Il battito accelerato del mio cuore lo sentivo fin dentro le orecchie, la paura di perderlo era ormai una certezza. Lo stavo perdendo in tutti i modi in cui si poteva perdere qualcuno, con la consapevolezza che da lì a poco, se tutto fosse andato bene per lui, non lo avrei più rivisto e non avremmo mai più parlato. Quelle erano, probabilmente, alcune delle nostre ultime parole.

«Rispondimi!». I suoi occhi correvano sul mio viso con un brutto presentimento addosso. «Chi è adesso la bambina dalle codine bionde che mi ha rubato il cuore un sacco di tempo fa?».

Deglutii a vuoto. «Mi chiamo Nerea Anderson e sono un agente infiltrato della FIDH. Il mio compito è sempre stato uno: registrare più prove possibili e denunciare questa prigione per farla chiudere, portando i detenuti in una nuova struttura approvata dalle norme per i diritti umani. Mi sono fatta assumere da Theodore nel momento in cui ha messo un annuncio sulla ricerca di una psicologa penitenziaria che potesse aiutarlo con un detenuto dal comportamento più ribelle di quello degli altri, che si era fatto una cerchia di nemici pericolosi che intaccavano il sereno svolgimento delle giornate».

Il suo sguardo mi percorse il viso, alla ricerca di un solo dettaglio che potesse fargli capire che stavo mentendo. Ma non c'era, perché per la prima volta gli parlavo con il cuore in mano.

La delusione sul suo volto fu come uno schiaffo. «È per questo che ti sei avvicinata a me?», mormorò.

«Sì», mi tremò la voce. «Ho fatto tutto quello che era in mio potere per assicurarmi di essere affidata a questo caso. Ne avevo bisogno, io-».

Mi interruppe con una scintilla di rabbia nello sguardo. «Sono stato solo un incarico per te, non è vero?».

«Per meno tempo di quello che avrei creduto, credimi». Utilizzai il tono di voce più disperato nella speranza che mi credesse, ma non mi sembrò funzionare.

«Crederti?», la sua risata dura e maligna mi colpì anche più forte della delusione che rendeva il suo viso spento. «La ragazza di cui mi sono innamorato non esiste, era tutta una messa in scena! Hai ottenuto quello che volevi almeno?».

Abbassai lo sguardo, nascondendo i miei occhi pieni di lacrime alla sua vista. Ma durò ben poco, perché la sua mano mi afferrò per il mento e mi costrinse a guardarlo dritto in volto.

«Rispondimi!», mi scosse. «Tutto quello che hai fatto ha cambiato qualcosa? Avermi spezzato il cuore ha sistemato il tuo?». 

Una lacrima mi scivolò sulla guancia e si infranse sulle sue dita, che lui seguì con lo sguardo finché non sparì. «Credevo di sì», sussurrai.

«Credevi?». Sentirmi schernire da lui non era il massimo, ma era ben comprensibile vista la furia sul suo volto. Me lo aspettavo, sapevo che quel giorno sarebbe arrivato. Eppure, aspettarmelo non lo rese meno doloroso di quello che fu. «Quindi mi hai fatto soffrire per nulla».

Scossi la testa, per quanto riuscii. «Ti ho salvato. Ho ottenuto uno sconto di pena per te, verrai trasferito, sarai in condizioni migliori. E nessuno ti farà più del male».

«Nessuno tranne tu». Il suo fiato caldo mi soffiò sul viso.

Voltai la testa verso destra e sfuggii alla sua presa, decisa ma sempre delicata. In ogni caso non voleva farmi male. Lo vidi allontanarsi di due passi indietro, mettendo una certa distanza fra di noi, come se starmi troppo vicino gli recasse dolore. «Mi dispiace».

«Mi hai mentito anche su Norman. Hai continuato a fingere che fosse vivo, hai continuato a parlarne al presente pur di tenere in piedi il teatrino a cui avevi dato vita. È stato il mio migliore amico per molti anni. Meritavo di saperlo». La sua voce strozzata mi fece immaginare senza sforzi i suoi occhi lucidi. «Meritavo di sapere che si è suicidato».

The Not HeardWhere stories live. Discover now