Confessione

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Mentre io ero in preda dell'angoscia e per il dolore su di un lettino tra le lacrime mi contorcevo, un saggio con la barba bianca che mi sedeva a fianco, fumando la pipa mi disse: «Ho letto i tuoi manoscritti e li trovo straordinari. Sei la confluenza di molte discipline, fisiche e mentali, il punto di fusione del più astratto formalismo con la filosofia analitica. In te si intrecciano parole e simboli matematici, riscopri in un nuovo linguaggio teoremi del passato, molti che nemmeno conosci, e ne enunci di nuovi. Ma è una stella nascente, una teoria in stato germinale che va consolidata nei suoi punti deboli: devi studiare e molto, devi rifarti a ciò che già esiste giacché l'originalità assoluta in questa Biblioteca di Babele, nel quale ogni libro è già stato scritto, non esiste!». «Nulla di nuovo sotto il sole?», risposi, «Nulla di nuovo sotto il sole.», ripeté lui, «Fai questa dannata bibliografia!». Ma io la bibliografia non la volevo proprio fare, mi avrebbe annoiato a morte, e leggere le cose altrui mi avrebbe impedito di essere creativo e di riscoprirle nel mio idioma innovativo. In qualche modo rifarmi ad altri mi avrebbe "contaminato" e quindi minato quell'identità indotta da un ambiente bilioso, cioè di un ragazzo "perdente" che voleva il suo tesoretto, una medaglia olimpica in una disciplina ancora da inventare. Desideravo sentirmi "primo" e restare tale in qualche cosa che amavo e che in un certo senso mi contraccambiava, dal momento che i primati di cui avrei potuto vantarmi già da tenera età erano in settori che non avevano trovato un seguito per incostanza mia o per mancanza di supporto ed occasioni che in parte avrei dovuto crearmi. «Pensaci, ma sappi che anche se riuscirai gli applausi saranno meno delle critiche. Sarai una pecora in mezzo ai lupi perché resterai spiazzato di fronte all'invidia, giacché non ti appartiene.» concluse prima di salutarmi. Me ne andai provando due emozioni contrapposte: l'orgoglio, perché il mio lavoro era stato giudicato fuori dall'ordinario, sopra la media, e la delusione perché in quel momento avevo bisogno di un riconoscimento immediato ed ufficiale che fosse una pacca sulla spalla nella mia sofferenza. Convinto che quest'ultima fosse causata dalla mia profondità, dalla mia mentalità analitica e contemplativa, gettai tutto alle ortiche. Quel dolore per una possibile fama di nicchia che chissà quando e se sarebbe arrivata, era un gioco che non valeva la candela. Allora andai da un famoso pittore, lo chiamavano "il professore", per chiedergli un favore: «Te lo faccio con piacere, ma prima dovrai raccogliere il colore che deriva da una rara pianta che cresce in cima a quell'alta montagna. Va' e quando tornerai il tuo corpo sarà scolpito, più forte e resistente, pronto per il mio dipinto.» E così accettai. Fu un'impresa ardua, pregna di fatica e sofferenza, ma alla fine tornai con il colore, così egli mi dipinse il volto di una nuova luce: i miei occhi brillavano nel guardarmi allo specchio. A lavoro finito egli mi chiese: «E ora che farai?». Io gli risposi: «Girerò il mondo come una mostra itinerante, sarà il quadro tuo più bello! Voglio bere e danzare in mezzo alla gente, fluido e sicuro di me, come a formare con essa un corpo unico.» E così feci per molto tempo, vivendo una sorta di favola: ero nei miei panni ed ero felice. Ma un giorno il mondo si impoverì e non mi pagarono più per essere "apparenza" e rappresentare la migliore delle opere d'arte del "professore". Ormai abituato a quel ruolo, facevo fatica a reinventarmi e, nonostante le mie competenze trasversali, incontrai soltanto porte chiuse, sperimentando la claustrofobica e inquietante sensazione che si ha nel percorrere il lungo corridoio di un albergo vuoto. Le poche volte che trovavo un lavoro, o chiudevano l'attività o avevo delle divergenze per cui non riuscivo a tenermelo. Originale come i miei manoscritti di gioventù, non esisteva un ruolo già inventato per me in questa società. Così il trucco se ne andò via lasciando spazio ad un viso stanco e scavato, e peggio ancora, se ne andò via anche la salute. Tutta l'impalcatura su cui si reggeva la mia persona crollò e io caddi in una sorta di forte disagio che mai mi avrebbe abbandonato del tutto. Non ero più niente. Tutto il mio passato era stato un bellissimo sogno che con molta fortuna avevo potuto vivere nella realtà, ma orma la magia era finita nel peggiore dei modi. Allora un giorno ripresi in mano i miei studi di gioventù e mi venne l'ispirazione di continuare per quella strada con tutto la passione e l'impegno del mondo e, grazie a questo, adesso ho una sistemazione, sebbene precaria. Una parte di me si mangia le mani: se avessi approfondito il discorso allora, chissà adesso dove sarei? L'altra parte invece dice che ho fatto bene a vivere quella "gioventù che spacca", quell'energia che ha il profumo di vita autentica che per un certo periodo in maniera violenta mi era stata tolta. Le soddisfazioni che ho adesso sono ben al di sotto delle mie aspettative, in quanto tardano sempre ad arrivare soprattutto per "questioni tecniche", tradendo il mio puro e svincolato entusiasmo, per cui non mi ripagano di quanto ho perduto. A volte poi ci si mette anche "la natura" a fare la stronza. Esempio. Un giorno mi dissero: «Guarda, la tua complessa teoria funziona, gli esperimenti ti danno ragione!». Io tremavo dalla felicità, non stavo più nella pelle, quella sera festeggiai il successo bevendo con gli amici: avevo l'occasione di pubblicare su una famosa rivista un'importante scoperta. Ma ahimè, verifiche sperimentali su un'altra "grandezza" effettuate successivamente, mostrarono un vizio di forma che posso spiegare con una metafora: racconto nel dettaglio e correttamente la storia di Biancaneve, ma dico che i nani sono sei e non sette! Ci rimasi veramente male, perché avremmo potuto accorgercene prima, bastava un "disegnino", senza esperimenti di mesi che comunque ancora non sono stati rifatti e dovrebbero esserlo a conferma dell'assunto. Tuttavia non mi persi d'animo e dopo alcuni tentativi redassi una nuova teoria che stavolta spero rifletta correttamente l'estrema e inaspettata complessità dei fenomeni che stavo descrivendo. Ci tenevo particolarmente a quel lavoro per la sua storia che gli conferisce un valore affettivo, ma ad oggi giace ancora arenato per ragioni "politiche", come tanti altri miei lavori che stanno nel limbo della pre-pubblicazione in buona parte per come il lavoro viene gestito, cosa che faccio veramente fatica a digerire. Ed ecco che quella sorta di "innocenza" che caratterizzava il mio ardore iniziale, la mia dedizione, si è persa: una sorta di brusco risveglio dal "sogno sostitutivo". Ma tant'è, per il momento faccio quello che mi piace e ho quel ruolo nella società che forse avrei dovuto assumere tanto tempo fa, quando tra l'amore capriccioso della ragazza dei miei sogni e il vagare per le strade alla ricerca di una "verità", scelsi la seconda, una sorta di vita contemplativa in un monastero mobile, improvvisato, direi "underground". Mi ricordo che da ragazzino, dopo l'ennesima tempesta familiare, i miei genitori mi domandavano che cosa volessi fare della mia vita e io rispondevo sempre che non lo sapevo con certezza. Probabilmente sapevo bene chi fossi, ma la vergogna di ammetterlo, la timidezza nel dichiararlo data dalla non accettazione, mi mistificava talmente tanto da annebbiare la mia mente. La mia dimensione esisteva e magari non era univoca nel senso che potevano esserci varie possibilità coerenti tra loro, ma non era accettabile da chi avrebbe dovuto supportarmi in quanto clamorosa e in un certo senso irraggiungibile. Non credo che le persone che ci vogliono bene tentino di metterci dal nulla i bastoni tra le ruote, ma a volte pensando di fare del bene fanno danni. Noi non siamo i figli o i fidanzati o gli amici perfetti. Noi non siamo il progetto di nessuno se non il nostro. Quindi, prima di consigliare condizionando, ovvero influenzare qualcuno sul proprio futuro, bisogna conoscerlo a fondo e in ogni caso supportarlo nelle proprie decisioni. Non ci sono esperimenti a priori, ma sarà la vita stessa poi a dirci se abbiamo fatto la scelta giusta. Sbagliando si impara e in ogni caso l'esperienza ci lascia qualcosa, ci fa crescere. Noi non siamo perfetti, la vita nemmeno e il mondo vabbè, lasciamo perdere! Chi azzecca subito la propria strada può essere molto fortunato, ma non sempre meritevole di elogio in quanto spesso poco fantasioso, inquadrato e sterile. Normalmente le persone hanno dei sogni che si trasformano maturando: ecco, io faccio il tifo per loro, per quelli che, pur avendo imparato che la rassegnazione fa parte di questa vita, in qualche modo continuano a sognare, a tenere viva la propria ambizione. Che poi i sogni si realizzino, quello dipende da tanti fattori, non tutti sotto il nostro controllo: esiste il caso nell'esistenza, eventi accidentali che influenzano il corso degli eventi sia in senso positivo che negativo. Ritengo che incontrare le persone giuste con cui collaborare per vedere realizzati i propri progetti sia essenziale: da soli si va poco lontano e l'ambiente che si frequenta è determinante per la propria formazione quanto le abitudini alimentari e sportive lo sono per la salute del corpo. Dopo questa digressione, io concludo dicendo che dai "tempi d'oro" in cui sembrava che tutto mi andasse bene e io andassi bene a tutti, ora sembra che nessun abito mi calzi più a pennello e nessuna situazione mi metta interamente a mio agio. So chi ho scelto di essere per risollevarmi dalle mie ceneri e lotto quotidianamente per esserlo contro cose più grandi di me, ma ancora non so quanto durerà e in questo senso la precarietà non aiuta. Che mestiere difficile essere me: a volte penso che già di per sé sia un lavoro! E poi, quale futuro mi attende? Prendo la penna e scrivo per professione, la prendo per hobby scrivendo delle poesie che ho intitolato "Riflessi", una miriade di riverberi di un'anima che più che eclettica direi ormai in frantumi. E credetemi, non so ancora bene se lo faccio per unire i puntini, le stelle del mio universo interiore, per giungere finalmente ad una visione unitaria, oppure per "espellere" in qualche modo quella parte di me di più difficile accettazione. Sono una creatura complicata: nonostante l'età faccio ancora fatica a mettermi a fuoco.

Ebbene, questo "mistero" sono io e questa è la mia Confessione: una copiosa parte del mio vissuto, a tratti metaforicamente narrato, che avevo bisogno di mettere nero su bianco in maniera terapeutica, al fine di "razionalizzare e chiudere nel cassetto", per quanto è possibile.

Grazie mille a chi è arrivato fin qua e grazie infinite a chi vorrà lasciare un suo pensiero.

Andre

RIFLESSIWhere stories live. Discover now