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Uscii dall'ospedale e vidi Nicola intento a spegnere una sigaretta per accendersene un'altra. Dire che quel ragazzo era una fottuta ciminiera è dire poco. Mi avvicinai da lui, gli strappai via la sigaretta appena accesa e la spensi, per poi buttarla.
«Hey- Oh, ciao Fede.» Sembrava irritato da quel gesto, ma quando mi vide qualcosa nel suo volto cambiò.
«Dovresti smettere.» Il ragazzo mi guardò dall'alto fino al basso, più volte.
«È difficile.» Il suo sguardo si fissò prima sulle mie labbra, poi sui miei occhi. Li guardò a lungo, sembrava come incantato dalla vista dei miei occhi.
«Lo so, però dovresti provarci.» Il ragazzo non disse neanche una parola, rimase a fissare i miei occhi come se fosse ipnotizzato da essi.
Fin da quando ero piccolino, le persone mi hanno sempre detto questo fatto sui miei occhi. Tutti sembravano stupefatti da quell'azzurro chiaro come il cielo.
«Nicola, ci sei?» Chiesi passandogli una mano davanti agli occhi.
«Oh? Ah? Eh, si. Dicevi?»
«A cosa pensavi?»
«Nulla. Nulla.»
«Va bene... Comunque, dovresti provarci.»
«A fare?» Sospirai.
«A smettere di fumare.»
«Ah... si.» Il ragazzo sospirò e continuò. «È difficile. Fumare è l'unico modo che ho per scacciare via i cattivi pensieri.» Gli sorrisi, quella frase aveva un non so che di tenero.
«Lo so. Proprio per questo devi provarci.»
«Continuerai a farmi la predica fin quando non smettero, vero?»
«Si.» Gli sorrisi e lui scoppiò a ridere.
«Va bene, va bene. Ci proverò.» Lo strinsi molto forte e lui ricambiò l'abbraccio. Lo guardai negli occhi. Nonostante stesse sorridendo il suo sguardo era spento. Era come se non avesse un vero motivo per spiegare perché fosse ancora in vita, lo era e basta.
I suoi occhi incrociarono i miei e, di nuovo, s'incantarono.
Molto spesso mi chiedevo se il mio sguardo fosse davvero ipnotico come dicevano in molti, e molto spesso mi ritrovavo davanti allo specchio a cercare di capire cosa le persone ci vedessero di così magnetico, ma continuavo a vederci soltanto due occhi. Due palle azzurre con una pupilla nera. Ma Nicola si era praticamente innamorato del mio sguardo. Lo vedevo come lo cercava in ogni situazione, sembrava quasi in astinenza, e ogni volta che riusciva a trovarlo rimaneva lì, incantato, come se distogliere lo sguardo fosse impossibile.
«Forse è meglio rientrare.» Non parlò, era entrato in una specie di trance dove c'erano soltanto lui e i miei occhi. Avrei potuto fare qualsiasi cosa in quel momento e lui non se ne sarebbe accorto. In quel momento avrei potuto -e anche voluto- inginocchiarmi e abbassargli i pantaloni, ma sapevo pure io che forse era un po' troppo.
«Nicola? Ci sei? Torna da me, grazie.» Gli passai la mano davanti al volto e subito si risvegliò da quel sogno ad occhi aperti che stava avendo. Certe volte mi chiedevo che cosa pensasse quando si perdeva nei miei occhi.
«Ah? Si.» Ridacchiai, lui mi guardò un po' male ma si lasciò andare.
«Entriamo?» Il ragazzo annuì e insieme tornammo da Giorgio. L'atmosfera dell'ospedale aveva una quiete tesa, come se ogni corridoio e ogni stanza custodissero storie di dolore e speranza. La luce fioca proveniente dalle lampade fluorescenti aggiungeva un'aria di tristezza e solitudine. Il silenzio era interrotto solo da suoni flebili: il ticchettio dei tasti della tastiera, il sussurro di infermieri e dottori mentre passavano, il rumore proveniente dalle macchine mediche.
Gli odori che regnavano nell'ospedale erano una miscela di disinfettante, profumi leggermente chimici e il sapore metallico nell'aria.
I pazienti, con le loro espressioni variabili tra preoccupazione e speranza, camminavano o erano spostati in barelle attraverso i corridoi. Alcuni sembravano persi nei loro pensieri, mentre altri erano impegnati in delle conversazioni. I visitatori avevano spesso espressioni tese o preoccupate, e cercavano conforto l'uno nell'altro. Quel posto mi suscitava svariate emozioni, ma soprattutto ansia e una brutta paranoia.

𝒕𝒉𝒐𝒔𝒆 𝒐𝒄𝒆𝒂𝒏 𝒆𝒚𝒆𝒔 ~strecico~Where stories live. Discover now