Capitolo I-Cesar

29 1 1
                                    

Molta gente vive serenamente, in una famiglia la maggior parte delle volte "normale". Ma nel mio caso non è così : mi chiamo Cesar, ho 19 anni e sono orfano.

Ho sempre vissuto in un orfanotrofio in Russia, in un vicolo abitato probabilmente da malviventi. Quel posto aveva il nome di "Orfanotrofio di S. Calogero", ma ormai da tutti è stato soprannominato "L'inferno dei bambini". Era un posto orribile, crudele e con persone insensibili al suo interno. D'estetica era un posto davvero bello, ma le cose che ci facevano lì dentro non erano così tanto belle. All'esterno aveva una recinzione di circa due metri fatta di ferro per non farci scappare, all'interno del cancello si passava per un prato ben curato dove si andava solo la mattina dopo colazione e d'estate. Per entrare bisognava salire degli scalini di marmo e bussare ad un portone di legno di un colore tendente al nero. Le pareti sia dentro che fuori erano fatte con lo stesso materiale della porta, solo un po' più chiaro.

All'interno, si vedeva un tappeto rosso che andava dritto per una decina di metri, per poi dividersi in due parti che andavano fin sopra le scale. Al piano terra c'erano a destra la cucina e la mensa dove mangiavamo tutti i insieme, a sinistra invece le classi, dove ci insegnavano tutte le cose necessarie come in una vera scuola. Tornando indietro, si poteva salire sulle scale, che portavano ai dormitori. Erano divisi in base al sesso, le femmine da un lato e i maschi dall'altro. Per evitare degli "incidenti".

