Capitolo 20

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Eppure resta che qualcosa
è accaduto, forse un
niente che è tutto.
Eugenio Montale

⋅⊰∘☽༓☾∘⊱⋅

I silenzi erano differenti.

Il silenzio dopo un viaggio durato troppo poco.
Il silenzio dopo un brutto voto.
Il silenzio quando scopri un tradimento o quando succede qualcosa di inaspettato.

In quel momento erano passate probabilmente delle ore ed eravamo seduti ancora su quel marciapiede.

Il silenzio che ci avvolgeva era diverso dal solito.

Stava dando tempo a me di ripercorrere ogni singolo attimo di quel giorno e dava tempo a Wes di metabolizzare il tutto.

Sin da quel fatidico giorno, avevo passato ogni minuto chiedendomi se avessi fatto la scelta giusta.

Magari se non avessi chiamato la polizia, mio padre non si sarebbe suicidato e, chissà, magari sarebbe ritornato sobrio e avrebbe ripreso a lavorare.

Poi, però, l'immagine del corpo di mia madre inerme sul pavimento mi ricompariva davanti agli occhi.

«Faccio pena, non è vero?» domandai sorridendo tristemente e beandomi del calore che emanava il suo corpo.

«Non fai pena.
Hai semplicemente vissuto tante cose brutte. Vedila così: il passato ci ha reso quello che siamo oggi.
Adesso, con me, sei solo Claire. Non "la mentirosa" o quella bambina di nove anni. Sei semplicemente...Claire» ammise a bassa voce per poi posarmi un bacio tra i capelli ancora lisci.

Sorrisi leggermente a quelle parole tanto profonde.

Sin da quando ero piccola ero sempre stata etichettata. Dopo il tornado ero diventata: "la povera bambina che ha rischiato di morire". Dopo il suicidio di mio padre ero diventata: "la povera bambina con i genitori problematici". Poi, in università, ero: "la texana con un forte accento ma con degli ottimi voti". Infine, a lavoro venivo chiamata: "la mentirosa".

Era bello venir considerati in quel modo. In quel momento, con lui al mio fianco, ero solamente Claire.

«Sai, prima di conoscerti avevo un partner. Era il mio migliore amico sin dall'accademia. Si chiamava Edward. Lo hanno ucciso durante una missione... So che non è assolutamente paragonabile a ciò che hai vissuto tu, ma volevo condividere anch'io un po' di dolore...»

Se c'era qualcosa che non sapevo assolutamente fare, era consolare le persone.

Così, insicura di cosa fare, poggiai la mia mano sulla sua per fargli forza.

Monica.

Cercai di reprimere una risata isterica. E, in quel momento, con quale faccia avrei dovuto dire a Weston che le tragedie nella mia vita non erano finite lì?

Così, decisi che forse era meglio stare in silenzio. Quella non era una gara per vedere chi dei due avesse avuto più bisogno di uno psicologo.

«Sai cosa? Adesso non ho proprio voglia di sedermi a tavola e mangiare con mia madre. Che ne dici di andare in un bar? In fondo, siamo in vacanza, no? Direi che un bicchiere non farà del male a nessuno» ammisi alzandomi e tenendomi la coperta sulle spalle.

Tesi una mano verso il moro che non esitò ad afferrarla.

I miei occhi, però, non vollero staccarsi dalla sua figura. I capelli marroni e mossi venivano scompigliati dal flebile vento e i magnetici occhi verdi mi scrutavano attentamente.

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