I love you

2.4K 90 17
                                    

Alice's POV

Dopo quel giorno Hans sembrava essere entrato in una profonda, profondissima, crisi e lo potevo notare dal suo comportamento, dalle occhiaie e dagli occhi rossi, sembrava non dormisse la notte. Non sapevo cosa gli passasse per la testa e delle volte ero curiosa di sapere che cosa pensasse.
I giorni passavano veloci e una mattina mi alzai come al solito da quel letto scomodo, ma sentivo già qualcuno cucinare. Era impossibile che Hans si fosse messo a cucinare, avrebbe fatto saltare in aria la casa!, così, una volta indossata la mia tenuta lavorativa andai di corsa a controllare chi ci fosse in cucina e con mia grande sorpresa trovai un ragazzo alto, senza capelli e sciupato, con addosso un completo a righe trasandato e sporco. Hans non mi aveva informata di questa cosa, ossia, di un altro ebreo nella sua villa. Forse lo aveva fatto per salvargli la vita, ma non credo gli avesse accennato qualcosa di me e lui, avrebbe potuto spifferare tutto e non era da Hans farlo.
Appena mi vide poggiò il coltello nel piano da cucina e mi scrutò con sguardo spaventato, ma allo stesso tempo curioso.
« Non ti preoccupare, anche io sono ebrea. » esordii con un piccolo sorriso in volto, poi allungai la mia mano verso di lui. « Mi chiamo Alice. »
« Io sono Samuel. »
« Quanti anni hai? »
« Diciannove. » disse sottovoce come per paura che qualcuno ci potesse sentire. Che stupida che ero!, io conoscevo Hans, lui no.
« Io ne ho sedici. Anzi- diciassette, visto che il mese di Febbraio sta per finire. O almeno credo. »
« Mhn- ora devo tornare a lavoro, altriment- » qualcuno interruppe la nostra conversazione.
« Altrimenti ti spetterà una bella punizione, lurido ebreo. » disse Hans entrando in cucina mentre si agganciava la camicia della divisa. Io mi girai a guardarlo ed arricciai il naso per come lo aveva chiamato.
« Tu. » mi indicò, poi, mi fece cenno di seguirlo, chiudendo la porta della cucina. Arrivammo nella Sala da pranzo dove vi era già tutto apparecchiato, sicuramente era stato Samuel.
« La tua mansione è pulire la mia villa, non fare conversazione! » esclamò lui puntandomi il dito contro mentre sollevava la voce.
« So qual è la mia mansione. Mi stavo solo presentando, non c'è bisogno di essere così scontrosi! » gli risposi e lui non apprezzò questo fatto visto che mi fulminò con lo sguardo. Non capivo perché avesse reagito così, non avevo fatto nulla di male. « Hans- che succede? » continuai a parlare portando le mie mani a circondargli il viso e ad accarezzargli le guance. Lui si rilassò al mio tocco e sospirò leggermente, portando le sue mani sopra le mie, stringendole.
« Non voglio che parli con lui. »
« Perché? » chiesi confusa.
« Perché tu sei mia. » sussurrò lasciandomi un bacio casto sulle labbra che subito dopo approfondì, stringendomi forte a sé. Era...geloso? No. Non potevo crederci. Era assurdo. Non pensavo che potesse essere così geloso e possessivo, ma a quanto pare lo era, ma avrebbe dovuto sapere che io volevo solo lui.
Le sue labbra si staccarono dalle mie non appena si sentirono degli squilli di tromba, il che significava l'appello mattutino.
« Tornerò verso l'ora di pranzo. Quell'ebreo non ti darà fastidio perché lavorerà soltanto all'ora dei pasti qui, poi, tornerà nei campi. » disse la parola 'ebreo' con disprezzo e potei notarlo subito.
« Anche io sono ebrea. » puntualizzai, provocandolo leggermente, lui ignorò questa mia ultima frase e finì di indossare la sua divisa, prese il cappello, la pistola ed uscì di casa.

