CAPITOLO II - MALESSERE ✳

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MALESSERE

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MALESSERE

Dopo aver insistito per quasi mezz'ora, Drew mi convinse ad andare con lui in sala mensa. "Devi mangiare", mi aveva detto. Dopotutto era un mese che quasi digiunavo e sul mio viso si vedeva chiaramente quanto fossi dimagrita. Io, però, non avevo fame. Il mio stomaco si era abituato al ricevere pochissimo cibo quindi, l'appetito era scomparso. Ma sapevo benissimo di dover rimettermi in forze, di riprendere la mia vita da dove l'avevo lasciata e quello mi sembrava un buon punto di partenza.

Assieme a Drew varcai la soglia della mensa, in molti si girarono a guardarmi con occhi stupiti, ma nessuno ebbe il coraggio di parlarmi. Io, comunque, attraversai la sala come se niente fosse, come se quel mese in cui mi ero spenta non fosse mai esistito. Raggiungemmo il nostro tavolo abituale dove tutti gli altri erano già seduti a mangiare. Nerea, Sheryl e JJ alzarono gli occhi e mi fissarono per lunghi istanti. Le loro bocche rimasero mezze aperte e restarono immobili interrompendo quello che stavano facendo. Ryan e Bee mi davano le spalle. Non si erano ancora accorti di niente.
«Ehi? Che cavolo avete?» esclamò Bee sventolando la forchetta davanti al viso dei suoi amici. Mi scappò un sorriso timido. Erano sempre loro. Nerea scoppiò a piangere e mi corse incontro lasciando che la sua sedia cadesse all'indietro causando un frastuono rumoroso. Mi abbracciò bagnandomi la spalla con le sue lacrime sincere.
«Liz, Liz, Liz, Liz», ripeteva in continuazione senza riuscir a dire altro. Bee e Ryan si girarono di scatto. Bee si portò una mano davanti alla bocca nascondendo l'espressione stupefatta che le era comparsa sul viso. Si alzò anche lei e mi abbracciò assieme a Nerea. Ero felice di averli ritrovati tutti. Timidamente anche Sheryl ci raggiunse e si aggregò all'abbraccio tirando su col naso. Ero circondata dalle mie amiche che non avevano la benché minima intenzione di lasciarmi andare. Mi mancava quasi l'aria.
Drew mi venne in aiuto.
«Ragazze, fatela respirare almeno», disse prendendo Bee per un braccio cercando di allontanarla da me. Ubbidirono tutte e tre. Bee si asciugò gli occhi sulla manica della sua felpa rossa e mi guardò.
«Ci sei mancata così tanto, Liz. Non so nemmeno cosa dire», confessò con la voce confusa dal pianto.
«Non serve nessuna parola. Ora sono qui di nuovo, e tutto tornerà alla normalità», dissi sorridendo.
Prendemmo posto al tavolo. Mi sedetti vicino a Ryan, e Drew si sistemò a capotavola alla mia destra. Il biondino dagli occhi azzurri mi guardò.
«Sembri quasi un miraggio. Sono felice che sei tornata», mi disse Ryan stringendomi per una sballa.
«Sono felice anche io, ragazzi. Mi dispiace per quello che è successo», ammisi abbassando lo sguardo.
«Non ti devi scusare, Liz. Tu non hai nessuna colpa. Dev'essere stato orribile...» convenne Sheryl abbassando il tono di voce. Sospirai pensando al piccolo Kenny. Mi salì il groppo in gola ma deglutii con insistenza per cacciare indietro le lacrime.
«Già, abbastanza», dissi. Drew si alzò dalla sedia e mi prese la mano incitandomi a fare lo stesso.
«Forza. Hai bisogno di mangiare», disse trascinandomi ai banchi dove veniva servito il cibo. Ci munimmo di vassoio e ci mettemmo in fila.
«Non ho molta fame», confessai mentre osservavo tutti quei recipienti carichi di cibarie.
«Non mi interessa. Devi mangiare qualcosa, Liz. Ti ricordo che sei stata un mese senza mangiare praticamente niente», intimò lui. Aveva ragione, così mi riempii il vassoio di cibo, ma sapevo che non avrei mai mangiato tutto.
Per un po' al nostro tavolo regnò il silenzio. Mi dispiaceva, sapevo di esserne io la causa. Era come se i miei amici non volessero abbandonarsi alle loro solite chiacchiere per paura di mancarmi di rispetto. Era una brutta situazione, quello che era successo a Kenny ci aveva segnati tutti, me per prima, ma bisognava tenere alto l'umore del gruppo. Non potevamo abbatterci così.
«Quindi? Non avete niente di bello da raccontarmi?» domandai spezzando il silenzio. Nerea alzò gli occhi e mi fissò con un dolce sorriso sulle labbra.
«Sai, ho preso un'altra F in Storia», borbottò con stizza lanciando una fugace occhiata a Drew. Il ragazzo dagli occhi di giada la guardò borioso. Nerea sbuffò.
