VIII

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«Rion!» Louis chiamò la ragazza uscendo di corsa dall'aula, la situazione era la stessa di due giorni prima. Rion era nel suo mondo ed evitava Louis, era come se non si ricordasse la giornata che avevano passato insieme ieri, non rimembrava le loro guance sfiorate, il panino caduto a terra, nulla.
Louis non si era mai sentito così insignificante e tranquillo al tempo stesso, l'atteggiamento di Rion gli faceva provare emozioni contrastanti, passava dal sentirsi uno schifo perché non riusciva a farla parlare al sentirsi così tranquillo che quasi riusciva a provare un briciolo di felicità.
Si era quasi convinto che la ragazza esercitava uno strano potere su di lui e Louis non riusciva a comandarlo o perlomeno a respingerlo.
I capelli neri svolazzarono e il suo viso stanco lo inchiodò al posto, alzò un sopraciglio e aspettò che il moro le si avvicinasse.
«Volevo ringraziarti.» disse Louis accennando un sorriso, «Grazie alla lezione di ieri, sono riuscito a fare tutti gli esercizi nella verifica.»
Rion lo guardò e sorrise lievemente, Louis era così sbalordito che aprì un paio di volte gli occhi, la ragazza gli stava sorridendo. A lui.
«Mi fa piacere.» mormorò e tornò alla sua maschera impenetrabile.
Louis sospirò e gli venne un'idea, «Cosa posso fare per ricambiare il favore?»
«Nulla, davvero, non ce n'è bisogno.»
«No, dopo mi sento in colpa.» questa era un'emerita bugia, ma doveva conoscere la ragazza e doveva persistere.
«Non ho bisogno di nulla.» la sua voce era come una lastra di ghiaccio, fredda.
Il ragazzo fissò il pavimento grigio e tamburellò sui piedi, «Mia mamma oggi fa le lasagne. Ti piacciono le lasagne?» e alzò lo sguardo.
Notò immediatamente che la ragazza cercava di respingere un sorriso e annuì, «Sì, ma avrei da fare questo pomeriggio.»
«Sai, di solito le lasagne si mangiano a pranzo e non durante il pomeriggio.»
Rion lo guardò storto e sospirò, «Se devo proprio, okay.»
Louis si sentì tre metri sopra al cielo, non riusciva a crederci. Era riuscito ad invitarla a pranzo, a casa sua. Si sentiva così felice ed euforico che avrebbe persino potuto uscire in maniche corte da scuola e urlare al mondo la sua felicità.
Guardò Rion con un sorriso da un orecchio all'altro e senza pensarci la prese sottobraccio, iniziò a saltellare mentre si dirigeva verso la fermata dell'autobus.
«Ehm, Louis, stai bene?» chiese la ragazza circospetta.
«E me lo chiedi? Certo.» sentiva che il braccio della ragazza, vicino al suo fianco, era rigido come un pezzo di legno. Quello era solo un piccolo e misero traguardo, avrebbe dovuto lavorare sodo per conquistare la sua fiducia.
D'un tratto si rese conto che sarebbe stata una bella missione.

