Capitolo II

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Ore 16.00 – Carcere di San Francisco

Duecentonovantasette...

Duecentonovantotto...

Duecentonovantanove...

Trecento.

William Challagher si tirò in piedi e stiracchiò il collo, fissando le sbarre di metallo che lo separavano dal corridoio, l'altra cella vicino alla sua ben visibile nella penombra. Il detenuto di fronte a lui, la barba incolta e il buco di un dente mancante, lo guardava fare le sue flessioni giornaliere per nulla impressionato. Fece una smorfia e poi disse, la voce gracchiante: << Scommetto che riesci ad arrivare anche a quattrocento, vero? >>.

<< Ne faccio quante ne vuoi >> ribatté William, voltandosi di spalle e afferrando l'asciugamano appoggiato sulla sedia sgangherata a poca distanza da lui. Il piccolissimo scrittoio nell'angolo della cella era illuminato dalla poca luce che filtrava dalla finestrella chiusa dalle inferriate, vicino alla porta scrostata del minuscolo bagno che gli era toccato.

<< Lascia perdere il principino, Fred >> disse una voce che proveniva da uno dei due letti a castello della cella davanti a quella di William, << Lo sai che odia essere importunato quando si allena... >>.

William ignorò il commento dell'uomo che faceva di nome John e fissò il riflesso dello specchio appeso nel bagno, sopra il lavandino di ultima scelta che gocciolava ormai da due anni senza alcuna tregua.

Tutto sommato, era cambiato poco. Due anni di carcere duro non erano riusciti a piegare il suo fisico, tantomeno la sua anima. La sua bella faccia dai gelidi occhi verdi, conosciuta in tutta Los Angeles, era sempre la stessa, tranne per un piccolo particolare: una cicatrice bianchiccia che tagliava il suo sopracciglio destro in due, rimasta a ricordargli quel giorno sull'autostrada, quando tutto era stato distrutto esattamente come la sua Zonda... Indelebile segno della sconfitta, di tutto ciò che possedeva...

Aveva dovuto rinunciare a molto, per riuscire a sopravvivere la dentro. Se prima era abituato a una vita di agi, di lussi, di feste e donne, ora non aveva altro che un cigolante letto a castello, un plico di fogli e una penna per scrivere se ne aveva voglia, e un minuscolo televisore che prendeva un solo canale. E un'ora d'aria ogni giorno. Non era concesso nient'altro a William Challagher, lo Scorpione, uno dei criminali più pericolosi di Los Angeles, condannato all'ergastolo per tanti di quei crimini di cui aveva perso il conto.

Chiunque al suo posto, di fronte al pensiero di dover rimanere chiuso tra quelle quattro mura per il resto dei suoi giorni, si sarebbe lasciato andare, avrebbe abbandonato la speranza, il piacere di sentirsi almeno un po' normale, di poter dare ancora un senso alla sua vita. Lui no, non si era permesso una caduta di stile come quella.

Aveva continuato a curarsi, a farsi regolarmente la barba, a fare tutti i giorni e a tutte le ore ginnastica con i pochi strumenti che gli erano concessi, per rimanere esattamente com'era stato fuori da lì. Lo Scorpione non si sarebbe lasciato piegare dalle sbarre e da una cella chiusa e oscura.

Si passò una mano sul mento, la pelle ancora liscia, e gettò un rapido sguardo alla W tatuata in nero sul collo. Infilò la maglia e si passò le dita tra i capelli: quelli avevano bisogno di una tagliata. Ci avrebbe pensato più tardi, quando sarebbe tornato dall'ora d'aria che gli era stata accordata.

Raggiunse il letto a castello e si sdraiò su quello di sopra, il soffitto freddo non troppo distante da lui, un leggero velo di umidità che bagnava l'intonaco. Si sistemò meglio il cuscino dietro il collo e guardò quello che con pezzo di scotch aveva appeso al muro, e che rappresentavano quasi una finestra sul mondo.

Alcuni erano articoli di giornale, ritagliati pochi giorni dopo la sua cattura, quando ancora poteva ricevere i quotidiani in cella. Uno riportava addirittura una foto in bianco e nero della sua Pagani Zonda distrutta, ferma in mezzo all'autostrada; mentre su un altro c'era l'elenco di tutti i piloti clandestini che erano stati arrestati nella retata di Los Angeles dalla quale lui era riuscito a fuggire. E poi ancora la cattura di suo padre, George Challagher, ora sepolto nel cimitero di San Francisco, dopo essersi sentito male tra le sbarre... Sopra a tutti quei ritagli di giornale, come a godere di una posizione privilegiata, c'era una foto a colori, una delle pochissime a cui tenesse, in quel momento.

Russian RouletteWhere stories live. Discover now