11. Azriel cosa ne pensa?

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«Dici a me?», chiede con un filo su voce, guardandosi un attimo intorno.

«Sì, dico proprio a te», mi faccio spazio tra gli studenti e l’affianco. «Continua pure a camminare, Diana, e non guardarmi così. Non mangio le persone.»

Tutto il sangue fluisce sulle sue guance, ma cerca di mantenere ancora quel sorriso delizioso sulle labbra. Ha un’aria così ingenua.

«Ti serve qualcosa?», chiede, aumentando la presa intorno ai libri. Manifesta le sue emozioni in modo esplosivo.

È molto diversa da Raven.

«Niente di che», dico, stringendomi nelle spalle.

«Ebbene? Come posso esserti utile?»

Continuiamo a farci spazio tra la calca mentre avanziamo verso l’uscita, accompagnati nel frattempo dal brusio generale degli studenti.

«Sei la compagna di stanza di Raven Parker.»

«Sì», risponde, spalancando gli occhi.

«Non era una domanda», la guardo dall’alto. Lei arrossisce. «So che quello che ti sto per chiedere potrebbe sembrare inopportuno da parte mia, ma sono certo che una ragazza come te sa quando tenere la bocca chiusa.»

Sulla sua fronte appare un piccolo solco. «Non ho fatto niente di male! Lo giuro.»

Si mette subito sulla difensiva e arriccia il labbro inferiore, formando un mezzo broncio.

«Lo so, Diana. Calmati», le rivolgo un mezzo sorriso amichevole. «Volevo soltanto farti una domanda. Ma voglio che questa conversazione rimanga soltanto tra me e te.»

Lo stupore le anima gli occhi, ma poi un sorriso scaltro prende vita sul suo viso delicato e manda quasi al diavolo la facciata della brava ragazza che ha sfoggiato fino ad ora.

«Dimmi tutto», strilla con enfasi, poi si tappa la bocca con una mano e mi rivolge uno sguardo pieno di scuse.

«Da questa parte», la guido fuori.

Scendiamo i gradini, lei si fa di nuovo piccola, come se non volesse farsi vedere insieme a me.

«Come ti tratta Raven?», è la prima domanda che faccio.

Non se l’aspettava.

«Oh», mormora con un’espressione disorientata. «Raven è molto complicata», inizia a dire quasi bisbigliando. Ci sono ancora troppe persone intorno a noi. «È chiusa. Ed è rigida. Come un dannato sasso», inizia gesticolare nervosamente con una mano. «È come un lago: bello e calmo. Vorresti immergerti e sfiorare le lieve increspature dell’acqua in superficie, ma poi scopri che quel lago in realtà è ghiacciato, inscalfibile. Capisci quello che sto dicendo?»

Annuisco. «Vai avanti, grazie.»

«Predilige il silenzio a qualsiasi ora del giorno ed è stancante, perché io sono una grande chiacchierona.»

Sì, ho notato.

«Vorrei davvero diventare sua amica, ma sembra una missione impossibile. Provo a parlarle, ma lei finge di non sentirmi. A volte si infila gli auricolari nelle orecchie e preferisce scarabocchiare cose su quel suo quaderno piuttosto che guardarmi in faccia.»

«Cioè? Cosa fa? Studia?»

Diana scuote la testa. «No, no. Credo disegni. Eppure a me ha detto che detesta disegnare. Non la capisco», sospira con un’espressione affranta. «E poi-», lascia la frase incompleta.

«Cosa?»

«Credo si stia sentendo con qualcuno.»

Mi irrigidisco.

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