Di oche e di farfalle

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Oggi iniziamo la settimana al museo archeologico, nel laboratorio di restauro e conservazione diretto dalla mia amica Nisan.
Ci lavorano una mezza dozzina di restauratori, in prevalenza giovani donne, e prevedo che il nostro arrivo, o meglio l'arrivo di Robert, porterà un po' di scompiglio.
Nisan ci accoglie all'entrata del museo e, dopo un breve giro, ci guida fino al laboratorio che si trova nei sotterranei.
-La dottoressa Guerra la conoscete già.- ci presenta ai suoi collaboratori -Questo è il signor Downey.- come se la componente femminile dei presenti nella stanza avesse bisogno di presentazioni! Probabilmente sono in fibrillazione da quando hanno saputo che saremmo arrivati.
-Siete già informati di quali saranno i vostri compiti durante la loro permanenza, quindi direi di non perdere altro tempo e di metterci al lavoro.- conclude con uno sguardo più che eloquente alle quattro restauratrici che ancora indugiano a parlarsi all'orecchio come adolescenti, lanciando occhiate adoranti in direzione di Robert, con un sorriso ebete stampato in faccia.
Perché alcune donne debbano comportarsi come oche quando hanno davanti un bell'uomo, è qualcosa che non capirò mai.
Certo però, che anche lui poteva evitare di sfoderare quel suo sorriso da seduttore.
-La smetti, Downey?- lo ammonisco sottovoce, dandogli una gomitata, mentre seguiamo Nisan alla sua postazione di lavoro, dove l'assisteremo nel restauro di una coppa ionica.
-Di fare cosa?- mi chiede con fare innocente. Sembra sinceramente stupito.
-Di sorridere a quel modo a quelle povere ragazze.- sibilo.
-Sei per caso gelosa, dottoressa?- insinua malizioso.
-Figurati. Volevo solo evitarti dei guai.- so essere veramente perfida, quando mi provocano -Siamo pur sempre in un paese a maggioranza musulmana... a volte può bastare uno sguardo o un sorriso mal interpretato e... zac!-
-Zac?- mi guarda dubbioso.
-Zac.- ripeto, annuendo seria
Poi, per non scoppiare a ridere, mi giro verso Nisan, che deve aver ascoltato il nostro scambio di battute, perché mi sorride complice.
Non credo che Robert abbia creduto ad una sola parola di ciò che ho detto, ma almeno ha smesso di sorridere a quel modo.
Non voglio passare i prossimi giorni circondata da una muta di ochette in pieno subbuglio ormonale.

Mi sveglio all'alba, e per un po' rimango così, cullata dal suono della voce del muezzin che, dal minareto della vicina moschea, chiama i fedeli alla prima preghiera della giornata.
Questo è l'ultimo giorno che passeremo a Istambul.
L'ultimo giorno che passeremo insieme da soli.
Domani raggiungeremo la troupe, lui sarà nel suo mondo e le cose cambieranno.
Non passeremo più tante ore insieme. E un po' mi dispiace, perché non so se e come continuerà questa nostra strana amicizia.
Da quella sera nel giardino di Flore, è diventata un'abitudine rimanere a chiacchierare dopo cena.
Ancora adesso, non so cosa mi abbia spinto a raccontargli così tanto di me.
L'avevo seguito solo per scusarmi, invece mi ero ritovata a raccontargli gli ultimi otto anni della mia vita. Come se fosse la cosa più naturale del mondo. E in quel momento lo era.
Certo, non gli ho detto tutto, ci sono cose di cui faccio ancora fatica a parlare, ma ora lui sa di me molto più di quanto non conoscano tante persone che sono entrate a far parte della mia vita in questi ultimi anni.
Ed anche lui, durante le nostre chiacchierate serali, mi ha parlato di sé.
Non di ciò che si può trovare digitando il suo nome su Google, (si, lo confesso, l'ho fatto. Il giorno in cui ci siamo conosciuti.), ma delle cose che si dicono agli amici, alle persone di cui ti fidi.
Perché c'è qualcosa di importante che ci accomuna.
Il fatto che è stata data ad entrambi la meravigliosa possibilità di costruirci una seconda vita.
Non so come lui fosse prima, ma la persona che è ora mi piace, perché, nonostante la notorietà e il successo, dimostra di saper apprezzare le piccole cose che la vita sa regalarti.
Come il giorno in cui ha scoperto quella moneta.
Sorrido al ricordo. I primi due giorni li avevamo passati ad impostare la zona di scavo.
Quello era il primo giorno che mettevamo mano allo scavo vero e proprio.
-Barbara,- mi aveva chiamato con un tono urgente -credo che qui ci sia qualcosa.-
Mi ero avvicinata e, mentre registravo la posizione dell'oggetto sullo schema di scavo, gli avevo consigliato di procedere più delicatamente con un pennellino, pensavo di aver capito di cosa si trattasse.
Mi aveva guardato incerto, forse sorpreso che lo avessi fatto continuare.
Ero rimasta ad osservare le sue mani, mentre con estrema attenzione liberava dagli ultimi residui di terra, quella piccola moneta consumata dal tempo.
Mi era tornata in mente la prima volta che avevo partecipato ad uno scavo.
L'emozione provata tenendo fra le mani un frammento di ceramica, pensando alle mani antiche che lo avevano toccato prima di me.
La stessa emozione che avevo letto nei suoi occhi quando aveva preso delicatamente il piccolo disco di metallo e l'aveva tenuto sul palmo per osservarlo meglio.
-Ora capisco perché ami tanto questo lavoro- aveva detto guardandomi negli occhi, -È commovente pensare che hai in mano un oggetto che è stato toccato da persone che sono polvere ormai da secoli. Hai quasi l'impressione di poterle in qualche modo far rivivere.-
I miei occhi si erano inumiditi ed avevo distolto lo sguardo.
-Pensi che verrà esposta là?- aveva chiesto poi, indicando l'edificio dell'antiquarium.
Avevo annuito sorridendo, intenerita dalla sua domanda.
Non avevo avuto cuore di dirgli che era una delle monete greche più diffuse e che l'anno passato ne avevamo riportate alla luce altre otto, che erano andate a prendere polvere nei depositi del museo.
-E ci metteranno pure un cartello con il tuo nome.- avevo scherzato.
-Mm... moneta Downey,- era stato al gioco, -mi piace, suona bene.-

Il trillo del telefono mi riporta al presente.
-Pronto?-
-Non dirmi che stai ancora dormendo!-
Chi ha detto che le star di Hollywood si alzano tardi?
Sono solo le sette e lui è già in piedi e probabilmente pronto ad uscire.
-Ti sei dimenticata che oggi faremo i turisti?-
Oggi è un giorno festivo, il laboratorio è chiuso, e ho promesso a Robert di mostrargli la città.
-Dammi mezz'ora e sono pronta.-
-Donne...- sbuffa -Vi fate sempre aspettare!-
-Che fai, Downey? Provochi?- riattacco ridendo.
Mi alzo in fretta e corro in bagno per una doccia veloce.
Scelgo una maglietta, un paio di jeans, calzo le mie fidate sneakers, afferro la borsa e un giacchino leggero e in venti minuti sono pronta.
Un record. Voglio vedere se ha il coraggio di dire che l'ho fatto aspettare!
Apro la porta e per poco non gli cado addosso.
Che ci fa davanti alla mia porta? Dovevamo incontrarci di sotto.
Poggia le mani sui miei fianchi per farmi recuperare l'equilibrio.
I nostri corpi sono vicini. Troppo vicini. Posso sentire il suo profumo.
I nostri sguardi si incontrano. Il mio cuore prende a battere all'impazzata. Sento le guance avvampare.
Mi divincolo da quello che somiglia tanto ad un abbraccio e mi allontano di un passo.
Calma, Barbara.
Respira.
Non è successo niente.
È solo perché dall'ultima volta che sei stata così vicina ad un uomo è passato tanto tempo.
''Troppo!''
Zitta, vocina molesta!
Adesso fai un bel respiro, ti ricomponi, e gli dici...
-Allora, vogliamo andare? Mi sembrava di aver capito che fossi ansioso di uscire.-
-Agli ordini, dottoressa!- dice prendendomi per mano e avviandosi.
Il cuore torna a fare le capriole e pare che il mio stomaco sia invaso da un nugolo di farfalline svolazzanti.
Un calo di zuccheri.
Deve essere senz'altro questo.
In fondo non ho ancora fatto colazione.
Ho bisogno di un cappuccino per affogare queste dannate farfalle!

La Mia Seconda VitaWhere stories live. Discover now