«Non mi interessa che il professor O'Connel sia tuo papà, Drew. Quel che è giusto, è giusto. Lui ce l'ha con me, lo so. Non me ne fa passare una», sbottò agitando una forchetta minacciosa davanti alla gola di Drew. Ridacchiai sotto i baffi. Il ragazzo alzò le braccia in segno di resa senza distogliere lo sguardo dalla forchetta della spagnola.
«Non ho nemmeno fiatato, Nerea. Mi dispiace. Lo so quanto sia esigente», rispose lui preoccupato per la sorte della sua giugulare. Tutti gli altri si misero a ridere, me compresa. Era questo l'umore che volevo per il mio gruppo.
Tutto riprese a scorrere alla normalità, stavo discutendo con JJ su di un'applicazione per l'iPhone quando una mano titubante si appoggiò sulla mia spalla. Mi girai di scatto.
«Liz...» disse Jennifer cercando di mantenere impassibile la sua espressione, ma non le riuscì molto bene. Era tesa e gli occhi tradivano più di qualche emozione. Poi, comunque, poco serviva. Sentivo le emozioni di Jennifer urlare a squarciagola, erano talmente forti che riuscivo a percepirle così chiare che, in un primo momento, credetti fossero le mie.
«Jennifer...» dissi io senza aggiungere altro. La bionda ritrasse la mano dalla mia spalla e spostò il suo sguardo sul mio piatto.
«Non ti ci abituare a questo genere di cose, ma...sono felice che ti sei ripresa», disse a fatica. Sorrisi compiaciuta, era così strano sentirmi dire una cosa del genere da Jennifer. Per carità, era venuta a trovarmi anche durante il mio stato di shock e mi aveva ripetuto continuamente che le dispiaceva per tutto, che avevo ragione io e che si sentiva in colpa per non avermi mai dato retta. Ma era diverso, lei mi parlava non sapendo se io realmente la stavo a sentire. Non potevo ribattere, non le avrei dato nessuna risposta, quindi era più facile parlare con un interlocutore che non dava segni di vita. Ora, ero lì viva e vegeta, e parlarmi a quattrocchi non era semplice per una snob altolocata come lei. Ma faceva progressi. Forse poteva ancora essere salvata.
«Grazie», le dissi, poi lei si girò sui tacchi e tornò al suo tavolo di ochette pettegole. La osservai mentre si allontanava. Non osai nemmeno immaginare in che modo vivesse ora Jennifer. Era spaventata e preoccupata per la sua salute. Cosa che avrebbero dovuto fare anche tutti gli altri lupi fuori controllo, ma nessuno si rendeva conto che quello che era successo a Kenny, fosse una conseguenza della Terapia Intensiva. Strinsi i pugni giurando a me stessa che Shephard non l'avrebbe passata liscia.
«Dobbiamo smascherare Shephard», sbottai con ancora le mani chiuse a pugno. Tutti i miei amici mi guardarono sorpresi.
«Liz, ti sei appena ripresa. Per un po' devi riposarti e rilassarti e, soprattutto, non pensare a cosa succede lì sotto», disse Sheryl con dolcezza. Mentre parlava continuai a fare segno di no con la testa. Non avevo tempo per rilassarmi. Non c'era tempo da perdere.
«No! Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo farlo per Kenny», esclamai agguerrita e risoluta.
«Cosa dovete fare per Kenny?» domandò la Stratford comparendo al nostro tavolo. Nessuna l'aveva né vista, né sentita arrivare, sperai solo che non avesse sentito molto della nostra conversazione.
«Andarlo a trovare tutti assieme. Magari può essergli di aiuto...» rispose repentino JJ. Era una buona scusa.
«Fate bene», rispose la Stratford. Spostò il suo sguardo su di me e mi appoggiò una mano sulla spalla, io la guardai.
«Mi fa piacere vedere che sei tornata tra noi, Elisabeth. Avevo sentito qualche ragazzo parlare di te nei corridoi, così sono venuta a verificare di persona. Bentornata», mi disse sorridendo con sincerità.
«La ringrazio, signora Stratford», risposi brevemente. Mi diede una pacchetta sulla spalla e fece per andarsene, ma ci ripensò.
«Elisabeth, credo sia il caso di chiamare i tuoi genitori. Blanche si è occupata di chiamarli ogni giorno, ma credo che una tua chiamata ora sarebbe molto meglio. Sono in pensiero per te», mi informò. Annuii convinta, ma non lo ero. Sapevo quanto mia madre e mio padre, per non parlare di Cecilia, fossero in apprensione per me, ma non me la sentivo di chiamarli. Avrei dovuto affrontare un interrogatorio con i fiocchi e non ne avevo nessuna voglia. Li avrei chiamati, ma non subito.

