▴Uno▴

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Appoggiata al davanzale della finestra, guardavo la luna. Se ne stava lì, immobile, senza batter ciglio.
Cosa avrei dato per avere una vita differente, qualunque altra vita, ma non la mia.

Anche quella sera i piatti avevano già cominciato a volare e le grida di mio padre si erano fatte acute, mentre le parole gli rimanevano per metà bloccate in gola.

Mi avvicinai alla porta e la chiusi a chiave, non gli avrei più permesso di alzare un dito su di me.

Mia madre, al contrario, si ostinava a difenderlo, ma non per amore come si potrebbe pensare. Tutt'altro. Non voleva perdere l'agiatezza e i lussi che solo lui poteva offrirle, non voleva perdere il prestigio sociale, le amicizie influenti, non voleva buttar fango sul buon nome dei Wilson.

Così, rimaneva legata a un uomo freddo, acido e dal cospicuo conto in banca.

Spesso mi chiedevo come avessi potuto ritrovarmi in una famiglia del genere. Nessuna traccia d'amore o affetto. Avevo sempre vissuto all'ombra del mio cognome.

L'unica che si prendeva cura di me era Joy, che negli anni era diventata una specie di sorella maggiore. Lavorava come domestica in casa nostra da quasi dieci anni. Aveva iniziato quando aveva solo qualche anno più di me. Il particolare rapporto venutosi a creare era estremante vicino a quello di un'amica fidata, una persona su cui poter sempre contare. L'affetto e la fiducia reciproca erano la base della nostra complicità.

Lei non aveva avuto la "fortuna" di nascere in una famiglia come la mia. Era stata cacciata di casa appena i suoi avevano scoperto essere rimasta incinta di un farabutto che l'aveva per di più abbandonata appena saputo del bambino.

Avevo una stima enorme per quella ragazza che, rimasta sola, si era cercata un lavoro per mantenere sé e il suo bambino, rinunciando ai suoi sogni e al suo futuro e anteponendo il bene per suo figlio ad ogni altra cosa.

Questo era l'abisso: da un lato un amore sconfinato da quella ragazza venuta dal niente, la sua forza, il suo sorriso, e dall'altra parte mia madre, che aveva tutto, ma era incredibilmente vuota.

Come poteva scorrere nelle mie vene il loro stesso sangue? Ero grata a Dio di essere così diversa da loro.

Vivevo in una vetrina esposta sul mondo intero, eppure non potevo realmente toccarlo, imprigionata dietro quel maledetto vetro, obbligata a frequentare scuole illustri, a vestirmi in un determinato modo, ad avere certi amici e a rincorrere un futuro che non mi apparteneva.

E la luna se ne stava lì. Perché la gente continuava ad affidarle speranze e sogni? La luna, io la vedevo nera come il carbone. Tutti quei sogni erano andati a male, marciti lì. È inutile sperare che le cose cambino perché lo si piange o lo si sussurra sottovoce alla notte. Anche la notte è buia e tenebrosa come un grosso buco nero. Bisogna lottare e cambiarle da soli, le cose. Non verrà nessuno a salvarti, devi salvarti tu per prima. Devi essere tu a salvare te stessa.




*****

Fatemi sapere cosa ne pensate. Prima storia, primi tentativi, accetto consigli per migliorare.

Un abbraccio e buona notte!
P.s. non affidate troppi desideri alla luna. Lottate per renderli reali ;)

Angela

Dark Moon (Versione Demo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora