La neve aveva smesso di cadere, i fiocchi che avevo sul cappotto si stavano sciogliendo, e in quel modo l'isola sembrava tutt'altro posto. Era seduto nella mia stessa posizione, ma non indossava la tuta arancione con cui l'avevo visto l'ultima volta, piuttosto una camicia di flanella verde pistacchio e dei pantaloncini di un beige molto chiaro. Lui sembrava trovarsi in estate, mentre io ero ancora bloccata in pieno inverno.

«Ciao Norman». Il mio sorriso dall'aspetto stanco si ampliò.

«Sólnyshko», mi chiamò con il soprannome che mi aveva affibbiato da bambina, «Che stai facendo?».

«Sto guardando l'alba. Non manca molto alla fine della missione e credo proprio che questa vista mi mancherà».

«No». Lo guardai con la fronte aggrottata.  «Intendevo cosa stai combinando con la tua vita, sólnyshko».

Mi sentii prendere un respiro enorme, così grande che il petto mi iniziò a dolere. Aveva sempre avuto questa abilità di riuscire a capire cosa non andasse in me prima ancora che lo capissi io, ed ero ben consapevole che in quel caso fosse una proiezione creata dalla mia mente, lui non era veramente lì, ma quando era ancora qui, con me, era proprio così che si comportava.

Sólnyshko. Una persona che brilla per noi come il sole.

«Non lo so, non so cosa sto combinando». Non aveva senso mentire, non in quel caso.

Osservai il sole che aveva colorato di arancione il cielo, ormai privo di nuvole, e il blu che si sfumava alla perfezione con esso. Il vento era tornato ma era quasi liberatorio, mi muoveva i capelli e questo mi ricordava di essere viva, di essere veramente lì. Non avevo freddo, non ero nervosa, non avevo la smania di scappare per nascondere i miei sentimenti e i miei pensieri.

Ero triste, ma in un certo senso ero anche in pace. Di sicuro una triste serenità, ma non vuota.

«Airton ti ama».

Sospirai pesantemente. «Lo so».

«E tu lo ami».

«Purtroppo so anche questo». Mi misi più comoda, distendendo le gambe sulla sabbia e sperando di non bagnarmi poiché l'acqua era certamente gelata.

«Allora perché resti qui con me invece di andare da lui?».

Aggrottai la fronte e lo guardai. Lui non era affatto confuso, la sua espressione era colma di una serenità che faticavo a comprendere ma che da una parte mi rendeva serena a mia volta. «Non capisco che cosa intendi, Norman. Sul serio».

«Ti sto chiedendo perché rimani legata a me, che sono il passato che sta sbiadendo sempre di più, piuttosto che legarti ad un presente che ti potrebbe rendere felice come non mai».

«Anche questo presente diventerà passato. Che senso ha legarsi a qualcosa che se ne andrà inevitabilmente?».

Il suo sguardo si addolcì mentre scuoteva leggermente la testa, il disaccordo era ben visibile e stampato sul suo volto. «È qui che ti sei sempre sbagliata, sorellina. Solo perché il presente che hai vissuto con noi è diventato un passato che non tornerà mai più, non vuol dire che qualsiasi cosa vivrai nel tuo presente attuale andrà persa. Il presente può divenire passato come può tramutarsi in futuro».

«E io come faccio a distinguerli? Ho paura di perdere qualcos'altro, mi sembra di aver già perso tutto quello che potevo perdere».

«Partendo dal presupposto che non hai perso finché non hai perso anche te stessa...», mi lanciò uno sguardo significativo, «...non c'è modo di saperlo prima quello che sarà. La vita è fatta per essere vissuta e non per essere calcolata, Nerea. Credo sia l'unica formula matematica che nessun matematico potrà mai risolvere, l'unico mistero che nessuno scienziato potrà spiegare».

The Not HeardWhere stories live. Discover now