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Vancouver, Febbraio 1867
Caro me,
Vancouver, oggi, è fredda più degli altri giorni, ma a scaldarmi è il pensiero di rivederla: lei e il suo animo docile, con quei capelli biondo cenere e gli occhi verdi pieni di passione. Lo ammetto, la amo. Sento che è la donna giusta per me. Non ho mai provato emozioni simili. Se dovessi girare per il mondo senza una destinazione, io arriverei a lei, perché è la mia calamita. La prima volta che la vidi, mi ripetei più e più volte che era un angelo: i suoi boccoli, la sua carnagione chiara e quel suo vestito bianco come la purezza che indossava durante le cerimonie domenicali. Era il mio fiore, la bellezza rara che vive sulle nevi. Lei era fatta per quella città al contrario di me. Non ho mai capito il perché mi trovassi nel freddo invece di abitare le coste del Pacifico o mediterranee. Un giorno, avrei attraversato l'oceano insieme alla mia adorata Healey, con la quale avevo condiviso questo mio grande sogno. Si era rivelata una delle più grandi appassionate di cultura e geografia che avessi mai incontrato. Mi affascinavano moltissimo le donne colte: potevo parlare di tutto senza che mi potessero piantare in asso. Il che mi era capitato molte volte dopo aver discusso di alcune mie teorie. Invece Healey era diversa. Ascoltava, imparava, commentava e difendeva le sue idee: incantevole. Questa sera si terrà il ballo d'inverno. Doveva essere fatto il 13 dicembre del '66, ma ci sono state alcune complicazioni. Ti racconterò tutto domani, spero davvero tanto di poter posare le mie labbra sulle sue e finalmente chiederle di essere mia per l'eternità.

Annabelle rilesse quella pagina un po' di volte. Aveva trovato quel diario a Vancouver e non l'aveva mai aperto, aveva appena cinque anni e non ne sapeva nulla di queste cose. Lo tirò fuori quella mattina da uno dei tanti scatoloni e notò che sulla copertina c'era scritto "Vancouver 1867-1870". Incredibile come, dopo tutti questi anni, si fosse mantenuto così bene. Quel manoscritto era così bello esteticamente: la copertina in cuoio marrone con un laccetto che serviva a chiuderlo e le pagine. Dio, le pagine! Ognuna aveva sfumature di beige diverse e le pieghe formavano dei disegni quasi perfetti. Chissà chi era stato a scriverlo, con quella calligrafia in corsivo senza nemmeno un errore.
Quel suo "caro me", come il suo, si bagnò immediatamente con qualche lacrima di Annabelle. Forse aveva perso anche lui qualcuno. Ma chi?

Girò la pagina e vide che ognuna di esse era annotata. Le sarebbe tanto piaciuto essere l'adorata Healey di cui parlava il ragazzo del 1867 senza nome. Voleva sapere cosa lo aveva spinto a non scrivere più. C'erano pagine vuote alla fine del taccuino, e l'ultima volta che aveva scritto risaliva al gennaio del 1870. E poi? Cosa gli era successo? Era morto?

Annabelle si torturò le mani al pensiero, voleva saperne di più. Ma decise che avrebbe continuato più tardi, dato l'enorme lavoro assegnatoli dalla madre: arredare la sua camera, sistemare i libri appena arrivati nella biblioteca e dipingere l'unica stanza non ancora pitturata. Per cui, mise il libricino sul letto e iniziò a lavorare.

Quello fu il primo giorno in cui non pensò ad Allison e non fece strani sogni la notte. Si sentiva guarita, ma appena finito di prendere l'occorrente per dipingere, si bloccò come la sera precedente sul piano e fissò il vuoto per qualche secondo. Un dolore a lei molto conosciuto, iniziò a scalare il suo corpo dal ventre fino al petto e poi al cuore, come un brivido. Faceva male, troppo male.

