"Dammi un'altra pastiglia, questa è caduta per terra"
Dice asciugandosi le lacrime sotto agli occhi, dovute a quanto ha riso.

Le do direttamente la confezione di pastiglie e lei se ne va lasciandomi solo.
Ne approfitto per asciugarmi e vestirmi.
In una giornata come questa è obbligatorio andare a correre.

Mi infilo anche le scarpe e vado di sotto.
Meghan è ancora in pigiama, che contempla il vuoto.

"Vuoi venire a correre?"
Domando d'impulso.
Che cazzo sto facendo?

"Con te?"
Domanda con il suo solito tono schifato.

"Lo sapevo, fai tanto la dura e mi prendi a pugni, ma scommetto che non sei capace di correre per più di venti minuti consecutivi. Non importa, vado da solo"

"Mi vesto e ci sono"
Sorrido soddisfatto, quando si mette di mezzo il suo orgoglio è disposta a fare di tutto.
Mi tolgo la maglia e la lancio su un divanetto, tanto dopo poco me la sarei tolta per il caldo.

Meghan mi raggiunge in giardino, io la guardo di traverso.

"Non hai caldo?"
I pantaloni della tuta neri le arrivano alle caviglie, mentre sopra ha una semplice felpa nera con la scritta Nike bianca.
Si lega velocemente i capelli corvini in una coda alta, ignora completamente la mia domanda e si mette a fare stretching.

Quando finalmente finisce andiamo sulla spiaggia dietro casa sua.
Iniziamo subito a correre.

"Che cazzo! Era una medicina o mi hai drogata. La testa mi fa più male di prima"
Inizia a lamentarsi dopo dieci minuti.

"Non è colpa mia se ti sei vestita come se dovessi andare a scalare l'Everest"
Lei non dice nulla troppo impegnata a inalare ossigeno.

"non... c'entra n-...nulla"
Ansima a fatica.

La ignoro spazientito dal suo comportamento da "so tutto io".
Mi pento subito di averle chiesto di venire a correre come me.
Uno stiamo andando alla velocità di uno squalo fuori dall'acqua.
Due devo anche sopportare le sue lamentele su tutto.

Mi sorprendo di non sentire più il suo respiro pesante alla mia destra.
Sposto lo sguardo al mio fianco e lei non c'è più.
Senza smettere di correre torno indietro da lei.
È seduta sulla sabbia e si tiene la testa.

Faccio per dirle qualcosa, ma lei si alza e corre velocemente verso il mare.
Si china in avanti e vomita.
Storco il naso nel vedere questa scena, sentendomi leggermente in colpa per non essere andato ad aiutarla e perché, forse, non è stato molto carino farla correre ancora mezza ubriaca.
Respira profondamente poi torna da me.

"Tutto bene?"

"Da Dio, ho solo vomitato tutto quello che ho ingerito dal 2020"
Il fatto che non riesca mai a non inserire dell'ironia nelle sue frasi mi urta.

"Torniamo a casa?"

"No ma tranquillo, se vuoi possiamo continuare a correre"
Continua a lamentarsi.
Sinceramente le tirerei volentieri un pugno, ma il mio buon senso me lo impedisce.

"Allora riprendiamo, mancano quattro chilometri alla costiera"
Dico guardando l'Apple Watch sul mio polso, che in realtà è spento, serve solo per fare scena.
Non aspetto che risponda e riprendo a correre.

"Mamma mia, prendi tutto sul personale"
Urla alzando le braccia al cielo.
"Stavo scherzando"
Aggiunge vedendo che non mi fermo.

"Io no"
Scuoto la testa.
Pochi secondi dopo me la ritrovo a fianco che corre tenendo il mio ritmo, senza fatica.
Non capisco perché non sia tornata a casa, cosa la spinge a stare con me se non facciamo altro che urlarci contro?

Arriviamo alla scogliera senza pause, non pensavo resistesse così tanto considerando che fino a poco fa boccheggiava.

"Cazzo, mi fa male dappertutto"
Appoggia i palmi delle mani sulle gambe per riprendere fiato.
"Ho fame"

Io mi limito a seguirla dentro al primo ristorante, che in realtà sarebbe più una trattoria.
Spinge la porta con su scritto a caratteri cubitali "TIRARE", ma si blocca immediatamente.

"Non possiamo entrare così."
Sentenzia squadrandomi dall'alto al basso.

"Puzziamo come due adolescenti nel pieno della loro fase ormonale e tu, per di più, sei mezzo nudo"
Effettivamente ha ragione.
entriamo nel primo negozio cinese sulla strada per comprare dei vestiti puliti.

Senza aggiungere altro lei va nel reparto "donne" e io in quello "uomini".
Prendo una maglia bianca con sopra stampate delle palme da cocco e la scritta "summer" in giallo.
Per non farmi mancare nulla anche un paio di pantaloncini neri e uno zainetto dove infilare i vestiti sporchi.

Entriamo nel locale e lei spinge, di nuovo, la porta con su scritto tirare, non riesco a trattenere la risata.

"Da quando le porte si tirano e non si spingono?!"

Ci fiondiamo in bagno per cambiarci.
Una volta pronti ci accomodiamo a un tavolo e aspettiamo che ci portino il menù.

Ordiniamo entrambi una porzione di toast con pomodoro e mozzarella.
Lei prende anche delle patatine.
Da bere entrambi acqua, naturale ovviamente.

"Ero davvero fuori prima se ho accettato di passare del tempo con te"
Dice rompendo il silenzio, che tra parentesi, preferivo non venisse rotto dalle sue fastidiose provocazioni.

"Non hai idea di quante vorrebbero essere al tuo posto"
Ribatto facendole l'occhiolino.
Lei mima di ficcarsi due dita in gola e vomitare.

Esattamente due minuti dopo che ci hanno portato il pranzo lei sta tirando su le ultime briciole dal piatto.

Ordina altra roba e mezz'ora dopo è ancora lì che mangia patatine fritte e toast.

Prima in macchina e ora qua.
Mi chiedo se perda spesso il controllo, perché la quantità di cibo che ha mangiato è difficile da mandare giù.
Stiamo parlando di venti toast e mezzo chilo di patatine.
Come fa a non stare male, a vomitare. Io penso che non riuscirei nemmeno a camminare.
E poi, anche se si veste sempre con due taglie in più della sua, si vede benissimo che è magra.

Cerco di non comportarmi come le persone intorno a noi, che la guardano stupiti o schifati dal suo comportamento.
Anche i camerieri sono tesi.
Io non la guardo e mi metto al cellulare, aspettando che finisca.

Pago tutti i duecento dollari di toast e ce ne andiamo.

Mentre torniamo indietro penso che forse non è stato così male.
Passare il pomeriggio con lei intendo.
E che forse ho la febbre.

Two Broken HeartsWhere stories live. Discover now