Parte 7

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Capitolo 7

Il Riflesso sull'Acqua.

La caverna era una cassa di risonanza per il canto dell'oblio. Il mantra basso e monocorde del coro anfibio rimbalzava sulle pareti umide, si insinuava nelle crepe della roccia, penetrava nelle ossa. Era una ninna nanna per un mondo che si disfaceva, una melodia che prometteva la fine di ogni lotta, la dolce resa al brodo primordiale.

Rex era in estasi. Immergendosi nell'acqua nera e tiepida del lago sotterraneo, sentì un senso di appartenenza che nessuna squadra militare, nessuna famiglia, nessuna nazione gli aveva mai dato. L'acqua non era solo acqua; era un liquido amniotico carico di informazioni, di memoria. Sentiva la storia di ogni creatura fusa alla parete, di ogni essere serpentiforme che ora gli nuotava accanto, sfiorandolo con pelli lisce e fredde. Erano i suoi fratelli, le sue sorelle, la sua eterna congregazione. La Chiamata non era più un impulso esterno. Era diventata la sua stessa voce interiore. Guardò il grande cristallo-embrione che pulsava al centro dell'isola, la sua luce lattiginosa che illuminava la scena con un bagliore sacro, e per la prima volta nella sua vita, sentì di essere esattamente dove doveva essere. Provò una gioia pura, priva di pensiero, l'emozione di una goccia che finalmente torna all'oceano.

Jean-Luc, seguendolo, trovò una pace diversa. Il suo terrore, che era stato l'unica costante della sua regressione, si dissolse al contatto con l'acqua. La sua mente, ormai semplificata a puro istinto di sopravvivenza, riconobbe quel luogo come sicuro. I predatori erano fuori. Qui, c'era solo il calore del gruppo, la protezione del branco, la presenza rassicurante e dominante del suo alfa. Smise di piagnucolare. Per la prima volta da giorni, i suoi muscoli si rilassarono. Si accucciò nell'acqua bassa, piccolo e sottomesso, ma finalmente in pace.

Helena osservava dalla soglia, una figura solitaria e spezzata, un errore di calcolo nell'equazione perfetta di quella caverna. La musica le entrava dentro, e combatteva. Era una lotta silenziosa e violenta. Sentiva il canto che cercava di lisciare le pieghe del suo cervello, di cancellare i ricordi, di smussare gli angoli acuti della sua individualità. Renditi semplice, sembrava sussurrare. Abbandona il peso della coscienza. Torna all'acqua. Torna al sonno. Per un istante, vacillò. L'idea di arrendersi, di lasciar andare l'agonia della sua trasformazione, della sua perdita, era una seduzione quasi irresistibile. Sarebbe stato così facile. Così... dolce.

Ma poi, un'altra memoria riaffiorò. Non una memoria genetica impiantata dal fiume. Una delle sue. Un ricordo di lei da bambina, in un museo a Berlino, di fronte allo scheletro di un Archaeopteryx. Ricordava la meraviglia, lo stupore per quella creatura imperfetta, a metà tra rettile e uccello, il simbolo non della perfezione, ma della lotta per diventare qualcosa di nuovo. L'evoluzione non era una destinazione, era il viaggio. E quella caverna... quella caverna era la negazione di ogni viaggio. Era una tomba che si fingeva un grembo.

La rabbia, un'emozione pura e umana, la scosse. Rabbia per quella perversione della vita. Rabbia per i suoi compagni perduti, trasformati in fedeli di un culto della non-esistenza.
Nein. No.
La parola, un pensiero tagliente e solitario, le diede la forza.
Con le sue mani simili ad artigli, estrasse dalla sacca l'ultimo pezzo di tecnologia, l'ultima bestemmia in quel luogo sacro. La barra di esplosivo al plastico C4 e il suo detonatore a tempo. Le sue dita erano goffe, non più adatte a manipolare oggetti così piccoli e precisi. Le ci volle un'eternità, le unghie che si spezzavano contro i piccoli interruttori. Ma alla fine, riuscì ad impostare il timer. Due minuti. Un'eternità e un istante.

Doveva avvicinarsi. Il centro. Il cuore del cristallo.
Iniziò ad avanzare, entrando nell'acqua. E nel momento in cui lo fece, il canto si interruppe.

Tutte le teste serpentiformi si girarono verso di lei. Decine di paia di occhi neri, senza palpebre, la fissarono. E in quegli occhi non c'era odio. C'era... confusione. E fame. Avevano riconosciuto la dissonanza nella sua mente. L'impurità.

Anche Rex si girò. Ora era in piedi sull'isola, ai piedi del cristallo, una figura imponente di muscoli e pelliccia, bagnato e primordiale. E nei suoi occhi non c'era più traccia di Max. C'era solo l'istinto territoriale dell'alfa, la cui pace era stata profanata da un estraneo.
Emise un ruggito. Un comando gutturale che ordinava sottomissione o morte.