Si tenne la pancia con una mano e con l'altra si accarezzò il cuore e urlò: un grido corto ma pieno di emozioni tra le quali spiccava la tristezza e la solitudine. Perché sì, lei era sola. Sola in sé stessa. Si distese per terra, e si lasciò andare tra le sue lacrime spezzate e i suoi fili rotti. Le serviva quella mano, la sua mano che la tirasse su; che la aiutasse a capire che doveva lottare, essere diversa, voltare pagina, pensarci di meno e vivere.
Trovò le forze per alzarsi, non le faceva più male il cuore. Era... passato. Sospirò e la sua mente cercò di trovare una scusa per farla distrarre. Si sistemò il maglione bianco e la sua cipolla in testa, schiarì la voce e si ripeté che poteva farcela. Era solo questione di logica. Doveva riempire ogni spazio possibile sia del giorno che della notte per fare qualcosa, senza rimanere nullafacente, così almeno non ci avrebbe pensato.

Prese il suo telefono e mise un po' di musica in sotto fondo così da poterci canticchiare sopra e dipingere con la testa piena. Iniziò a spennellare con la mano da destra a sinistra con un colore molto simile al verde, ma che tendeva all'azzurro. Un'acqua marina. La riproduzione casuale aveva lanciato Hold my hand di Michael Jackson. Era una delle sue canzoni preferite. Il tempo passò, lei passò la giornata, e passò anche il suo lavoro che finì, molto compiaciuta. Notò che aveva macchiato i suoi vestiti così si spogliò e mise tutto in lavatrice, dopo di che entrò nella vasca e si rilassò, lasciando andare tutto.

Annabelle si addormentò in quel giorno d'inverno nella sua vasca da bagno, e la sua mente la portò indietro nel tempo, al 1867, a Vancouver, dove vide con chiarezza Healey e quel ragazzo. Se lo immaginò alto, magro, con la carnagione ambrata e gli occhi neri come la pece. I suoi capelli erano lunghi fino al collo. Certo, se avesse vissuto in questo periodo, se lo sarebbe immaginato davvero molto diverso. E Healey, era come la Venere di Botticelli, bionda, i capelli lunghi, gli occhi dolci e verdi. Il suo corpo era perfetto, lei era magnifica.

Non si accorse di essere caduta in un sonno profondo, e quando si svegliò erano le sette passate e sua madre era arrivata. Si ricordò che quella sera sarebbe arrivato un ospite, non sapeva chi, ma sperava con tutto il cuore che fosse il suo adorato fratello.
Lui era stato la sua ancora per i primi mesi dopo la morte di Allison, poi era dovuto andarsene a Liverpool per trovare lavoro. Si chiamava Aaron, ed era il ragazzo più bello che lei avesse mai conosciuto. Amava giocare con i suoi capelli mori e accarezzargli il viso morbido. Ogni suo tratto, per lei, era perfetto.

Si asciugò in fretta e si vestì con una camicia e un pantalone nero. Scese le scale di corsa e lo vide: Aaron. Era proprio lui. Cresciuto di qualche centimetro, con qualche brufolo in meno, gli occhi pieni di vita e quelle mani che non potevano non essere la sua salvezza. Si fermò, sorrise e subito lo abbracciò senza respirare. Rimase in apnea finché finalmente non sentì le sue braccia stringerla forte, poi tirò un sospiro e diede un piccolo bacio sulla sua guancia liscia come la seta.

《Come siamo diventate belle, sorellina. Come stai?》 Annabelle schizzava felicità da tutti i pori. Era felicissima di avere Aaron con sé. La avrebbe aiutata a sistemare le cose. 《Sto bene, ora che ti rivedo. Ma... quelle valigie?》Si sporse dietro di lui e notò qualche borsone e una chitarra, senza capirne il motivo.

Aaron guardò la loro madre, fece un piccolo cenno e poi riposò l'attenzione su Belle.《Credo che quella stanza che hai pitturato oggi, sia per me. Per cui, d'ora in poi vivremo insieme.》 Sorrise a trentadue denti. Aaron aprì le braccia e sua sorella ci si fiondò in pieno. Amava il suo profumo di rose, così delicato e vero. Per lei quello era l'odore di Healey: l'odore della felicità e della sicurezza.

Blind.Where stories live. Discover now