04. Sei il mio incubo

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La testa si inclina verso di me e un sorriso sarcastico mi riempie gli occhi.

«Ciao, volpina», allunga un braccio intorno al poggiatesta del sedile del passeggero e si sporge leggermente per guardarmi meglio in faccia. Punta l’indice verso l’alto e dice: «Temporale in arrivo.»

«Lo so. Fino a prova contraria i miei occhi sono ancora qui e funzionano abbastanza bene», mi indico la faccia con un movimento circolare del dito.

Il sorriso di Elias assume una sfumatura diabolica. «Non vedo l’ora di vederti tornare come un cane bagnato in quel buco ammuffito che chiami casa.»

Faccio un respiro profondo e cerco di mantenere la calma.

La signora accanto a me dà un colpo di tosse e mi guarda come se fosse pronta ad offrirmi il suo aiuto.

Mi avvicino alla sua auto, sorrido civettuola e poi replico, a voce abbastanza alta: «Cugino mio, lo so che le emorroidi sono sgradevoli, ma te l’ho già detto, non conosco alcun rimedio. Smettila di darmi il tormento», mi stringo nelle spalle innocentemente ed Elias diventa di colpo paonazzo.

«Cosa cazzo hai detto?», stringe i denti e poi si allunga ancora di più verso lo sportello. «E la pianti di gridare?»

«Pensavo che l’umiliazione pubblica fosse una specie di fetish per te», sporgo il labbro inferiore, fingendomi in pensiero per lui.

«Ti sembra uno scherzo?», tuona.

«Okay, bene, in realtà pensavo che ti avrebbe fatto scappare e invece no. Sei ancora qui», borbotto guatandolo con discreto interesse.

«Sali. Mi sento particolarmente magnanime in questo momento e vorrei darti un passaggio». Di nuovo quel sorrisetto sghembo.

Sollevo un sopracciglio e mi avvicino nuovamente al finestrino.

«Preferisco che l’autobus mi passi ripetutamente di sopra fino a farmi diventare piatta come una tortilla», gli dico con tono mellifluo.

«Ti conviene fare come ti dico, Raven. Sali e non protestare, perché…», fa una pausa e si morde il labbro, perdendosi in chissà quale fantasia perversa. «Ho immaginato questo momento almeno un centinaio di volte, quindi sali e fammi parlare. Ho qualcosa da dirti», dà un colpetto sul sedile. Dov’è la fregatura?

Gli scaglio contro una raffica di insulti random mentre apro lo sportello e mi metto comoda. Ingrana la marcia e ci allontaniamo. Lui sembra un po’ troppo contento di rivedermi. È rivoltante.

«Vedi, Raven, ho la prova inconfutabile di un tuo crimine; quindi se non vuoi finire in un mare di guai, ti conviene stare zitta e ascoltare», sorride trionfante, ma io mi acciglio.

«Che prova?», sussurro a denti stretti, avvicinandomi un po’ di più. Mi scocca un’occhiata tagliente, come se la mia vicinanza inaspettata lo mettesse a disagio. Mette una mano sulla mia faccia, per un attimo indugia e sento le sue dita premere contro la mia guancia, poi me la spinge all'indietro.

«Diciamo che potrei averti vista flirtare con il tuo professore di biologia, quando all’ultimo anno siamo andati a visitare il planetario. Ero con la mia scuola, ma ti ho vista. Me lo ricordo bene», adesso non mi guarda più, ma percepisco ugualmente la soddisfazione nella sua voce.

«Quindi ti sei segato a lungo immaginando il momento in cui me l’avresti detto?», inarco un sopracciglio, lui sospira esasperato.

«Non è stata quella la parte interessante, bensì quella dopo», mi guarda con la coda dell’occhio per assicurarsi che io stia a ancora ascoltando. «Gli hai sfilato il Rolex dal polso con un’agilità sbalorditiva. E io ti stavo facendo il video perché ti avevo vista strusciarti contro il suo cazzo», i suoi occhi sono due pozzi colmi di odio e sete di vendetta. Aspettava soltanto il momento giusto per farmela pagare?

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