Lost in the middle

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-I miei compagni?-

Il volto di mia madre si oscurò mentre il suo capo si abbassava remissivo. No, non potevano essere morti tutti per un mio errore di valutazione, per una mia colpa. Non potevo crederci. Mi mancò l'aria dentro ai polmoni, iniziai a muovermi frenetico mentre cercavo di staccarmi tutti quei maledetti tubicini dal corpo. Cominciai a tremare, il rumore del mio battito cardiaco a ticchettare sempre più veloce, sempre più compulsivo e la mia testa che negava quell'eventualità. Arrivarono due infermiere e bloccarono le mie braccia, impedendomi ogni movimento, mentre un dottore entrava e preparava una siringa.

-Adesso ti sedo, Liam. Hai bisogno di riposo.-

Sentii la sua voce cercare di rassicurarmi. Vidi mia madre avvicinarsi lentamente ed osservarmi in maniera amorevole.

-Solo uno di loro è morto, Liam. Solo Timothy.-

Il mio compagno di stanza, quello dai capelli rossi e le lentiggini sul naso.

Ricordai vagamente cosa fosse successo, lo sguardo di Timmy in lontananza, gli occhi spenti che mi dicevano di sparare, ma per arrivare a quel punto, per arrivare alla fine, bisognava prima fare un passo indietro.

I sei mesi al centro di addestramento in Virginia nel quale ero stato destinato mi insegnarono a combattere. Caricare e scaricare il fucile semiautomatico M14 in minor tempo possibile, assembrarlo o smontarlo in tutte le sue parti, perché lui era mio amico, lui era quello che in caso di necessità mi avrebbe salvato. La divisa sempre in ordine, perché noi soldati dovevamo essere soltanto un mucchio indistinto di piccole armi tutte uguali.

Quando mi tagliarono i capelli rendendoli corti tre centimetri su tutto il cranio, il mio primo malsano pensiero andò a chi quei capelli aveva aspettato tanto che crescessero per tirarli all'indietro e baciarmi con prepotenza.

Caddero loro e cadde anche il ricordo.

L'allenamento fisico fu stressante. Sveglia alle cinque per correre lungo tutto il perimetro del campo base e non solo. Trenta chilometri ogni giorno, con la pioggia o con il sole, non importava quanto potessimo essere stanchi, non importava quanto quegli scarponi potessero fare male alle dita dei piedi, quanto le vesciche pulsare, importava solo correre.

Flessioni. Molte anche. I film di guerra non mi erano mai piaciuti, ma sotto questo punto di vista la realtà non era poi così differente. Il Sergente era così severo e rigoroso da imporci anche cento flessioni per un risolino o una battuta, anche venti chilometri in più da correre per atti insolenti. Cercai di mantenere un profilo basso, anche se molte volte il leone dentro di me aveva voluto ruggire in quella gabbia di ordini. Alla fine lo avevo voluto io, mi ero voluto rifugiare in quel mondo per imparare, per evadere dalla realtà che faceva così male ovunque guardassi. Ed era davvero un universo a parte quello, anzi, un purgatorio che si presupponeva dovesse prepararci per affrontare l'inferno.

Ero partito perché quel mondo mi era sempre stato così vicino da poterlo toccare con le dita, perché di stare a Providence e vedere negli occhi l'odio violento di mio padre non potevo, così come rimanere e completare i miei studi, perché ogni posto guardassi, ogni cosa i miei occhi vedessero, le mie orecchie sentissero, era collegata sempre a lui.

Durante quei mesi i momenti che mi piacquero maggiormente furono le lezioni in aula. Ogni giorno, per le due ore successive al pranzo, una Professoressa di culture Medio-Orientali ci insegnava quello che dovevamo sapere sulle genti di quei posti, sulle loro usanze, sulla loro religione. Non serviva dire che molti soldati erano maleducati con lei, anche troppo alle volte, come se non vedessero una donna da chissà quanto tempo, come bambini dell'asilo. Spesso mi trovai a ripensare quanto in realtà un tempo io assomigliassi a quei ragazzi, quanto fossi stato come loro, così irrispettoso e irriverente, così sessualmente frustrato. Ero cambiato, ero così diverso anche solo da un anno prima da spaventarmi. Perché le donne io non le avevo più nemmeno guardate dopo di lui, delle donne io non ne avevo più avuto bisogno. Era stato lui a cambiarmi in tutti i modi possibili nei quali potevo essere cambiato. Lui e solo lui, prima in bene, dopo in male. Imparai a non abbassare mai le difese, a proteggermi da solo da quello che avevo voluto, da quello che volevo ancora, da quello che ero, da quello che sarei stato. Non avrei più permesso a nessuno di cambiarmi, di ferirmi con armi diverse da quei fucili che avevo imparato ad usare.

Lost in the middleWhere stories live. Discover now