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"Harry?"
"Ma dove mi stai portando?"
"Mi fai male!"
Melanie lo chiamò così tante volte, ma il ragazzo non volle mai darle risposta né mollare la presa. La trascinava tra piani e gallerie immense, e Melanie si stava chiedendo perché facesse così.
"Harry!" Gridò nuovamente, piantando i piedi a terra. Harry, di certo, non si fece fermare da questo e se la coricò sulla spalla, lasciando le sue gambe a penzoloni mentre lei attorcigliava le sue braccia attorno al collo.
"Siamo arrivati" disse, mettendola giù.
Melanie si guardò attorno, notando come quella stanza bianca e tetra fosse spoglia, senza quadri, senza visitatori. All'angolo più estremo, affiancato ad una finestrella, c'era una tela.
"Di chi è?" lei chiese, avvicinandosi ad Harry e guardando come i suoi occhi verdi saettassero da una parte all'altra della stanza.
"È mio."
Melanie mandò giù un groppo, guardando il quadro appeso al muro. Non era incorniciato, né aveva alcun tipo di protezione.
"Son-sono fiamme, Harry?"
"Sì" sospirò, sedendosi a terra e guardando quella tela senza senso.
"Perché?"
Esitò per un momento, prima di parlare.
"Perché è così che mi sento."
Melanie si sedette affianco a lui, incrociando le gambe e guardando i suoi occhi giada - più spenti, atoni. Voleva quasi leggergli dentro, ma Harry era così chiuso che non poté nemmeno capire come si sentisse.
"Ci sono giorni che darei fuoco a tutto, e giorni che bruciano me."
Melanie non disse niente, non voleva forzare quella situazione e di certo non avrebbe scavato nel suo passato se lui non gliel'avrebbe permesso.
"È come se tutto mi stesse scivolando via, e io non sia più in grado di fermare le cose."
"Quali cose?" chiese, maledicendosi mentalmente perché la sua curiosità ebbe la vinta.
"Io."
"Cosa?" domandò lei, la fronte corrugata.
"Io non funziono poi così bene."

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