Al tempo avevo 19 anni e, nell'orfanotrofio, quando si diventa maggiorenni o ci si prende cura dei bambini più piccoli o bisognava andarsene. Io ero ancora in quell'orrendo posto e quindi iniziai a badare ad un piccolo ragazzino appena arrivato. Si chiamava Anthony, e aveva solo 2 anni. I suoi genitori erano degli alcolizzati, gli hanno tolto la custodia del bambino ed ora è qui. In quel posto orribile avevo solo un'amica: Isabel, una ragazza della mia età che come me faceva da baby-sitter ai bambini. In oltre, nell'orfanotrofio c'erano delle regole severissime, tra cui andare a letto entro le 22:00, mangiare tutto quello che ci veniva offerto e non fare amicizie online. Ma se non le seguivamo, ci picchiavano. Ecco la spiegazione di tutte le mie cicatrici. L'ultima regola l'ho sempre rispettata fino ai miei 14 anni, quando mi stufai e feci un profilo su un social popolare al tempo. Lì conobbi un ragazzo Italoamericano di un anno più piccolo di me, Elliot. Lui era un ragazzo carinissimo con i capelli rossicci e riccioluti con gli occhi verde smeraldo. Io, invece, avevo i capelli biondi e gli occhi d'un azzurro brillante. Ormai conoscevo Elliot da 5 anni, e grazie a lui iniziai a capire di non amare le ragazze. Tutto andava per il meglio, fin quando non arrivò mio fratello Dimitri da me con una faccia incazzata.
«Cesar, chi diamine è Elliot?!» mi urlò.
Ero impietrito, come lo aveva scoperto? «Elliot? Ecco Elliot è un ragazzo che prima veniva qui ma..»
Non mi fece finire la frase che -BAM! - mi tirò uno schiaffo cosi6forte che mi girò la testa.
«Vaffanculo, Cesar. Non dirmi mai più delle cazzate, te ne pentirai.» disse poco prima di andarsene.
Io ci rimasi così male che andai in bagno, presi una lametta da barba e quei 3 anni senza autolesionismo diventarono 20 secondi. Le mie braccia si tinsero di un rosso acceso e tutto il liquido iniziò a gocciolare sul pavimento. Quella sensazione era bellissima, era da troppo che non la provavo. Passarono ore, e sotto di me c'era una pozza di sangue. Ormai erano le 18:37, quindi presi lo strofinaccio e tolsi tutte le prove. Poi misi dell'acqua sui polsi e uscì dal bagno. Solo avevo le maniche corte, quindi erano in bella vista.
«Cesar, cosa fai qui?» mi chiese una vocina dietro di me.
Mi volta e vidi Anthony. «Oh, piccino, nulla di che stai tranquillo.»
Poi puntò il dito sulle mie braccia e mi chiese «Anche tu sei un Angelo?»
Gli occhi mi si riempirono di lacrime a quelle parole, non risposi e lo portai al piano di sotto, per metterlo sul seggiolino e portarlo a tavola.
Lui puntò la mia maglietta, una maglietta nera dei Nirvana, nulla di che.
«Un giorno posso ascoltarli?» chiese con gli occhi da cerbiatto.
Feci un cenno con la testa, prima che arrivasse Isabel.
«Scemo, vai a metterti un maglione, se scoprono i tagli sei fottuto.» mi sussurrò la mia migliore amica.
«Va bene, tu accompagna Anthony al tavolo, vicino a me. Io vado a mettere un maglione.»
Corsi di sopra e misi mio maglione più bello, che era anche il preferito di Anthony. Corsi a tavola e il piccolo vide subito il maglione verde con i dinosauri.
«Che bello! Io adoro i dinosauri.» disse abbracciandomi. «secondo te esistono ancora?» mi chiese.
«sì, è un giorno ti porto a vederli.» gli accarezzai i capelli e mi sedetti a tavola.
«Cesar, da grande voglio che tu diventi mio papà!» esclamò Anthony prima di mangiare
«Lo farò. Ma ora mangia, sennò si raffredda» gli risposi prima di imboccarlo.
Quel giorno da mangiare c'era la cosa che lui odiava di più, la zuppa di carote.
«dai, piccolo, se la mangi poi dormi con me.» dopo queste parole non esitò un attimo a finire tutto quello che aveva nel piatto.
«In camera mi fai parlare con Elly?» Non sapeva dire "Elliot", quindi lo chiamava così.
«Va bene, ma non dire cavolate, ok?»
Aveva il sorriso stampato in faccia, e visto che avevamo finito di mangiare, abbiamo salutato tutti e siamo corsi in camera mia.
Presi in tefono che avevo sul comodino e chiamai elliot.
«Cesar, Anthony! Come state?» chiese a bassa voce, visto che i suoi genitori dormivano.
«Bene, Elly ma un giorno ci vieni a trovare?» chiese il piccolo Anthony.
"Elliot ogni giorno è più bello, vorrei baciarlo" pensai.
Guardai l'orario è vidi che erano già le 21:40, quindi, salutammo Elliot e iniziai a mettergli il pigiama e a lavarci. Mentre ci lavavamo i denti mi tornarono in mente le sue parole:"anche tu sei un Angelo?"
«Anthony, ma perché mi hai chiesto prima se ero un Angelo?» gli chiesi per capire meglio
«Me lo diceva sempre la mia sorellona, solo che ora è andata in cielo da tanto tempo.» disse ad occhi bassi.
Non risposi. Lo portai in camera mia e iniziammo a dormire.
La mattina mi svegliai prima di tutti, alle 02:15 del mattino. Guardai sul telefono e c'era un messaggio di Dimitri dove diceva : «Cesar, preparati. Tra una settimana andrai nell'esercito.»
Non sapevo cosa dire, certo che non ci sarei andato! Mancava una settimana al compleanno di Elliot, e non potevo non fargli un regalo. Quindi ebbi un idea: sarei scappato. Portai Anthony nella sua cameretta, presi i miei effetti personali e, molto lentamente, uscì dal portone e scavalcai il cancello di metallo.
Non ebbi nemmeno tempo di esultare che un uomo mi fermò.
«Ragazzino, dove stai andando?» chiese l'uomo con una sigaretta in bocca.
«In Italia, signore.» iniziai a sudare fraddo.
Egli fece una risatina prima di spegnere sulla mia mano la sua fottuta sigaretta. Questa cosa mi fece incazzare, quindi lo presi per il colletto e lo spinsi contro il muro, facendogli sanguinare il naso.
«Figlio di puttana...» non finì la frase che io scappai con tutti i suoi insulti alle spalle. Visto che era ancora tardi me fermai a riposare su una panchina a una decina di chilometri dall'orfanotrofio. Mi svegliai proprio durante un sogno bellissimo: Io ed Elliot che ci baciavamo.
Mi svegliai perché c'era la luce del sole che mi batteva in faccia. Misi la mano nella tasca e presi il biglietto dell'aereo, che portava proprio a Roma. La sua città. Corsi come un pazzo per non perdere l'aereo e ci riuscì. Arrivai proprio nel momento giusto. Prima di andare decisi di comprare un anello per Elliot: non mi bastava un semplice anello con il diamante al centro, quindi gli comprai un anello con tre pietre tendenti al verde. Come i suoi stupendi occhi.
Prima di andare mi fermai a rispondere ai messaggi, tra tutti c'era Isabel che mi chiedeva dov'ero. Gli inoltrai il messaggio di mio fratello e gli dissi che stavo andando in Italia da Elliot. Mi fidavo un sacco di lei, gli dicevo qualsiasi cosa. Per passare il tempo mi misi fuori a fumare una sigaretta nell'attesa del mio volo, quando arrivò qualcuno da dietro che mi abbracciò. Era Elliot.
Lo presi in praccio e per poco non lo baciai. Vidi subito il suo nuovo taglio di capelli, se li era tagliati da pochissimo. Quei suoi riccioli rossicci erano ancora più affascinanti ora, ed i suoi occhi verdi smeraldo brillavano come non mai.
«Ma cosa ci fai anche tu qui?» mi chiese appoggiandosi alla mia spalla.
«Volevo farti una sorpresa, no?» non volevo dirgli di mio fratello, si sarebbe preoccupato troppo.

il modo il cui ti ho iniziato ad amare.Where stories live. Discover now