Catherine si trovava sulla balconata della sua stanza quando all'improvviso il risuonare delle campane attirò la sua attenzione. Guardò di sotto e i movimenti allarmati delle guardie in strada la impaurirono. Deglutì e venne percorsa da un brivido gelido lungo la schiena, poi afferrò il monocolo dallo scrittoio e segui i bruschi movimenti delle guardie. La panoramica che le offriva la sua camera era molto vasta. Riuscì a controllare ogni abitazione, credendo che qualcuna di loro fosse in fiamme. Alzò lo sguardo al cielo temendo che stesse per cominciare una burrasca o peggio: chiunque avesse suonato l'allarme, aveva avvertito delle scosse di terremoto simili a quelle che inabissarono Port Royal. Dai movimenti dei soldati, però, la ragazza riuscì a capire che l'allarme riguardava il mare. Osservò ancora una volta attraverso il monocolo credendo che qualche mercantile fosse in fiamme, poi però in modo del tutto casuale, il suo sguardo si perse nel mare e riuscì a vedere una piccola imbarcazione di colore nero che si avvicinava al porto.

"I pirati", rifletté incredula.

Ritornò in camera, chiuse le porte e indossò quegli abiti da guerriera che suo padre le aveva proibito di utilizzare. Aprì la porta della sua camera e fuori trovò due guardie. Il Governatore era stato tanto deluso da sua figlia che addirittura voleva farla tenere sott'occhio. I due guardarono l'abbigliamento di Catherine e si scambiarono degli sguardi interrogativi.

«Mi dispiace, Miss Duchane, abbiamo l'ordine di non farla uscire», esordì uno dei due.

«Le campane», riuscì solo a rispondere la ragazza, «suona l'allarme.»

I due non riuscirono subito a capire cosa volesse dire ma quando Catherine riaprì le porte della balconata e il suonare frenetico delle campane fece irruzione nella stanza, anche le due guardie si resero conto che stava per accadere qualcosa di insolito. Catherine non perse altro tempo. Approfittò della distrazione dei due e prese le loro spade dalle rispettive fondine. Corse fuori dalla sua camera di fretta e chiuse le porte. Prese un candelabro appeso al muro e lo utilizzò per bloccarle ed evitare che i due riuscissero ad uscire fuori. Si recò nella camera da letto del padre e urlò, svegliandolo dal sonno profondo.

Il Governatore fece un balzò e, con gli occhi ancora assonnati, si mise a sedere. Tra la veglia e il sonno non riuscì a capire cosa stesse succedendo. Vide sua figlia conciata in quel modo e avrebbe voluto gridare, urlare per la delusione, ma non era nel suo stile. Preferì restare in silenzio. Udì il suono delle campane e non ci fu motivo di chiedere a sua figlia per quale motivo si trovasse lì. «Chiama il Capitano John Wilmot.»

«Dannazione!» sbraitò David, «qualcuno mi faccia uscire da queste maledette celle!» continuò ad urlare infuriato.

Le campane in allarme avevano fatto irruzione anche nei bassifondi del palazzo. David sapeva che l'allarme serviva per ordinare alle persone di restare chiusi in casa e non lasciare la propria abitazione in caso ci fosse qualche pericolo in vista. Il suono delle campane durante la notte era un evento assai raro a Kingston. Dal grande terremoto che generò caos, confusione e un numero enorme di morti, avevano deciso che l'allarme sarebbe servito solo per far in modo che le persone si svegliassero dal loro sonno. Dovevano essere vigili e attenti, senza poter lasciare le proprie abitazioni a meno che le guardie non bussassero alla porta della loro casa.

«Maledetti burattini», sbraitò ancora David. Aveva la strana sensazione che tutto fosse legato all'incendio delle Golden Islands e che, qualunque cosa stesse succedendo a Kingston, era solo colpa sua. «Dannazione!» si lamentò ancora spostandosi dalle sbarre.

«Dave!», urlò una voce proveniente dalle scale, «andiamocene via di qui.»

