Tiburtina

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A Roma gli autobus non hanno niente di speciale , sono rossi , con tre porte , un po' invecchiati , sporchi , la normalità insomma .

Marisa occupava uno di quei sedili singoli che sono più larghi di quelli normali , da una piazza e mezzo si potrebbe dire : nonostante questo il sedile riusciva ad accogliere poco più di metà del suo ampio di dietro .

Il resto di Marisa resisteva alla forza di gravità senza cedere troppo , con una certa consistenza .

Marisa era vestita in modo disordinato e un po' eccentrico : un impermeabile beige , di quelli da ispettori della tv , la avvolgeva con qualche difficoltà , un po' corto sulle maniche e un po' in difficoltà sui fianchi ; una gonna di un rosso troppo squillante spuntava al di sotto , a coprire due cosce che si immaginavano sconfinate .

Calze color carne guidavano l'occhio verso due scarpe demodé nelle quali il fucsia si era ormai scolorito in un rosa stanco : un foulard floreale copriva i molteplici menti di Marisa e un basco di quelli di lana , del colore del blu del cielo notturno , le ricopriva il capo , tirato all'indietro , alla francese .

Del viso colpiva il sorriso , sempreverde , tranquillo e quasi un po' ebete se lo mettevi assieme a quegli occhi allegri e pacati , occhi di chi ha ricevuto una bella notizia , occhi che guardano curiosi qua e la ma non sembrano posarsi mai su nulla in particolare .

Marisa insomma non dava una brutta impressione a chi avesse voglia di osservarla : più che una vecchina in disfacimento dava l'idea di una matrona ancora bene in salute , di una nonna che amasse viziare i nipoti e cucinare primi piatti da record di colesterolo .

Sedeva ben eretta stringendo un ombrello verde delle aspirine Bayer in una mano grassoccia ma di un bel colore bianco , non di quelle mani piene di macchie , con vene , ossa e nervi a tradirne la grazia .

Erano mani grasse ed eleganti , mani da quadri di Bolero , delicate e leggere .

Nessuno dei passeggeri poteva entrare nella mente di Marisa .

Se qualcuno fosse riuscito ad entrare per qualche prodigio si sarebbe trovato perso nel caos primigenio del morbo di Alzheimer , quando pare che una lavatrice sempre in funzione si diverta a centrifugare pensieri e ricordi .

Si era ormai in prossimità di Piazza D'Istria quando quella donna anziana , che tanto spiccava con i suoi colori sul grigiore che la circondava , come i graffiti sui muri grigi scrostati della città , si preparava per la discesa .

Con attenzione scese dal suo seggiolino nell'autobus semideserto e , un passo dopo l'altro , tenendosi con le mani per i seggiolini per darsi equilibrio , si avviò a percorrere i pochi passi che la separavano dall'uscita .

L'autista , annoiato e stanco , la intravide nello specchietto retrovisore e si disse di frenare con più dolcezza del solito per evitarsi una vecchia cicciona che rotolava per tutto l'automezzo .

Una macchia di colore avanzava adesso per Corso Trieste sotto la pioggia delle nove di sera , dal verde dell'ombrello delle aspirine fino al vecchio fucsia delle scarpe : quelli che la incontravano nel marciapiede rimanevano colpiti dalla mole della donna e dal suo viso sereno , come di una mucca al pascolo .

Deve pesare almeno centotrenta chili , pensò un cameriere pieno di brufoli che fumava sotto una tettoia e la seguì con lo sguardo , osservandola attraversare con prudenza e una certa grazia elegante la strada .

Parkur Masud , il portiere del civico 123 , alzò gli occhi al cielo e imprecò nella sua lingua , che era il pakistano , quando se la vide nell'androne , che chiudeva con gesti curati l'ombrello e sbuffava un po' per la passeggiata .

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⏰ Last updated: Apr 18 ⏰

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