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Ricordavo bene la leggenda che ci narrò la nonna, e in quei momenti mi sentì così vicino a essa.

La solitudine e l'abbandono divennero miei grandi compagni. La paura della morte la mia più grande amica.

Sapevo ancora poco della vita e avevo il brutto presentimento che non ne avrei saputo di più. Che non avrei più provato affetto per nessuno, al di fuori della mia famiglia. Che non avrei più giocato con nessuno, dopo mio fratello.

Che mi sbagliassi o meno, la mia vita sarebbe scorsa, d'ora in avanti, come una pellicola in bianco e nero.

Non mi sarei sentito più vivo.


Lo Spettro

Enea strinse nella mano la trottola. Sospirò, nel portare l'attenzione sulla cascata non più fluente come un tempo. Erano passati ormai molti anni da quel fatidico giorno. Eppure, il senso di colpa per averlo perso di vista non lo aveva abbandonato neanche un minuto.

Avrebbe dovuto tenerlo d'occhio. Avrebbe dovuto stargli vicino. Controllarlo. Giocare con lui.

Non avevano più potuto sfidarsi, come gli aveva promesso.

Sua madre non l'aveva presa bene: aveva pianto tutte le lacrime che aveva in corpo nel sapere che non avrebbe più abbraccio il suo secondogenito; nato e sparito in un mese innevato che gli aveva donato il nome.

Suo padre non si era dato vinto: per tutte le settimane dei mesi seguenti, aveva setacciato i boschi alla ricerca di anche un piccolo indizio che gli avrebbe potuto rivelare il destino del figlio. Poi si era arreso.

Lo fecero tutti: Nevio, il bambino dai capelli biondi e la carnagione pallida come quello di uno spettro, non sarebbe mai tornato a casa.

E adesso, un fantasma, lo era davvero.

Nei loro ricordi, negli oggetti che gli erano appartenuti, nelle fotografie appese nei muri; addirittura nei volti giocondi dei suoi figli.

Tutto gli riportava a galla ciò che era successo.

La voglia di tornare lì, per scoprire la verità, era sempre stata forte in Enea. Coraggio e forza, però, erano venute meno.

C'era voluta la morte di suo padre per riportarlo alla casa della sua infanzia, ormai disabitata.

Portò il giocattolo di legno nella tasca del giubbotto. Poi riprese a camminare accanto al fiume, seguendo il suo corso fino al paese. Molte cose erano cambiate in esso: si era allargato, varie abitazione era state costruite dove prima c'era stato un grande prato verde, e molta della gente che aveva conosciuto da piccolo si era invecchiata o passata a miglior vita; i figli, i suoi vecchi amici, ormai trasferiti altrove, con le loro nuove famiglie.

Come aveva fatto lui, dopo aver conosciuto Marianna.

Ma adesso era lì, da solo, in un mare di gente che gli faceva le condoglianze una terza volta. Non si era portato dietro moglie e figli, non voleva far vedere loro tutto quel dolore che si portava dietro da troppi anni e che lo stava divorando da dentro. Ma non crollò, neanche per un secondo.

Non una lacrima sarebbe più potuta scendere sulle sue guance, dopo tutte quelle che aveva perduto.

Nella casa, la gioia che aveva portato Nevio, si era smarrita. Tutto era diventato grigio, monotono, senza un senso. Osservò una foto di loro due, in bianco e nero; le stesse tonalità dei suoi sentimenti. La prese in mano e accarezzo con il pollice il volto paffuto del fratello.

Erano così diversi, uno moro e l'altro biondo, ma accomunati da quegli occhi espressivi e del colore del cielo che avevano ereditato dalla loro nonna.

Lei era stata una figura importante nei loro primi anni di vita – soprattutto per lui, Nevio era stato troppo piccolo per ricordarla bene.

Gli tornò in mente una delle ammonizioni che li spaventata ogni volta quando uscivano in giardino: "non allontanatevi troppo, o l'Orsante vi catturerà".

Dopo la sua morte, e crescendo, avevano capito che era solo una fiaba volta a farli rimanere nei dintorni del villaggio per non far correre loro dei rischi. Perciò, avevano smesso di ascoltarla e, scorrazzando nei boschi limitrofi, avevano scoperto il piccolo spiazzo con la cascata.

"Quando arriva l'Orsante, te ne accorgi subito: nessun sibilo di vento, nessun ronzio sinistro; solo il silenzio è suo compagno lungo il cammino" diceva spesso la nonna.

Nel ricordare quelle parole ebbe un tuffo al cuore.

Un'irrazionale idea cominciò a scavare la sua mente, facendosi strada a squarci e a morsi.

Suo fratello non era sparito nel nulla, era stato catturato.

Gli venne da sorridere a quel pensiero: come poteva essere vero? Come poteva credere a quelle storielle per bambini?

Riappoggiò la fotografia sul mobile e prese a camminare avanti e dietro per il salotto.

Non poteva essere vero. Non lo era. Non era possibile. Non era reale.

Erano queste le riflessioni che cominciarono a girargli per la mente, come trottole impazzite.

Eppure, se ci fosse stato un fondo di verità in quella storia? Non era raro che nei villaggi si cominciassero a narrare leggende basate su fatti realmente accaduti.

Se ci fosse stata davvero un'Orsante, tra quei boschi, che rubava bambini? Cosa avrebbe potuto fare?

Si portò le mani tra i capelli, con il fiato corto.

Doveva prendere una decisione: lasciar perdere e continuare a vivere il resto della sua vita nel rimorso, o continuare a grattare la superficie di quella leggenda nella speranza di mettere fine a quel tassello maledetto della sua vita.

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