Jessica stava cercando di far addormentare la piccola, toccandole gli occhi, il naso, la bocca e le guance facendole un giochino quando suonò il telefono.
Andò in cucina con il cuore in gola, si allarmava sempre quando sentiva squillare il telefono a quell'ora: era l'orario in cui Rylee e Rion tornavano da scuola e aveva sempre paura che potesse succedere qualcosa. Stava per perdere un figlio ed era tragico, non voleva che anche al resto delle sue figlie accadesse qualcosa.
Alzò la cornetta con il cuore che le martellava in petto e disse d'un soffio: «Pronto?»
«Ciao, mamma.» si appoggiò al frigorifero, recuperando il fiato e sentendo che uno a uno gli arti, i muscoli e il cuore si calmavano.
«Rion, tutto bene?»
«Sì, tutto a posto.»
«E' successo qualcosa?» chiese.
«No, mamma, stai bene?»
Si alzò di scatto e scosse la testa, non doveva mostrarsi vulnerabile a loro, soprattutto a Rion che era l'unica della famiglia a essere difficile da capire.
«Tutto a posto, tesoro.» e sorrise.
«E' un problema se vado a mangiare da un mio compagno?»
Il cuore di Jessica ebbe un colpo e rimase di stucco, il suo cervello aveva smesso di funzionare e solamente quando sentì il telefono scivolarle dalla mano, recuperò l'uso della parola.
«Ma certo che no, Rion. Vai pure, divertiti e mi raccomando.»
«Okay, ciao.» e riattaccò.
Jessica depose il telefono nella sua custodia e ritornò dalla piccola, si sentiva calma e tranquilla, anche un po' strana. Era la prima volta in diciotto anni che Rion le chiedeva se potesse andare a mangiare da un suo amico. D'un tratto si pentì di se stessa: avrebbe dovuto chiederle da chi andava, ma poi si ricompose subito. Sapeva per certo che la figlia non sarebbe mai andata da uno non raccomandabile, era una ragazza molto attenta alla gente e non si fidava di nessuno, molto probabilmente non si fidava nemmeno del ragazzo che la ospitava a pranzo.
Iniziò a respirare tranquillamente e continuò a fare il gioco con la piccola Renae sino a che non si addormentò.
Bussò piano alla porta e trattenendo il fiato vi entrò, guardò subito in alto, sapendo per certo che se non l'avesse fatto le lacrime avrebbero iniziato a scendere lungo le sue guance. Era un tormento vedere il proprio figlio sul calvario, vederlo tutti i giorni lì, su quel letto, con una bandana che gli circondava la testa e la pelle bianca come porcellana.
«Amore.» sussurrò.
Il ragazzo era appoggiato alla testiera del letto e reggeva tra le mani un libricino, da un po' di mesi aveva iniziato a scrivere, sua madre non sapeva cosa scrivesse. Era solo a conoscenza che da quando aveva iniziato a scrivere, Rich aveva cominciato a rifiutare le cure categoricamente.
«Ehi, mamma.» disse con voce solare e chiuse il libro.
«Come va oggi?» domandò, gettando un'occhiata alla flebo vicino al letto, aveva paura che il ragazzo in un impeto d'ira si staccasse pure quella dal corpo. La flebo serviva solamente a dargli carboidrati e proteine, dato che Rich aveva iniziato a faticare perfino a mangiare.
«Meglio di ieri, ma peggio di una settimana fa.»
Jessica si impose di rimanere calma, significava che stava peggiorando a vista d'occhio e il capolinea era quasi vicino, scosse la testa, non voleva pensarci, non ora.
Era andata lì con l'intento di parlare al figlio della nuova cura che il dottore aveva loro proposto. I genitori di Rich sapevano di questa cura da un bel po' di tempo, ma essendo nuova, costava anche molto e loro non aveva abbastanza soldi, ma da alcuni mesi, tre per l'esattezza, a fine mese si ritrovavano nella cassetta della posta cinquecento dollari.
Jessica la prima volta aveva pensato che fossero destinati alla persona sbagliata ed era perfino andata in banca per riconsegnarli, ma la banchiera era sicura che i soldi fossero per la sua famiglia.
La madre, non contenta della risposta, aveva suonato a tutte le case del quartiere, ma non aveva ottenuto risposta.
La cosa si ripeté per i due mesi successivi e sapeva per certo che sarebbe accaduto anche quel mese. Non aveva la minima idea da chi potessero arrivare quei soldi, né Jessica né suo marito avevano molti amici che si potessero permettere di lasciare loro cinquecento dollari ogni mese.
Accettava quei soldi con rimorso, ma ora avevano in mano quasi tutto denaro per provare la nuova cura.
«Mi fa piacere, Rich, c'è una cosa che devi sapere.» e si accomodò sul letto.

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