Sarà per sempre

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Appena inizia a piovere corro subito verso casa. Non avrei dovuto allontanarmi così per andare a giocare con quei bambini. Ora mamma e papà si preoccuperanno non vedendomi tornare. Corro più veloce che posso lungo la via che almeno mi pare che porti a casa mia. Intanto ha cominciato a piovere molto di più e io mi sto bagnando tutto stando qui fuori con questo tempaccio. Vedo che tutti nel Distretto stanno rientrando a casa e vorrei tanto esserci anch'io a casa mia, al coperto, asciutto. Una radice mi fa inciampare e così finisco a terra, facendomi male a un ginocchio e piantando i palmi a terra. Guardo la gamba e mi accorgo che sanguina. Inizio a piangere, ma non tanto per il dolore fisico, ma piuttosto perché sta diluviando, io sono lontano da casa e in questo momento vorrei solo che i miei genitori fossero con me. Una voce mi fa alzare lo sguardo, ma vedo solo un'ombra indistinta per quanto piove forte. - Perché piangi?

La figura si avvicina a me e solo quando mi è vicino, mi rendo conto che è un ragazzino che dimostra più o meno la mia età. Ha i capelli chiari appiccicati al volto e anche lui è zuppo quanto me, ma, a differenza mia, lui non sembra per nulla disperato.

- Mi sono fatto male - rispondo abbassando lo sguardo sulla mia gamba.

- Non devi piangere per queste cose - il ragazzino mi porge una mano e io l'accetto titubante alzandomi in piedi.

Ho la gamba dolorante, ma lui mi aiuta portando il mio braccio sulle sue spalle, permettendomi di appoggiarmi a lui.

- Andiamo - dice incominciando ad avanzare lentamente sotto la pioggia. - Ti porto a casa.

- Quando arriveremo ti offrirò lo stufato che ha fatto la mia mamma!

- Non è per questo che lo faccio - ribatte lui con una serietà insolita per un ragazzino di sette anni.

- E perché allora?

- Perché avevi bisogno di aiuto.

Lo guardo mentre continuiamo a camminare e la pioggia non la smette di scendere. Alla fine i suoi occhi color nocciola incontrano i miei, ma poi lui torna subito a guardare davanti a sé.

- Comunque io sono Thomas - dico.

- Newt - risponde lui.

Nel momento in cui tutto finì mi ricordai di come tutto era iniziato.

Era passato ormai molto tempo dal mio ultimo incontro con Newt, gli Hunger Games era iniziati da tre giorni.

Non mi ero mai perso un secondo delle sue apparizioni in tivù, l'avevo visto tirare con l'arco, l'avevo visto sfilare su un carro trainato da cavalli neri, l'avevo visto sorridere fingendo di essere entusiasta con un intervistatore di Capitol City, l'avevo visto correre verso la Cornucopia non appena i trentaquattresimi Hunger Games ebbero inizio.

Se l'era cavata bene fino a quel momento, sia fuori che dentro l'Arena. Avevano mandato diversi brevi filmati su di lui e non rimasi troppo sorpreso di vedere anche il nostro bacio alla mietitura che veniva trasmesso in tutta Panem. Sapevo che Capitol avrebbe approfittato di un simile gossip e sono sicuro che lo sapeva anche Newt.

Non dissero molto su di me, solo che ero il ragazzo per cui Newt si era offerto volontario e che questo aveva acceso la scintilla che poi mi aveva fatto innamorare perdutamente di lui.

Ma non era così. Non era affatto così. Era da molto prima della mietitura che io provavo sentimenti del genere per lui, ma non mi importava di smentire, l'unica cosa che mi importava davvero era che lui sapesse la verità.

A Newt comunque domandarono più volte di me, ma lui si limitò sempre a rispondere con un finto sorriso e una delle sue battute per cambiare discorso.

I volunteer as tribute || NewtmasWhere stories live. Discover now