III

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Terracina, 44 a.C.
Dopo un lungo viaggio arrivammo finalmente in Italia.
Appena sbarcammo a Lupia fummo accolti da dei soldati veterani di Cesare che appena videro Ottaviano, ora divenuto figlio del loro vecchio generale, iniziarono a gridare, ad esaltarsi e ad acclamarlo.

I soldati, appena sentirono le idee di Ottaviano, passarono dalla sua parte senza pensarci due volte:vogliono tutti vendicare il divo Giulio.

Ci dirigemmo a Terracina dove ci aspettavano Azia e Filippo per una "riunione di famiglia".
«Vipsania tesoro! Da quanto tempo, tutto bene? Più cresci più diventi proprio una bella ragazza romana.» disse Azia appena mi rivide dopo anni.
«Azia!É un piacere rivederti, come sta Ottavia? Non vedo l'ora di rivederla.» le risposi sorridendole.
«Tesoro Ottavia sta benone, sarà entusiasta quando le annuncerò il tuo arrivo, verrai a stare da noi, ovviamente.» mi disse lei sorridendomi.
«Grazie tante, Azia.» le risposi con un enorme sorriso stampato in faccia pensando che finalmente potrò tornare a Roma.

Mi sentii prendere le spalle e spostarmi delicatamente da davanti ad Azia.
«Madre, mi duole interrompere la tua conversazione con Vipsania, ma siamo qui per la riunione. É importante.» disse Ottaviano donandomi poi un sorriso come per scusarsi per avermi disturbata.
Le sue mani sul mio corpo mi procurarono un brivido lungo tutta la schiena, talmente che mi immobilizzai all'istante.

Quando vidi la reazione di Azia quando rivide il proprio figlio non potei non sorridere.
Era in questi momenti che mi mancava la mia mamma, quanto avrei voluto conoscerla, parlarle.
Mi mancava così tanto, eppure non l'avevo mai conosciuta.
La sua assenza mi creava un vuoto da sempre, in cui sprofondavo ogni volta che mi trovavo davanti scene di affetto tra madri e figli.

«Andiamo a fare questa riunione?» disse Ottaviano impaziente.
«Ti ho detto di no? Come sei impaziente, neanche il tempo di salutarci! Filippo, andiamo!» disse Azia richiamando il suo compagno.
I tre si allontanarono e mentre camminavano Ottaviano si rigirò verso di me lanciandomi un sorriso e poi si rigirò.

Sono sicura di essere diventata rossa come il fuoco in quel momento.
Era così bello, sembrava sceso dall'Olimpo per la grazia che aveva in ogni singolo movimento che faceva.
Era come un Dio ed io non potevo fare a meno di venerarlo come tale.

Ad interrompere i miei pensieri fu mio fratello Marco.
«Lo vedo che stai pensando. Cosa ti tormenta?» disse lui vedendomi persa tra i miei pensieri.
Io sobbalzai dallo spavento.
«Oh niente, niente.» gli risposi sorridendo tendando di nascondere l'espressione pensierosa.
«Te lo si legge negli occhi che qualcosa ti tormenta, a cosa pensi?» insistette lui.
«Ho detto nulla, Marco! Non preoccuparti.» gli risposi nuovamente stampando un sorriso falso sulla faccia.
«Posso stare tranquillo?» mi chiese prendendomi delicatamente il viso tra le mani.
«Tranquillissimo!» gli risposi baciandogli una guancia.
Lui sorrise facendosi andare giù la mia bugia.

La riunione, secondo i racconti di Ottaviano, fu turbolenta.
Azia e Filippo non accettarono subito le idee del giovane figlio di Cesare, che dovette spiegarsi mille volte, ma alla fine arrivarono ad un punto di accordo.
Appena terminata la riunione le truppe di Cesare si misero in marcia insieme a noi, direzione Roma.

Roma, 44 a.C.
Il sole stava iniziando a sorgere e noi eravamo appena arrivati nell'Urbe.
Quanto mi era mancata anche solo semplicemente l'aria che si respira, é diversa da qualsiasi altro posto.

