Capitolo 3

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《Alzati,amore o farai tardi.》

《No,rimango qui.Ho deciso.》

《Alzati! O farai tardi》

Ciuffettina,nome infelice ma non le aveva dato lei quel nomignolo,salì con un lieve balzo sul letto. Le fusa si diffusero attorno a lei, e con dei piccoli colpetti della testa reclamava il suo cibo.

《Ho capito,ho capito...ma scordati la scatoletta di cibo umido.Ne hai mangiato troppo. Da oggi crocchette.》

Un piccolo miao di protesta uscì dalle sue piccole fauci feline.

《Miao un cazzo.Se vomiti ancora poi tocca a me pulire.》

Le accarezzò la testolina.
Scese lentamente dal letto,dirigendosi al bagno. Aveva sempre le righe del cuscino stampate sulla pelle, e il rivolo di saliva dal lato sinistro della bocca,oltre alle occhiaie che facevano provincia.

《Ammazza,na' rosa proprio...》

Aveva trovato il viale.
Aveva trovato la casa.
Ma Aveva trovato il cancello chiuso e le imposte esageratamente chiuse,per essere primavera.
Suonò più e più volte il campanello, e come se non bastasse non potè nemmeno fare retromarcia, perché dietro di lei si trovava un cavallo immenso da traino pezzato,con gli zoccolo grandi quanto la sua testa.
Ricordando'evento che aveva visto coinvolta l'anziana signora e il fucile a doppia canna, con molta cautela cercò di fare il giro della proprietà.
Sicuramente dev'essere una famiglia di benestanti,perché ci mise più di quindici minuti a trovare un cancello di servizio, e altri dieci per cercare qualcuno che fosse disposto a parlare con lei, perché in giro non c'era anima viva.

《Lei è Lea?》

Una voce da dietro la fece sobbalzare,ma apparteneva ad un signore di età indefinita,con tuta,guanti e cesoie.

《Sì buongiorno! Sono io.Mi scusi ho provato a suonare,ma nessuno credo mi abbia sentita.》

《Questo spiega il ritardo. Non trova nessuno perché la signora ha deciso di punto in bianco di licenziare tutti, e ora io sono costretto a raccogliere le uova dal pollaio,spalare la paglia sporca dei suoi cavalli, e ovviamente a cucinare. Il che non mi dispiace ma a volte penso che mi mandi al manicomio.》
Avvertì una vena di disperazione,ma nei suoi occhi si accese la speranza verso di lei,come se dovessero condividere questa cosa insieme, e come i condannati all'inferno,avrebbero scontato la pena insieme.

《Prego entri,e si tolga le scarpe prima di entrare.La vecchia ci tiene ai pavimenti.》

La casa era immensa, e alquanto insolita. Non aveva le pacchianate tipiche dei ricconi,o degli arricchiti (es.argenteria a caso,busti di gente mai vista). Era piuttosto un'angolo di mondo che raccoglieva il mondo dentro di sé.
C'erano maschere vodoo (letteralmente) appese alle pareti. Un pappagallo stava perfettamente immobile ad osservarla e notò Lea con piacere che non aveva la catenina alla zampa.
I muri interamente tappezzati da mappe e maschere. Nemmeno una foto di famiglia,ne quadri.
Alquanto singolare. L'esterno era quello di una villa italiana qualunque ma all'interno c'erano oggetti e sorprese ad ogni angolo.
In un momento,un soffio leggero le passò sopra la testa e sentì una leggera pressione venirle dalla spalla; una piccola creatura,bianca,dal naso rosa e gli occhietti neri la fissava silenzioso.

Lea sobbalzò dalla sorpresa.

《O mi scusi. Lei è Gina,il nostro petauro dello zucchero. Molto strano trovarla da sola,generalmente è sempre accompagnato da...ah eccolo lassù! Lo vede?》.

Un altro paio di occhietti neri la fissavano da sopra una di quelle maschere,ma stavolta con il pelo marroncino striato.

《Ecco lui e il gallo sono gli unici maschi della casa. Tutti gli altri animali sono femmine. La padrona dice che le femmine sono più sensibili...a cosa non è chiaro,ma sono più sensibili.》

L'età in cui imparammo a vivereWhere stories live. Discover now