La vita, delle volte, ti metteva alla prova con diverse difficoltà da affrontare; che si trattasse di completare gli studi, di trovare un lavoro, di comprare una casa o del dover crescere un figlio.
Altre volte, invece, vi erano prove che comprendevano il dover affrontare i genitori, e per quanto per qualcuno poteva risultare una piccolezza, per altri equivaleva quanto dover surfare senza neanche essere a conoscenza delle basi del nuoto.
I più piccoli disguidi, la minima parola sbagliata avrebbe segnato un adolescente a vita rendendola la persona che sarebbe diventata in futuro.
E io rimasi paralizzata, con il cuore che batteva come un tamburo, per una bella manciata di secondi, a fissare la schermata del mio telefono.
Chiamata in arrivo: Papà.
Mi trovavo in un posto che non era la mia scuola, tra le braccia di uno sconosciuto e una chiamata di mio padre che non reclamava rifiuti.
Non vi erano molte possibilità di scelta in quel momento: accettare la chiamata e rischiare il tutto e per tutto, o rifiutare e dover affrontare mio padre una volta rientrata a casa.
Ad ogni modo, nessuna delle due opzioni giocava a mio favore.
Lanciai un'occhiata d'aiuto al ragazzo che avevo davanti, a colui a cui stavo mentalmente scaricando tutte le colpe per avermi messa in questo casino.
Ci voleva davvero poco per farmi salire l'ansia, ma essa superava i livelli standard quando di mezzo ci andava mio padre.
Era come se delle scosse sismiche potenti si presentavano senza preavviso demolendo la quiete della mia mente.
E se fosse arrabbiato?
E se fosse deluso per qualcosa che ho fatto?
E se fosse deluso per qualcosa che non ho fatto?
Quale sarà il suo umore oggi?
Una mossa falsa ed era tutto finito.
"Che faccio?" mimai sottovoce a Zayne, con la paura che mio padre sarebbe riuscito ad ascoltarmi comunque senza neanche aver la chiamata.
Zayne non disse nulla. A parlare fu un sorrisetto che comparve lentamente sul volto, mentre gli istanti successivi susseguivano a rallentatore, la mano occupata dal mio telefono si mosse andando a pigiare, quella che per me diventò, la mia condanna.
Aveva accettato la chiamata.
Senza neanche darmi il tempo di metabolizzare cos'era appena successo, Zayne mi passò il telefono.
Me la paghi, stronzo. Avrei voluto urlargli di cuore.
Lo afferrai incerta con le mani un po' tremanti e i palpiti del cuore aumentare di tempo in tempo.
«Dove sei, perché non sei ancora tornata a casa?» Fu così che mio padre iniziò la conversazione, andando dritto al punto.
Non un "come stai?".
Non un "com'è andata con l'esame oggi?".
Non un "è successo qualcosa?"
Il nulla assoluto.
«Sono da Sophie, mi servivano degli appunti per l'esame di domani e me li stavo facendo passare da lei.» Per quanto tentai di mantenere un tono calmo e non desti sospetti, interiormente sentivo le gambe cedere per la bugia appena trafelata.
Zayne deve avere captato il mio nervosismo perché la sua mano libera, che non teneva il mio punto vita, coprì la mia aiutandomi a reggere il telefono.
Mi sentii come se una grande colonna venne costruita al centro di un soffitto che era sul punto di crollare.
Per quanto quella sensazione mi avesse affievolita di poco, venne demolita dalla risposta di mio padre:
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Labirynth
RomanceAnsia. Paura. Incomprensioni. Queste sono le emozioni che perseguitano Vivienne Lockhart, una ragazza all'ultimo mese alla North Toronto Collegiate Institute prossima al diploma. Come ogni percorso scolastico che si rispetti, anche il suo sta per...
