Parte 1

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REGRESSIONE

di Gianluca Pistoia

Capitolo 1

Anomalia.

La giungla non respirava. Soffocava. Soffocava sotto una coltre di umidità così densa e pesante che l'aria sembrava un brodo caldo e verdognolo. Ogni inspirazione era uno sforzo, un sorso di atmosfera satura dell'odore dolce e nauseabondo di mille anni di decomposizione. Fiori esotici, bellissimi e probabilmente velenosi, spandevano il loro profumo come prostitute a buon mercato in un vicolo senz'aria. Sotto tutto, c'era l'odore primordiale del fango, un fetore ricco e fertile di terra, di escrementi, di vita e di morte che si divoravano a vicenda in un ciclo senza fine.

Massimo "Max" Gallo sentiva quell'odore anche nel sonno. O meglio, in quel dormiveglia febbrile e vigile che era l'unica forma di riposo che si concedeva da quando la loro chiatta, una carcassa arrugginita chiamata La Chimère, aveva imboccato l'affluente Lufira. Max non credeva nei presagi. Credeva nella corrosione del metallo, nel proiettile 7.62x51mm NATO e nella stupidità umana, tre costanti dell'universo. E il nome di quella chiatta, La Chimera, era un perfetto esempio della terza. A qualche poeta francofono a Kinshasa doveva essere sembrato suggestivo. A Max, sembrava solo una pessima pianificazione.

Si alzò dalla sua branda cigolante. Erano le quattro del mattino, l'ora delle ombre, un'ora che non apparteneva né alla notte, né al giorno. Il ronzio dei generatori diesel della chiatta, era l'unico suono costante, un cuore meccanico che pompava vita artificiale in quel caos biologico. Max prese il suo fucile d'assalto Beretta ARX200, un pezzo d'ingegneria italiana affidabile e brutale. Lo smontò e lo rimontò nel buio quasi totale, le sue dita che si muovevano con una memoria cinetica, indipendente dalla sua mente. Un piccolo scatto metallico, un rivolo di olio profumato, il peso familiare del calcio contro la sua spalla. Era la sua unica preghiera, la sua unica fede. La simmetria della meccanica, contro l'asimmetria ripugnante della giungla.

Sul ponte, la nebbia era così spessa da poterla masticare. Avvolgeva la chiatta in un sudario bianco e spettrale, attutendo ogni suono. Persino il fragore della cascata all'imboccatura del fiume, il loro punto d'arrivo, era un rombo sordo, distante. Lì, sulla prua, c'era una figura. La riconobbe subito dalla silhouette, tesa come una corda di violino.

«Dovrebbe dormire, Dottoressa,» disse Max, la sua voce un brontolio basso.
La Dottoressa Helena Strauss si voltò di scatto. Anche nel buio, i suoi occhi brillavano di un'intensità quasi febbrile. Era una donna che bruciava la candela da entrambe le estremità, e probabilmente anche in mezzo.
«Il sonno è un lusso, Max,» rispose, la sua voce un sussurro eccitato, con un leggero accento tedesco che rendeva le sue parole ancora più precise. «Siamo qui. Ci siamo quasi. Riesce a sentirlo?»
«Sento le zanzare che progettano di dissanguarmi,» disse lui. «E l'umidità che sta trasformando le mie ossa in una spugna.»

Lei rise, un suono breve e privo di umorismo. «Lei non ha un'anima romantica. Siamo sul punto di fare la scoperta biologica più importante del secolo. Il Mokele-mbembe. Una creatura che secondo la scienza non dovrebbe esistere, un sauropode sopravvissuto. È come se Schliemann avesse trovato la vera Troia intatta.»

Max guardò la parete d'acqua nebulizzata che iniziava a intravedersi di fronte a loro, da dove il grande fiume Congo vomitava parte delle sue acque nel Lufira. «Schliemann ha distrutto nove strati di storia per la sua ossessione. Non vedo la differenza.»

Era così che andava avanti da tre settimane. Il loro dialogo era un balletto di pragmatismo militare e di fede scientifica. Lui era lì per i soldi, e perché il pericolo era l'unica cosa che lo faceva sentire vivo dopo aver lasciato la Legione Straniera. Un lavoro per la Biogen-Helvetica, una multinazionale farmaceutica con l'etica di un nido di vipere, che voleva mettere le mani sul DNA di un dinosauro vivente. Un lavoro da trentamila euro per fare da balia a due scienziati in un posto dove le leggi dell'uomo, non erano mai arrivate. Helena, invece, era una crociata vivente. Avrebbe dato la sua vita per un campione di tessuto, una fotografia nitida, la prova definitiva che la sua folle teoria era corretta. Era pericolosa, perché una persona che ha qualcosa per cui morire, di solito, finisce per farlo. E spesso si porta dietro qualcun altro.

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