«Allora: la perifrasi ir + a + infinito si usa per esprimere un futuro immediato. Tipo: Ahora voy a comer, Adesso andrò a mangiare. Capito?» mi domandò Nerea intenta a spiegarmi le perifrasi spagnole. Non la seguivo molto. Le avevo chiesto se gentilmente mi poteva spiegare tutto quello che avevo perso nel mio mese di assenze in spagnolo. Nerea aveva accettato entusiasta, d'altronde, non faceva nessuna fatica. Io, però, non riuscivo a concentrarmi. Mi sentivo strana, avvertivo un certo malessere che non riuscivo ad inquadrare.
«Voy a ducharme?» domandai cercando di memorizzare quello che mi spiegava. Nerea sorrise annuendo.
«Esattamente», confermò lei. Scrissi qualche appunto sul quaderno, ma non riuscii a finire la frase. Appoggiai la penna sulla scrivania e mi portai le mani allo stomaco. Stavo male. Mi faceva male la pancia e mi era salita una certa nausea.
«Stai bene, Liz?» mi domandò la mia compagna di stanza impensierita. Non le risposi subito. Mi sentivo uno schifo e cominciai a sudare freddo. Respirai profondamente due o tre volte aspettando che la fase critica di quel malessere si calmasse.
«Sto bene, scusami», le dissi ignorando quello che mi stava succedendo.
«Non si direbbe. Sei di un pallido», continuò Nerea scrutando attentamente il mio viso.
«Dovrò solo riprendere il ritmo della mia via. Non è niente», continuai. Un conato di vomito fece tremare tutto il mio corpo bruciandomi la gola. Mi portai una mano alla bocca e chiusi gli occhi.
«Liz, per Dio! Cosa ti succede? Chiamo qualcuno?» disse a raffica Nerea impanicandosi più di me.
«No, davvero. Ho male allo stomaco, tutto qui», sbiascicai. Un altro conato mi scosse, dovevo vomitare. Mi alzai dalla sedia e corsi in bagno. Riuscii a malapena ad arrivare al gabinetto che tutto quello che avevo mangiato a pranzo si riversò nella tazza del water. Nerea arrivò di corsa e si accucciò al mio fianco.
«Ehi! Stai male, Liz?» mi chiese con un dolce timbro della voce. Secondo te? Pensò la mia parte cattiva, quella che generalmente nascondo e lascio sfogare solo nella mia testa. Ne abbiamo tutti una, non si discute. In risposta annuii solo con la testa. Stavo male, ma non capivo perché. Forse era un semplice mal di stomaco, qualcosa come un'influenza intestinale. Mi alzai in piedi e mi risciacquai abbondantemente il viso e bevvi dal rubinetto.
«Forse ho mangiato troppo», dissi a Nerea che non mi aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
«Potrebbe essere», confermò lei.
«Avrò mangiato troppo. Non ho ingerito pressoché niente per un mese intero. Il mio stomaco non è più  abituato a un pasto normale. Forse ho esagerato», dichiarai pensando che quella fosse l'unica ragione del mio mal di stomaco. Ma, purtroppo, non lo era.

Lux et Tenebrae || Metamorphosis Series Vol. 3 || ANTEPRIMAWhere stories live. Discover now