Come Hans mi aveva accennato, Samuel veniva alla villa solo per cucinare i vari pasti della giornata, non avevo avuto l'opportunità di parlarci mentre preparava la colazione e pensavo di non avere possibilità neanche le prossime volte visto che Hans, sicuramente, avrebbe origliato e si sarebbe arrabbiato.
Invece, Hans non tornò per pranzo e la cosa mi sorprese tantissimo, non era mai mancato per i vari pasti e questa cosa mi rattristava, visto che era uno dei momenti in cui potevamo vederci e parlarci come due comuni mortali.
« Samuel, da dove vieni? » chiesi posando un bicchiere sulla credenza in cucina, mentre lui finiva di lavare le pentole che avevamo utilizzato inutilmente per cucinare il pranzo.
« Olanda. Tu? »
« Berlino. Era bello lì? »
« Sì, moltissimo. Cioè- sino a un certo punto. » la sua espressione triste mi fece quasi venire la voglia di piangere e pensandoci, quante cose erano cambiate così in fretta, quanta sofferenza stavano procurando i tedeschi a noi ebrei. La vita era ingiusta, ma ogni notte pregavo Dio, colui che tutto vede e sa, di aiutarci e di far cessare tutta questa pazzia.
« Non pensavo fossi ebrea. » continuò lui, facendo spallucce.
« Perché no? »
« Perché non porti il pigiama a righe, la stella gialla e non sembri affatto impaurita da tutto ciò. »
Da un lato diceva la verità, non portavo la stella, infatti, ricordai la volta in cui un soldato mi stava per stuprare, convinto che non fossi ebrea.
Ero impaurita? Sarei una sciocca a dire che non avevo affatto paura, però, ne avevo molta di più prima, appena arrivai in questo posto avevo paura, ma Hans mi aveva salvata ai lavori del campo, mi aveva salvata dal soldato che voleva stuprarmi, mi aveva salvata tante volte, mi sentivo al sicuro tra le sue braccia, ma non avevo quella completa sensazione di sicurezza, avevo comunque paura.
« Sono ebrea, altrimenti non mi avrebbero mai marchiato in questo modo, » dissi mostrandogli il numero tatuato nel mio avambraccio, lui sembrò ricredere nelle sue parole precedenti. « Herr Kommandant non vuole vedere le stelle gialle nella sua dimora e...pensi che non abbia paura? Invece ne ho, tanta. La mia vita potrebbe finire da un momento all'altro e non sono io a decidere quando o dove. » continuai abbassando lo sguardo. Riflettei parecchio su quelle parole ed arrivai ad una conclusione: un giorno sarei dovuta morire anch'io, Hans non poteva nascondermi qui per sempre. La nostra conversazione finì in quel modo e per tutta la sera non feci altro che pensare a cosa ne sarebbe stato di me più avanti e sapevo che sarebbe stato Hans ad uccidermi. Lo aveva già fatto, aveva già ucciso qualcuno. Per cena Samuel non venne ad aiutarmi a cucinare, così mi ritrovai da sola e quando sentii la porta aprirsi, capii che Hans aveva fatto ritorno. Portai la cena al tavolo, dove trovai Hans seduto, feci per andarmene, ma mi fermò.
« Alice, siediti vicino a me. »
« M-mi dispiace, non posso. » quelle parole uscirono a fatica dalla mia bocca e non capivo il perché le avessi dette, mi preoccupava il fatto di dover morire? Oppure sapere che sarebbe stato Hans ad uccidermi con le sue mani? Quelle mani che mi avevano stretta a sé in diversi momenti, che mi avevano protetta.
Lui corrucciò la fronte, confuso dalla mia reazione e si alzò dal tavolo, avanzando verso di me.
« Cosa ti turba? » sussurrò spostandomi una ciocca di capelli dal viso. Non risposi, non avevo il coraggio di affrontare quell'argomento con lui, sapevo che non avrei retto e mi sarei messa a piangere come una bambina. Ma chi non piangeva in certe situazioni?

