Anche il dire ha il suo apparire.

59 8 8
                                    

*Scritto critico in prosa poetica*

Imbevuti di retorica faziosa senza controprova, ubriachi di rivalsa astiosa che il cervello lava e preimpostata visione radicale quanto parziale, una differente opinione che sotto l'apparire scava e quindi con il resto stona, fa storcere il naso a priori in un mondo pieno di rancori, poiché nella mente dissona e già crea disappunto. Ma è proprio questo il punto: lasciare l'atteggiarsi da estremista per un diverso punto di vista, un'alternativa concezione, una prospettiva non già valutata, o magari scordata come un passato a tutti i costi abbandonato che andrebbe rivalutato, ad esempio il metaforico e parabolico mito. Ad ogni modo questa è la situazione e brevemente la commento: al di fuori della usuale narrazione è già rifiuto se non disorientamento.

Poca gente 
e pochi applausi in platea 
per un discorso divergente 
che varrebbe la pena di ascoltare,
che si dovrebbe perlomeno considerare.

In questa società in cui si fa peccato a dire di appartenersi, fa strano dedicarsi dei versi, è difficile amare di un amore profondo e sincero, compreso l'amore per il sapere che è tensione verso il vero. Riesce molto complicato, perché quello che ho imparato da questi tempi vuoti ed incerti è che anche i discorsi, o addirittura le singole parole, possiedono un apparire e, in base a questo, vengo giudicato e quindi incasellato. Se dico questo allora sono questo. Non siete dei nostri ma dei mostri se sostenete quello! Non passa neanche nell'anticamera del cervello che lo si possa fare per disinteressato amor di verità, che possa essere normale sostenere una tesi con intellettuale onestà, con noncurante schiettezza. Oppure che talvolta lo si possa far con beata leggerezza, senza che si tratti a tutti i costi di uno spicchio di un'assoluta realtà e per questo non si debba esser trattati con durezza: la frustrazione di una generazione che si flagella nella ricerca del senso perduto ed il piacere del castigo. Dal vivo, falsi agnellini; dietro la tastiera, tutti leoni, tutti attivisti dell'ultim'ora senza pertinente cultura. Da una fotografia digitale segue poi una prassi usuale: sopra, la chiappa o l'addominale; sotto, la frase filosofica, simbolica del vuoto del culto dell'immagine che si tenta di colmare. Anche qui non manca l'ipocrisia morale, perché diciamocelo onestamente: se una posa è provocante, è provocante per definizione perché suscita qualcosa, una pulsione, richiama un'emozione che sia o meno intenzionale e di per sé non vi è nulla di male. Che poi la posa fotografica giustifichi un eventuale abuso è chiaramente fuori discussione: ma la presenza del rischio eventuale che si vuole eliminare non può farci deturpare le parole, perché penso che la bassa pedagogia non possa soppiantare il senso. Non basta allora che ci dicano come dobbiamo parlare e pensare: ci vogliono addirittura imporre quello che dobbiamo provare, come ci dobbiamo sentire. E qui si entra in un cortocircuito che sovverte l'intuito e che mi porta ad interrogarmi sul perché mai comunicare ciò che non si vuole comunicare, ad esempio essere sensuale con la pretesa che non venga fatto notare, come se per la gente il significato usuale fosse improvvisamente un effetto collaterale non intenzionale da imputare all'ascoltatore. In questo senso il modello diviene fallimentare: la conseguenza di dare alle cose difficili spiegazioni semplici è che, per contro, le cose semplici richiederanno poi ragioni difficili. Per me, perennemente fuori orario e non adattato, sono tempi pesanti come un macchinario inceppato, come muoversi nel fango. Rimango perciò della mia idea: anche se con un martellamento continuo si insiste, un mondo senza rischi non esiste e quindi continuo a preferire la cristallina verità, la sospirata libertà, la corporea realtà. Nella dimensione digitale infatti, tanti follower, ma i rapporti sono sempre più superficiali e noi siamo sempre più soli. Con il corpo ormai chiunque può far soldi, ma guai a ostentare o commentare che si parla di mercificazione: direi una contraddizione di cui essere cosciente, ma meglio far finta di niente e rimanere nella bolla di sapone. Dato che vige la proporzione: io sto al postmoderno come Dante sta ai gironi dell'inferno, su questo mi fermo perché potrei continuare in eterno.

Pochi spettatori in platea 
ad ascoltare me, Andrea,
che scrivo senza impegno.
Se non poeta per natura
_come disse Giovenale_
almeno per lo sdegno
lo posso diventare.

Siccome ciò che conta è essere alla moda e dunque in linea con l'ufficiale narrazione, torno infine al punto centrale della riflessione. Sarà la semantica ambiguità, sarà la sintattica equivocità e quindi l'interpretazione delle parole, ma forse esse possiedono un senso nascosto e che all'intenzionale messaggio viene letto al suo posto. Dovrebbe in teoria arricchire il discorso, ma, per i suddetti motivi, oggigiorno conta più il senso apparente ed esteriore che quello essenziale ed interno. Lo specchio della società, di un mondo in cui non si può amare la verità, perché non ascoltandoti realmente non ti capisce e sulla base delle espressioni ti definisce e ti ingabbia facendo guerra alle intenzioni. Ma forse è proprio questa la realtà: una prospettiva che non avevi considerato. E dicendo che

Anche il dire 
ha il suo apparire.

mi sono congedato.  

RIFLESSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora