Il segreto della stanza buia

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Ricordo di aver pensato che a volte la paura è peggio di una tortura.

Buio. È questo che vedo sin da quando ne ho ricordo. Mi ritrovo in una stanza vuota e buia come una grotta dimenticata. L'unica differenza è che qui non c'è nessuna via d'uscita. Per quanto io mi sforzi, rimango chiuso qui, con la paura che fa il suo lavoro, cioè mangiarmi lo stomaco.

Provo a toccare le pareti, anche se mi risulta davvero complicato muovermi. La stanza è così piccola che non posso nemmeno sgranchirmi le gambe, figuriamoci mettermi in piedi. Sfioro un muro. È ruvido, ed è quadrato. Tutti i muri sono quadrati. Mi sento rinchiuso in una gabbia, e tento di soffocare l'istinto di piangere.

Non solo non riesco a capire dove mi trovi, ma non ricordo neppure chi io sia. Non posso nemmeno guardare il mio corpo con questo buio pesto. Avvicino una mano al mio viso, ma non riesco a percepirne nemmeno la presenza. Mi tasto le gambe e rimango atterrito. Due tronchi di legno. Queste sarebbero le mie gambe? Non riesco a capire chi abbia potuto farmi una cosa del genere. È una tortura vivere così, sarebbe meglio morire! Così faccio ciò che gli somiglia di più, mi metto a dormire.

Ma neanche questo mi è concesso. Uno scossone muove la stanza, come fosse la scarica di un terremoto. Vengo sbattuto contro le pareti come fossi una palla pazza. Mi viene da vomitare, ma lo sconquasso non accenna a diminuire. Finalmente, dopo un po', la stanza si ferma. Cerco di ritrovare l'orientamento, anche se il buio non aiuta. Mi accorgo, però, che la stanza non è più immobile come lo era prima di quel terremoto. Una strana vibrazione si diffonde nel pavimento, e per la prima volta in vita mia avverto dei suoni. Non riesco a decidere se sia una cosa positiva o negativa. Se non altro è un diversivo, in questa vita monotona e buia. Mi metto in ascolto di quegli strani suoni. Sembrano dei motori. Possibile che abbiano aperto una strada, proprio vicino alla mia prigione? Così, in un attimo, come fosse stata costruita da quello strano terremoto?

Continuo ad ascoltare e sento delle voci. Allora non sono solo!

«Ehi Frank! Fermiamoci a prendere un panino, muoio di fame!»

«No! Ti ho detto mille volte che durante il lavoro non possiamo andare a mangiare schifezze. Prima il dovere...»

«...e poi il piacere! Lo so, lo so. Sei noioso Frank!»

«Dobbiamo portare a termine quest'ordine. E poi magari facciamo una breve sosta, ok Rob?»

«Finalmente si ragiona!»

Portare a termine l'ordine? L'ordine sarei io? Il cuore mi sale in gola e non riesco a respirare. Questa non è una stanza, è una gabbia vera è propria! Vogliono uccidermi, ne sono certo! Tasto le pareti con nervosismo, ma non trovo nessun appiglio. Nessuna piccola speranza di aprire questa prigione e scappare.

Improvvisamente il mezzo su cui mi avevano caricato si ferma, e ancora una volta la mia stanza gira vorticosamente su se stessa.

«Rob, vai a prenderlo.»

Due mani afferrano la mia gabbia, dentro la quale adesso mi accontenterei di restare ancora per un bel po'. Sento l'aria mancare. Avanziamo dondolando leggermente. Poi sento un suono che non riconosco.

Dlin dlon.

Un'altra voce si aggiunge ai miei aguzzini.

«Salve, avete portato ciò che ho richiesto?»

«Eccolo.»

«Volete accomodarvi?»

«No, grazie», risponde quello che riconosco essere Frank. «Portiamo a termine quest'ordine e poi eseguiamo urgentemente una commissione.»

«Già, una commissione», lo appoggia Rob ridacchiando.

Come si può pensare al cibo mentre si conduce un uomo al suo triste destino?

Il mondo traballa mentre Rob mi passa all'uomo che, di certo, mi ucciderà. Sento la porta chiudersi alle mie spalle. Ne ho abbastanza di restare chiuso qui dentro, al buio!

Un grido si avvicina alle mie orecchie. Il tetto della mia nera prigione comincia a spaccarsi. Il cuore mi batte all'impazzata. Un filo di luce finalmente raggiunge i miei occhi, accecandomi. Non riesco a vedere nulla. Poi mi abituo alla luce e vedo una testa enorme attaccata ad un corpo altrettanto grande. Due grandi occhi scuri mi fissano, mentre le labbra sogghignano. Mi afferra, mi accorgo di essere piccolo in confronto a questo gigante. Mi volto e noto un gigante ancora più grande. Quello che mi stringe fra le mani è solo un bambino.

«È il soldatino di legno che desideravo! Grazie papà!»

Il bambino corre verso suo padre continuando a stringermi in una mano. Dopo averlo abbracciato, corriamo nella sua stanza, che sembra il paradiso in confronto a ciò che mi aspettavo.

«Ci divertiremo un sacco io e te! Saremo migliori amici.»

Gli occhi del bambino mi fissano con gioia e il mio cuore finalmente si tranquillizza.

Mi è andata bene, sono un giocattolo!

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