Prologo

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La porta si richiuse alle sue spalle, con un gran tonfo. Il sottile vaso di vetro poggiato sul mobile di legno scuro cadde a terra, frantumandosi. Le schegge schizzarono per tutta la stanza. Lei non si mosse: fissava la rosa bianca, che giaceva a terra, circondata da frammenti di vetro, a pochi centimetri dai suoi alluci. Non sentiva alcun odore, non ne sentiva mai in quella stanza, la stanza bianca. Sussultò, incrociando lo sguardo di qualcuno che la stava fissando dalla parete opposta. Passò una mano nel suo caschetto di capelli neri e la figura davanti a lei fece lo stesso. Si avvicinarono timidamente l'una all'altra, ferendosi i piedi nudi con le schegge di vetro. Abbassarono contemporaneamente lo sguardo per vedere la pozza rosso scuro che continuava ad espandersi. Si fermarono entrambe nel momento in cui il sangue incontrò i candidi petali della rosa, macchiandoli.

Guardò nuovamente la sua immagine riflessa nello specchio. Aveva gli occhi gonfi, ed il viso a righe; alcune di un bianco opaco, altre erano più lucide: aveva pianto. Non riusciva, però, a ricordarne la ragione. Quando si parla di lacrime non si parla di ragione: lei, se potesse, le fermerebbe, ma inspiegabilmente ci sono dei momenti in cui non riesce a vincere su di esse; inspiegabilmente, la ragione, di cui lei si fidava così tanto, non riusciva sempre a proteggerla. Rimase immobile di fronte a quello spettacolo inusuale. Ricordava un' unica altra volta in cui aveva pianto. Il suo volto nello specchio le appariva così diverso, la incuriosiva, ma la terrorizzava allo stesso tempo.

Per quanto poteva sforzarsi di ricordare cosa fosse accaduto, riusciva a riportare alla mente solo un' immagine: due lingue di fuoco opposte, che, lentamente, si univano.

Quella stanza era troppo silenziosa. Non era abituata al silenzio. Spesso lo desiderava, ma quando riusciva ad ottenerlo le sembrava di vivere un incubo. Il silenzio si spezzò e lei sentì mancare il respiro, come se si stesse svegliando di soprassalto: qualcosa le era caduto di mano, sporcando di nero il marmo bianco. Il rumore cessò e lei piombò nuovamente nell'incubo del silenzio. Raccolse ciò che aveva lasciato cadere: era un pezzo di carbone. Non sapeva dove lo avesse preso, né quando. Aveva il palmo della mano sinistra quasi interamente nero. Tornò a guardarsi nello specchio: il suo volto assunse un' espressione confusa. Avvicinò la mano sporca al suo viso; sulla sua guancia bianca come i petali della rosa apparve una macchia nera. Un brivido le percorse la schiena. Se le lacrime sul suo volto la terrorizzavano non sapeva quale fosse la sensazione che quell'immagine le provocava; era come il terrore del pianto e del silenzio ma moltiplicato all'infinito. Non riusciva a smettere di tremare. Subito con la mano destra, grattò via il nero dal suo volto, per poi schiaffeggiarsi la guancia fino a farla diventare dello stesso colore delle sue labbra. Uscì di corsa dal silenzio troppo bianco della stanza, segnando il suo cammino con impronte rosso sangue.

La regina di carboneWhere stories live. Discover now