Capitolo 23

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Di qualsiasi cosa siano fatte
le anime, la mia e la sua sono fatte
della medesima cosa.
Emily Brontë

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San Diego, California

Claire

Kathrine aveva accettato l'accordo. Dovevo ammettere che era stato avventato da parte mia prendere una decisione senza prima consultare Mary, ma non avevo avuto altra scelta. Il solo pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere se la bionda non avesse accettato mi causava dei brividi lungo tutto il corpo.

Sospirai leggermente per poi voltarmi su un fianco e incontrare il volto addormentato di Weston.

Presi ad accarezzargli il viso contratto e lo vidi come rilassarsi al mio tocco. Le scure ciglia gli accarezzavano gli zigomi e le palpebre mascheravano i suoi incantevoli occhi verdi. I riccioli marroni venivano illuminati dalla luce lunare che entrava dalla finestra e il petto scoperto si alzava e si abbassava ritmicamente.

Abbassai lo sguardo e non riuscii a non focalizzarmi sulla cicatrice che stanziava vicino al suo cuore.

Inevitabilmente le parole che mi aveva rivelato, prima durante il giorno del ringraziamento e poi a Houston, iniziarono a vorticare nella mia testa e un brivido mi passò lungo tutta la schiena.

Non osavo neanche immagine ciò che avesse vissuto. Io avevo visto due persone morire davanti ai miei occhi e a malapena mi reggevo in piedi. Lui era andato letteralmente in guerra e chissà cosa doveva aver visto. Anche lui, come me, faticava a dormire e le sue notti erano costellate di incubi. Non me l'aveva detto ma, dormendo insieme ultimamente, me ne ero resa conto.

Vidi i suoi occhi stringersi e sentii le sue labbra emettere dei versi, quasi stesse reprimendo un urlo agonizzante.

«Weston! Weston!» esclamai scuotendolo con delicatezza cercando di svegliarlo.

Il moro aprì di scatto le palpebre mettendosi a sedere a corto di fiato.

«Ehi, va tutto bene, va tutto bene...» cercai di rassicurarlo posando una mano sulla sua spalla e facendogli voltare lo sguardo verso di me.

Osservai i suoi occhi spaventati e solo in quel momento mi resi conto di come fossi sempre stata nel torto. Avevo passato la mia intera vita a credere che gli occhi fossero solo due organi in grado di farci vedere ciò che ci circondava. Mi immersi in quegli occhi pieni di sofferenza, paura e dolore. In quel momento finalmente capii. Capii che gli occhi erano effettivamente lo specchio dell'anima, solo non avevo trovato, fino a quel momento, i giusti occhi da guardare.

«Ti ho svegliata? Mi dispiace...» sussurrò passandosi una mano sul viso stanco.

«Non mi hai svegliato. Anch'io come te faccio fatica a dormire» ammisi per poi stringerlo tra le mie braccia cercando di tranquillizzarlo.

Iniziai a passargli le mani tra i capelli, come lui stesso era solito fare con me, mentre analizzavo i suoi respiri che in quel momento si erano fatti regolari.

La nostra relazione era cambiata.

Da semplici colleghi eravamo diventati qualcosa di più e non potevo esserne più felice.

Dovevo ammettere però che temevo di ciò che sarebbe accaduto dopo. Davo per scontato che avremmo vinto contro Alejandro, e forse, anzi, sicuramente sbagliavo a farlo, però temevo ciò che sarebbe avvenuto una volta lasciata San Diego. Ci eravamo ripromessi di prenderci una pausa dal lavoro per curarci, per guarire... E se poi, dopo il percorso con lo psicoterapeuta non saremmo più stati insieme? Insomma, saremmo sicuramente cambiati, era inevitabile. Avremmo dovuto comprendere varie cose, vari aspetti del nostro passato e del nostro presente. E io volevo farlo, davvero, ma allo stesso tempo temevo le ripercussioni che ci sarebbero state.

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