«Chad», sbraitò David appena riconobbe i capelli ricci dell'amico, «Che sta succedendo?» riuscì a chiedere, anche se in quel momento avrebbe voluto inondarlo di domande.

«Una nave pirata», tagliò corto Chad.

«Vogliono me», palesò David, «saranno amici di quel pirata che ha cercato di uccidermi», ipotizzò.

«Dobbiamo scoprirlo», commentò Chad che cominciò a guardarsi attorno. Tutta la sua attenzione sembrava concentrata su un qualcosa che David non riuscì a capire.

«Devo parlare con il Lord», ribadì David a se stesso.

«Avrai il tuo confronto con lui più tardi», rispose pronto Chad, «quando tutto sarà finito, attenderai il suo arrivo al porto», continuò. «Adesso pensiamo a questa città. Là fuori c'è Catherine che ha bisogno di te e se è vero che quei pirati sono qui per cercarti, allora qualsiasi cosa succederà a questa gente la colpa sarà solo tua!», tentò di convincerlo, «Perciò concentrati. Lascia perdere tutto. Idee, pensieri e colpe, e diamo il nostro contributo. Non puoi morire senza prima aver lottato. Sarebbe troppo facile per quei furfanti.»

In un primo momento David decise di essere egoista e pensare a sé, poi sembrò ricredersi, «credo che dovresti trovare le chiavi Chad», suggerì ironico. Non aveva molte possibilità di scelta. Se la marina non sarebbe riuscita a fermarli, allora il Lord avrebbe avuto poche possibilità di salpare a Kingston il giorno seguente. Doveva lottare non solo per proteggere la vita di Catherine, doveva lottare anche per se stesso.

«Ehi! Non so maneggiare una spada, questo te lo concedo, amico. Ma non ti do il permesso di insultarmi! Sono un fabbro, rammenti?» sorrise, alludendo alle parole di David. Si spostò in alto a sinistra delle sbarre, «Sono molto sottili e totalmente arrugginite», notò.

«Cosa facciamo?» chiese David.

«Semplice», rispose Chad, «io posiziono la mia balestra tra le sbarre e cerco di tirarle a me con quanta più forza possibile», cominciò a spiegare, poi ordinò a David di correre verso di lui e saltare.

David eseguì gli ordini. Si posizionò al muro opposto e quando Chad gli diede il via cominciò a correre e si lanciò come una palla di cannone sulle sbarre. Vibrarono ma non successe nulla. Riprovarono e la seconda volta sembrò che gli incavi di ferro stessero cedendo. Tentarono ancora e ancora fino a quando un grosso tonfo, seguito da un'echeggiante suono del ferro caduto a terra, annunciò che David era fuori dalla cella. Per via dell'umidità gli incavi delle sbarre, collegati al muro, avevano ceduto. Una puzza di marcio aleggiò nell'aria più forte di quanto non fosse prima.

«Sono un genio, dì la verità, amico», brontolò con vanità Chad, rimettendosi in piedi.

«Genio, eh?» commentò ironico David, alzandosi a sua volta. Si spolverò i vestiti e recuperò la bandoliera con la spada e il coltello. Avrebbe avuto di certo bisogno del suo arco. Si chiedeva dove fosse Kristopher e perché non fosse ancora tornato.

I due risalirono in fretta le scale e, quando aprirono la porta per irrompere nel palazzo, si accorsero che non tutto andava secondo i loro piani.

«Non possiamo farlo», disse David, poggiandosi con le spalle al muro.

«Dobbiamo», lo corresse Chad. «Ascolta non importa quanto tu pericoloso possa essere dichiarato», cercò di convincerlo, «Se quei ladruncoli sono qui per te, metteranno la città sottosopra per trovarti», continuò ancora, «La vita di molte persone è in ballo, Dave. Catherine capirà», lo rassicurò infine.

David sospirò, poi annuì.

«Io sono la mente», annunciò Chad, «tu il braccio! »

Insanity - Nec Plvs VltraWhere stories live. Discover now