1) Giorno 1.

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Ore 5:00: suonava la sveglia, il sole sbirciava dalla finestra e io non avevo la minima voglia di alzarmi. Feci scorrere il dito sul cellulare e fermai quell'assordante suono. Richiusi gli occhi per qualche secondo e ripensai bene a quello che stavo per fare.

Qualche giorno prima mamma e papà mi avevano comunicato che mi sarei trasferita a Miami Beach da mio cugino. Alla notizia avevo  tenuto un atteggiamento distaccato, indifferente, ero stata trasparente e fredda, impassibile. Ma il fatto di allontanarmi da loro  non sarebbe affatto stato un problema per me, ero abituata. Erano così poco presenti che li vedevo, se andava bene, solo la mattina, prima di andare a scuola. Non avevano tempo per me, a loro non interessava, era il lavoro la priorità. Ancor di meno importava del mio parere riguardo a questa faccenda. Ormai tutto era stato programmato e non avrebbero assolutamente accettato una qualsiasi critica da parte mia.

Scattai dal letto, feci una doccia, indossai un paio di jeans strappati chiari, una t-shirt e una felpa comoda; afferrai in fretta la valigia e mi precipitai di sotto. Papà stava seduto su una di quelle sedie laccate di bianco che circondavano il tavolo della cucina e sorseggiava il suo caffé, mentre mamma già non c'era più, aveva avuto un "contrattempo". Mandò giù un altro sorso, appoggiò la tazza e si diresse verso di me per salutarmi. Mi aspettavo un abbraccio, una stretta forte, invece mi sfiorò la fronte con le labbra e mi accarezzo il viso senza proferire parola. In preda alle mie illusioni, presi i bagagli e li caricai sul taxi che mi avrebbe portato fino all'aeroporto.

-

A Miami Beach era il tardo pomeriggio: il cielo era sfumato di viola, le nuvole erano state assorbite dall'oceano, le stelle cominciavano a brillare. Quando arrivai, vidi mio cugino Max sorridere e mordersi il labbro inferiore in segno di commozione. Ci abbracciammo e poi mi aiutò a portare dentro quelle poche borse che avevo. Non mi diede nemmeno il tempo di capire dov'era il bagno, che mi trascinò nella sua Mini Cooper per dirigerci all'Hawaii, un nightclub appena vicino alla spiaggia.

Non appena dentro, ci avvicinammo al tavolo in cui erano seduti gli amici di Max e subito adocchiai uno di questi: Austin, occhi celesti, capelli neri, alto. Ci accomodammo sul divano rosso e iniziammo a parlare del più e del meno. Poi, ordinando i drink, mi vibrò il cellulare. Era un messaggio di Clara, la mia migliore amica, che mi chiedeva come fosse andato il viaggio e tutto il resto. Al momento non avevo voglia di rispondere, volevo godermi la serata, così visualizzai, lo misi in modalità silenziosa e lo posai sul tavolino.

Nel mentre, Joshua, quello col sorrisetto antipatico, il bastardo che continuava a fissarmi le tette, iniziò a pormi delle domande sulla mia vita privata e del perché questo trasferimento da Brooklyn a Miami. Un po' seccata ammisi di non volerne parlare e lui, infastidito, accennò qualcosa con la testa e si voltò dall'altra parte. Era ancora troppo presto per dare delle spiegazioni. Non avrei potuto dire loro di quanto i miei erano dei pessimi genitori.

Sviai i miei pensieri quando giunse il cameriere (per la quarta volta forse), ed io mi accorsi dello sguardo intenso di Austin su di me; lo abbassò in fretta. Nascosi un timido sorriso e, anche io, senza farmi notare, cominciai a fissarlo. A volte i nostri occhi si incrociavano, altre, invece, fingevamo di non percepirli. Le nostre occhiate si fecero sempre più insistenti e, dopo un ennesimo improvviso incontro, Austin si mise accanto a me e sussurrò all'orecchio:
《Ti va di fare un giro lungo la spiaggia?》
Lo guardai e annuii. Nascosi il cellulare in tasca, e, prendendomi per mano, mi portò via da quel posto, dove tutti, ormai, avevano un po' perso il controllo.

《Sai, spesso mi domando perchè frequento certa gente. Se non fosse per tuo cugino probabilmente me ne sarei andato già da tempo.》mi confessò appena usciti, disegnando un sarcastico sorriso.
Ci avvicinammo al mare, lentamente. C'erano la luna che ci illuminava e le stelle che si riflettevano sull'acqua, creando un effetto magico. Si udivano solo i nostri passi e le onde che abbracciavano la sabbia.

Scorse lo sguardo lungo l'orizzonte e chiese sotto voce:
《Brooklyn, quando Joshua ti ha chiesto quelle cose, non hai risposto per dispetto a lui, per il fatto che ti guardasse il seno, o perché veramente non ne vuoi parlare?》mi feci più vicino e mi sdraiai sulla rena.
Presto anche lui si abbassò.
《Sono figlia di due grandi chirurghi. La loro vita è sempre stata basata sul lavoro e per me non c'è mai stato tempo. Se ora sono qui è appunto per il fatto che di me, a loro, non frega un cazzo. Volevano liberarsi di me.》gli rivelai.
Non avevo risposto in modo diretto alla sua domanda, ma era sufficiente a farlo riflettere e rispondersi da solo.

I nostri occhi si incrociarono ancora, e vidi la tristezza e la debolezza dei miei, riflessi nei suoi. In quel momento sentii una sensazione di libertà, fiducia e malinconia immensa. Allungò il braccio verso di me e, con le dita, spostò una ciocca di capelli dal mio viso.
《Voglio andare a casa.》pensai distratta.
Si alzò, mi aiutò a tirarmi su e disse:
《Ti accompagno io.》
Così mi resi conto che non lo avevo solo pensato. Lo fissai ammaliata, era molto affascinante.
Facemmo qualche passo, ogni tanto scalciando qualche sassolino che ci ritrovavamo sotto i piedi, e ci avvicinammo al bar, per avvisare mio cugino.

Mi aprì la portiera e poi chiese:
《Sei convinta che qua tu possa ricominciare, sbaglio?》
Accennai solo un sorriso e poi voltai lo sguardo al finestrino; ci eravamo capiti.

Giunti alla villa gli feci segno di entrare, ma rifiutò. Così, poggiò le sue mani sui miei fianchi e mi baciò sulla guancia. Mentre se ne andava rimasi lì, come una scema, a seguire con gli occhi la sua auto che si allontanava.

Buongiorno, Principessa.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora