2. Il contratto

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Il viale alberato era lastricato a ciottoli. Le automobili non potevano passare perché da qualche anno il sindaco l'aveva integrato nella zona pedonale. L'ideale per una passeggiata all'aria aperta, lontano dello smog della città che perdeva la propria forza dopo pochi metri di natura. Marchesoni indicò al compagno un sentiero laterale e Flavio rispose con una smorfia schifata. Una carta stropicciata portava ancora le tracce ingiallite di sperma secco e decine di mozziconi si accatastavano ai bordi del viottolo.

Si incamminarono per una cinquantina di metri e si trovarono in un posto isolato e dimenticato. Di notte i giardini del castello pullulavano di sesso. Incontri carnali sotto la luna, guardoni con le mani in tasca e vecchi bavosi in cerca di giovani prostituti. Alle dieci del mattino tutto questo non esisteva. Intorno a loro c'era erba secca, rami rotti e preservativi usati.

Flavio appoggiò il borsone di cuoio su un tombino arrugginito e tolse dalla tasca una busta azzurra con il logo della ditta.

«Ma sei impazzito? Se passa uno sbirro e trova la busta della ditta ci mettono dentro. Sei proprio un coglione. Metti dentro la foto e l'indirizzo e andiamocene.»

Marchesoni strappò la busta della mani del ragazzo e tolse la fotografia del cinese. Viso rotondo e occhi a mandorla, forse non era necessaria; il suo nome e la sua immagine riempivano i giornali di mezzo mondo. Aprì la cerniera del borsone e la vista di tutti quei biglietti da cinquecento lo lasciò senza fiato. Appoggiò la fotografia e il foglietto con il nome scritto in stampatello sopra la montagna di denaro e richiuse.

Si allontanarono e le voci della città che muoveva i propri affari entrarono nella loro sfera di attenzione. Flavio camminava zigzagando per evitare di sporcarsi la suola delle scarpe con il fango, sempre ammesso che fosse fango. Tornati sul viale principale respirarono a pieni polmoni. Nell'ombra del vialetto, per la paura e la tensione, erano rimasti con il respiro ridotto al minimo e ora stavano tornando alla civiltà.

Un uomo chiuse il giornale e lo appoggiò sulla panchina in ferro. La cerniera del dolcevita nero era chiusa fin sotto al mento e la cuffia calata sopra le orecchie lo mimetizzava tra i pochi passeggiatori del mattino. Si alzò e attese che l'operaio e il figlio del padrone fossero oltre i bastioni del castello. Infilò i guanti in gore tex e si incamminò all'interno del viottolo.

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