« Rispondimi, Alice. Voglio sapere cosa c'è che non va. »
A quella sua frase sbottai, non ce la facevo più a tenere tutto dentro.
« Cosa c'è che non va? Tutto.
Ci trattate come animali dalla mattina alla sera, non abbiamo più neanche un nome, un'età, una famiglia. Uccidete il mio popolo come se calpestaste formiche! Moriamo di fame, di sete, per qualche malattia che non sappiamo di avere, ci usate per costruire le vostre ville, le baracche, per procurarvi piacere, ma alla fine...moriremo tutti. » le lacrime avevano iniziato a scendere dai miei occhi ed ero sicura che non sarei riuscita a fermarle, ma Hans mi colse di sorpresa e non reagì male al mio discorso, al mio sfogo, anzi, mi circondò la vita con le sue braccia e poggiò la fronte sulla mia, abbracciandomi.
« E sappiamo entrambi che prima o poi dovrai uccidermi. » sussurrai per terminare il tutto. Lui si limitò a respirare profondamente e una lacrima scese dal suo viso che io asciugai immediatamente. Sapevo che non era facile neanche per lui questa situazione, stava facendo di tutto per farvi sopravvivere a quell'inferno ed io mi lamentavo, mi resi conto che non era un atteggiamento corretto, chi stava nei campi stava molto peggio di me.
« Mi dispiace, amore mio. » quelle parole mi fecero riacquistare la lucidità tutto d'un tratto, il cuore perse un battito e le gambe quasi mi cedettero, poi lui continuò a parlare mentre mi asciugava le lacrime dal viso.
« Sto facendo del mio meglio per salvare più vite possibili, ma come comandante non posso fare granché. L'unica cosa importante sei tu, Alice, so che può sembrare qualcosa di egoistico, ma è la verità. Da quando ti ho incontrata non sono stato più lo stesso, hai mandato in fumo tutti i miei ideali, tutte le mie convinzioni.
So che per ciò che sto facendo non mi perdonerai mai, neanche Dio lo farà, ma sono costretto a farlo. » prese una piccola pausa, per riprendere fiato, io feci per parlare, ma mi bloccò all'istante. « Io ti amo. »
Quelle tre parole mi destabilizzarono, forse stavo sognando, ma se era un sogno non mi volevo svegliare. Le sue labbra raggiunsero le mie, baciandole con passione, desiderio e amore.
Amore, quel sentimento che volevo tanto conoscere e mai mi sarei aspettata di conoscerlo in quel modo, ma sapevo che era amore, sapevo che era lui l'uomo con cui volevo passare il resto della mia vita, era lui l'uomo che amavo.
« Ti amo anch'io, Hans. » lui ridacchiò e un'espressione di felicità comparve nel suo volto mentre mi sollevava da terra e mi faceva fare volteggiare tra le sue braccia. Mi sentivo davvero felice e solo lui sapeva rendermi così; tra tutte quelle povere persone lì fuori, forse, ero l'unica a sapere che cosa fosse ancora la felicità, grazie ad Hans. Stavo per approfondire il bacio, ma lui si staccò da me, prendendomi una mano.
« Buon compleanno, Alice. » sussurrò sorridendo, lasciandomi un tenero bacio sul naso. La mia bocca si aprì a formare una 'o' per quanto ero sbalordita. Allora era il 27 Febbraio.
« Come fai a sapere che oggi è il mio compleanno? »
« Non ricordi quando ci siamo conosciuti, più precisamente quando ti avevo chiesto quanti anni avessi? Mi avevi detto che tra un mese era il tuo compleanno. »
Non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò le mie braccia attorno al suo collo, lo stringevo forte a me come a non volerlo lasciar andare mai più ed era quello il mio intento. Lo amavo con tutto il cuore, ne ero sicura.
« E per questo, ti meriti un regalo. »
Io corrucciai la fronte dondolandomi leggermente sulle caviglie, ero curiosa.
Mi fece chiudere gli occhi e non appena li riaprii sentii un odore di cioccolata sotto il naso, ma sopratutto vidi davanti ai miei occhi una barretta di cioccolata. Era da tanto tempo che non ne mangiavo una e non mi ricordavo neanche che sapore avesse il cioccolato.
« Grazie, davvero. »
« Non ringraziarmi, Alice. Sai perché lo faccio. »
Sorrisi e divisi la tavoletta di cioccolata in due parti, porgendone una metà ad Hans, che accettò volentieri, dopo che ebbi insistito per un po'.
Mi sentivo di nuovo viva e colui che mi stava donando di nuovo la vita, delle sensazioni e sopratutto l'amore, era lui.
Hans.

Never Let Me GoWhere stories live. Discover now