Helena non si fermò. Continuò ad avanzare nell'acqua, l'esplosivo stretto al petto. Il timer sul detonatore scandiva i secondi in cifre rosse, l'unico colore caldo in quella cattedrale di grigi e neri.
Rex non esitò. Si lanciò contro di lei. Non era più un uomo che combatteva una donna. Erano due concetti opposti che si scontravano. L'istinto contro la ragione. La resa contro la ribellione.

Lo scontro fu breve e brutale. Rex era immensamente più forte. Le sue braccia, ora lunghe e potenti, la afferrarono, la sollevarono. Lei lottò, graffiando, mordendo, una furia impotente. Lui non sentì nulla. La sua presa era una morsa di pietra. Per un istante, i loro volti furono vicini. E in quel momento, per una frazione di secondo, qualcosa passò negli occhi di Rex. Un lampo. Un glitch. Un riflesso di un ricordo di un'altra vita. Forse il colore dei capelli di sua figlia. Forse il sapore di un caffè a Roma. Un'eco infinitesimale di Massimo Gallo.
L'esitazione durò meno di un battito cardiaco. Ma fu abbastanza.

Helena, con le ultime forze che le restavano, non cercò di liberarsi. Fece l'unica cosa che poteva. Attivò il magnete sulla base dell'esplosivo e lo sbatté contro il petto di Rex, dove aderì con un clack metallico.
Poi lo guardò negli occhi.
«Vai a casa, soldato,» sussurrò, e fu l'ultima frase che pronunciò.
Rex, confuso dall'oggetto attaccato a sé, allentò la presa. E in quell'istante, le creature anfibie attaccarono. Sciamarono su Helena da ogni lato, trascinandola sott'acqua in un vortice di corpi lisci e fame silenziosa. L'acqua si agitò per un istante, poi tornò calma.

Rex guardò il punto in cui era scomparsa. Poi guardò l'oggetto che ticchettava sul suo petto. Dieci secondi. Nove. Otto.
Non capì cos'era. Ma sentì il pericolo. Istintivamente, si rivolse alla cosa più sicura che conosceva. La fonte della Chiamata. L'utero di cristallo.
Si lanciò verso l'isola, cercando rifugio ai piedi del suo dio.
Cinque. Quattro.
Raggiunse la base del cristallo, stringendosi contro la sua superficie fredda e pulsante.
Tre. Due. Uno.

Ci fu un boato assordante. La pressione dell'acqua e la massa della montagna soffocarono l'esplosione. Ci fu un lampo di luce bianca accecante, seguito da un CRUMP profondo e sordo, come se il pianeta stesso avesse avuto un infarto. E un'ondata d'urto devastante si propagò attraverso l'acqua.

Per un istante, nella grotta ci fu solo silenzio. La Chiamata era cessata. Il cristallo, fratturato in un milione di schegge, era buio. Il canto era finito. Rex e le altre creature fluttuavano nell'acqua, storditi, disorientati, orfani.

Poi, la montagna iniziò a crollare. Enormi massi si staccarono dal soffitto, schiantandosi nel lago, sollevando onde gigantesche. L'intera struttura, la cattedrale, la tomba, si stava ripiegando su se'stessa.

Mesi dopo.

Forse anni.

Un pescatore in un piccolo villaggio sulle rive del fiume Congo, a centinaia di chilometri da dove tutto era iniziato, getta la sua rete nelle acque calme del mattino. Quando la tira su, insieme a una manciata di pesci argentei, trova qualcosa di strano impigliato nelle maglie.

È un piccolo frammento di cristallo lattiginoso, levigato dall'acqua, delle dimensioni di un pollice. È freddo al tatto. Ma mentre lo tiene nel palmo della sua mano, sente un debole, quasi impercettibile... battito.
Curioso, se lo avvicina al viso per guardarlo meglio. E per un brevissimo istante, nel riflesso curvo della superficie, non vede il suo volto stanco e segnato dal sole.
Vede il volto di una scimmia terrorizzata. E poi, ancora più indietro, il muso anfibio di una creatura che visse milioni di anni fa.
Il pescatore scuote la testa, confuso. Forse è solo un gioco di luce. Si mette in tasca il sasso strano e riprende il suo lavoro.

Ma nel profondo, un'onda si è mossa. La nota è stata suonata di nuovo.
L'onda non era stata distrutta. Era stata solo... frantumata. E ora, come un virus, i suoi semi si stavano disperdendo. Alla ricerca di un nuovo fiume. Alla ricerca di un nuovo cuore a cui cantare la sua dolce, terribile ninna nanna.

FINE

di Gianluca Pistoia

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⏰ Dernière mise à jour : Nov 07 ⏰

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