DIOCHEDDOLORE

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Diocheddolore.

Solamente a notte inoltrata Vilò poté finalmente accostarsi al pilastrino su cui, immobile e statuario, poggiava l'Angelo Alasaxbum. Tra il riverbero delle stelle e il flebile sorriso lunare, scorse il gabbiaccione, statico e immobile, tanto da sembrare impagliato, appisolato sopra la candida e imparruccata testa del Luciane. Si avvicinò e, senza indugiare un solo istante di più, si arrampicò su per la scala. Il signor Luciane nel frattempo iniziava a mostrare i primi cenni di cedimento.

Gli occhi, percorsi da un fitto reticolo di venule, vorticando, disegnavano una destabilizzante spirale concentrica, parevano sfere illuminati da incandescenti riflessi purpurei. La bocca, grottescamente spalancata, emetteva un leggero rantolo premorte, fetido e indecoroso. Vilò, saliti pochi pioli, gli fu accanto. Il vegliardo era talmente irrigidito che non gli riusciva nemmeno di muovere un mignolo. Afferrò il sassofono, strappandolo dalle mani e, assestando un colpo deciso sulla testa dell'angelo, riuscì a scacciare il volatile che si allontanò starnazzando. Si rese conto, in un certo qual modo, di esser arrivato tardi: un liquido denso e caramelloso, intriso di un insopportabile puzzo, gocciolava pigramente lungo la testa di Alasaxbum.

-Ancora un istante signor Luciane.- Sussurrai, cercando di rimanere in equilibrio su quello scaletto che pareva piuttosto instabile e fragile, anzi, osservandolo attentamente, era veramente, instabile e fragile.

-Svelto, non ce la faccio più!- Disse il marmoreo imparruccato, sbuffando un flebile sussurro a fior di labbra.

Quando finalmente riuscii ad afferrarlo per un'ala, un rumore secco e asciutto risuonò improvviso nell'aria.

Mi parve di precipitare, mi sentivo risucchiare verso il basso da un inarrestabile principio di fisica. No, non mi sbagliavo, stavo cadendo, e Luciane con me, anzi, sopra di me.

Quando si finisce culo a terra, la prima cosa che ti salta per la mente è:- Che cazz... Sta succ... ?-.

La seconda è: - Diocheddolore.-

Mi tornava alla mente la storia di quel pastorello che, rotolando giù per un profondo crepaccio, riuscì ad aggrapparsi a un provvidenziale ramo che sporgeva dalla parete rocciosa, rimanendo sospeso nel vuoto, ma fortunatamente vivo e illeso. La situazione era complicata e pareva non avere via di scampo quando un angelo, trovandosi a passare da quelle parti, gli si accostò dicendogli: -Lasciati andare ti sosterrò io.-

- Come posso fidarmi? -

- Abbi fede ragazzo, abbi fede . -

Il ragazzo si lasciò precipitare ma, poco prima di sfracellarsi a terra, l'angelo lo afferrò saldamente per le braccia depositandolo dolcemente al suolo.

Nel precipitare tre furono i pensieri che mi balenarono in testa: il primo era che io, un Angelo, pronto a pararmi il culo mica l'avevo. Il secondo, che un paio d'ali mi avrebbe fatto comodo e terzo e ultimo, che un angelo a onor del vero c'era, con tanto d'ali, sassofono e parruccone boccolato, ma lo vidi precipitare rovinosamente a terra al mio seguito, senza non aver tentato nemmeno un miserabile battito d'ali.

Ci rialzammo tra svolazzanti e angeliche piume, brandelli d'ala, pioli di scala e la lugubre nota stonata sputata da un saxofono sgangherato. Mogi e a testa bassa, io e il Luciane, iniziammo a raccattare i tocchi, muti testimoni del nostro catastrofico volo, nel seguente ordine: un piolo di scala di legno, un sassofono in ottone camuffato da una generosa mano di smalto acrilico bianco per necessità scenica, parte terminale dell'ala destra dell'angelo Alasaxbum, svariati mazzetti di piume, una busta di confetti alla liquirizia, una macchina fotografica digitale e una "parrucca-pitale" colma e traboccante di viscida e fetida cacca dell'infame mutante.

LA PLASTICONA SERIALEWhere stories live. Discover now