", ma si fermò di scatto notando la sua reazione allarmata, limitandosi ad annuire.
"Bene. -Commentò Kurt- Regola numero due: ti prego, cerca di non essere così happy sha-la-la. Potrebbero perfino pensare che siamo amici."
L'altro ragazzo stava quasi per scoppiare a ridere - perché, in effetti, quella situazione era un po' ridicola - ma qualcosa nella sua occhiata gelida gli consigliò di non provarci nemmeno con il pensiero. Di nuovo, restò in balìa dell'indecisione e totalmente schiavo dello sguardo dell'altro; blu, i suoi occhi erano blu. No, azzurri. Forse verdi? Erano indescrivibili.
Ci fu qualche secondo di pausa, nei quali si fissarono reciprocamente, i loro respiri quasi sincronizzati, i loro busti a distanza di una spanna, e tutto ciò che riusciva a percepire Blaine era il calore del suo corpo attraverso quella splendida divisa. E solo quando vide il suo palese imbarazzo Kurt si rese conto di quanto fossero realmente vicini. E si stupì anche del fatto che non gli dava fastidio. Anzi, era come se quella loro vicinanza fosse...confortante.
"Regola numero tre?" Balbettò allora Blaine, cercando di prendere aria. Troppo calore. Troppa tensione. No, tutto quello non faceva bene alla salute.
"Nessuna regola numero tre." Rispose allora Kurt indietreggiando da lui di un passo, sbirciando poi dal buco della serratura. Dopo aver controllato che il campo fosse libero, si trascinò via Blaine e si diresse il più in fretta possibile verso la macchina.

Come un HEADSHOT al cuoreWhere stories live. Discover now