«Vipsania, tu andrai da Azia, così ti sistemi e fai quello che devi fare. Noi dobbiamo fare un raduno al foro, torneremo presto, spero. Va bene?» mi disse mio fratello appena giunti nell'Urbe.
«Agrippa le chiedi se le vada bene? É una donna! Usa l'imperativo!» disse Salvidieno Rufo ridacchiando.
Mio fratello lo mangiò con lo sguardo, pronto ad attaccarlo, per ora solo con le parole.
«Tregua!» disse Ottaviano vedendo la tensione che si stava creando. «Agrippa può usare qualsiasi tono voglia con le sue donne e tu Rufo non hai alcun diritto di giudicare la sua scelta.»
All'intervento di Ottaviano Rufo si penti di aver aperto bocca.
«Mi perdoni, mio signore.» disse Rufo abbassando il capo in segno di perdono.
Ottaviano mi guardò, poi guardò Rufo e fece una smorfia come a dire "Che stupido."
Accennammo una risatina, i nostri occhi si sorrisero e fu un quel momento che il mio cuore impazzì di felicità.

Feci quanto mi disse mio fratello.
Azia mi portò nella sua domus, dove fui accolta da un gruppo di ancelle.
Per tutto il tempo del viaggio non feci caso se avessi dei ciuffi in disordine o se il trucco fosse leggermente sbavato, mi comportai in modo un po' spartano, lasciando in secondo piano il mio aspetto e mettendo in primo tutto quello che stava accadendo.

Le ancelle mi fecero fare un bagno caldo e successivamente cosparsero la mia pelle di oli per idratarla.
Mi fu donata da Azia una veste nuova e pulita, adatta al mio "nuovo livello sociale".
Ero diventata la sorella del braccio destro del figlio di Cesare, non era una figura da poco.
La veste aveva le maniche a mezzo braccio ed era verde oliva con una striscia centrale sia davanti che dietro e una striscia sul petto grigio chiaro.
Aveva una piccola corda dello stesso colore del vestito appena sotto il seno che fungeva da cintura.
Mi aggiustarono anche i capelli, li feci fare molto semplici, non amavo le acconciature complesse, mi facevano venire l'emicrania.
Mi feci tirare i miei capelli ondulati all'indietro, lasciandone una sezione che cadeva sulle spalle normalmente.
Non amavo profondamente il trucco ma mi feci truccare leggermente gli occhi e indossai un rossetto molto leggero, poco più rosato del mio colore naturale delle labbra.

«Vipsania!» mentre ero seduta su un triclinium nel peristilium sentii la voce di Ottavia.
Mi girai di scatto e la vidi.
I suoi lunghi capelli biondi ancora disordinati, una veste da notte di un rosa delicato e il viso di chi si é appena svegliato.
«Ottavia! Solo gli dei sanno quanto mi sei mancata!» dissi alzandomi e andandole incontro la abbracciai.
«Sei cresciuta tanto dall'ultima volta, sei diventata ancor più bella.» mi disse sorridendo.
«Anche tu.» le riposi ricambiando il sorriso.

Fecimo ientaculum insieme, il tavolo era pieno di buon cibo, cesti di frutta fresca di stagione, miele, caraffe di latte e di acqua, pane e formaggi.
Ce n'erano per tutti i gusti.

Aspettai che Ottavia si preparò, indossò anche lei una veste con le maniche a mezzo braccio, la sua era rosa antico con alcune righe sul petto e sulle maniche marroni, anche lei indossava una cinta appena sotto il seno.

Ci fu severamente vietato uscire, per questo io e Ottavia passammo tutta la mattinata e gran parte del pomeriggio a parlare di tutto quello che ci era successo in questi anni.

Dopo la morte l'Urbe era diventata pericolosa.
Non si sentiva nessun rumore dalle strade, non si sentiva il rumore degli zoccoli dei cavalli che camminavano, non si sentiva il rumore dei piedi dei bambini che sferzavano la terra rincorrendosi.
Silenzio tombale.
La città era in lutto.

Allora cesaricidi, se Cesare era veramente un dittatore, perché il popolo invece di stare chiuso in casa non esce a festeggiare?

Dalle Ceneri della Repubblica.Where stories live. Discover now